lunedì 4 aprile 2011

La profonda spiritualità mariana di Karol Wojtyla

L'amore di Giovanni Paolo II per la Vergine fu un amore sconfinato. Non ha mai tralasciato occasione per parlare di Maria. Le ha dedicato l'enciclica Redemptoris Mater: la redenzione è stata infatti il filo conduttore del suo magistero petrino. Inoltre l'ha onorata non solo col suo ministero di Sommo Pontefice, ma anche in tante altre forme. Fin dall'inizio ha voluto recitare per tanti anni il Rosario ogni primo sabato del mese, insieme con i fedeli in Vaticano. Con la sua fantasia instancabile ha arricchito il rosario con i misteri della luce. E ormai quasi alla fine del pontificato, ha celebrato l'Anno del rosario, che ha avuto tanti frutti di devozione e di rinnovamento spirituale. Ricordo poi i suoi pellegrinaggi a Lourdes e a Fátima. In ogni suo viaggio, inoltre, ha programmato una visita ai più importanti santuari mariani del mondo. So con quanto desiderio voleva che un'immagine della Madonna campeggiasse nella basilica Vaticana, dove del resto ci sono stupende cappelle a Lei dedicate. E volle che almeno il Palazzo Apostolico mostrasse un'immagine della Madonna, che si leva, alta e materna, su piazza San Pietro. Tutti sanno che il motto da lui scelto prima della sua ordinazione episcopale è Totus tuus. Il futuro Papa trasse queste parole dalla preghiera di un grande santo mariano, Luigi Maria Grignion de Montfort. Ebbene, il Papa non solo recitava ogni giorno quella preghiera, ma ne scriveva un brano su ogni pagina dei testi autografi delle sue omelie, dei discorsi, delle encicliche, in alto a destra del foglio. Nella prima pagina metteva l'inizio della preghiera: Tuus totus ego sum, "Io sono tutto tuo"; nella seconda, Et omnia mea tua sunt, "E tutte le cose mie sono tue"; nella terza, Accipio Te in mea omnia, "Ti accolgo in tutte le cose mie"; nella quarta, Praebe mihi cor tuum, "Dammi il tuo cuore". E così proseguiva su ogni pagina, ripetendo, se necessario, le singole invocazioni, finché non aveva terminato di scrivere. Negli archivi della Segreteria di Stato vi sono migliaia di queste pagine, dove Giovanni Paolo II ha manifestato in modo così intimo e commovente il suo amore alla Madonna. Questo amore sconfinato a Maria nasceva dall'amore che egli aveva per Cristo. Amare Gesù è il fulcro di tutta la nostra vita. E se ciò è vero per ogni cristiano, tanto più lo è per il Papa. È una cosa tanto ovvia che potrebbe sembrare inutile sottolinearla. Ma vi accenno, perché ho un ricordo particolare, che riguarda l'ultima visita apostolica che Giovanni Paolo II compì nel 1997 nella Repubblica Ceca. Era già venuto in Cecoslovacchia nel 1990, appena caduto il muro di Berlino, fermandosi a Praga, Velehrad e Bratislava. Nel 1995 venne per la seconda volta, sostando a Praga, in Boemia, e a Olomouc, in Moravia. Era già sofferente. Cominciava a portare il bastone e ci scherzava sopra con i giovani, sempre entusiasti di stringersi attorno a lui. Ma era ancora in forze, tanto da fare le scale senza ascensore. La prima sera, dopo l'arrivo e la cena con i vescovi, sostò in cappella davanti al Santissimo. Le suore avevano preparato per lui un grande inginocchiatoio, ma egli preferì pregare nel banco. Io lo accompagnai, attendendo fuori della cappella. La sera seguente fui trattenuto da impegni e telefonate urgenti, e non potei accompagnarlo in cappella. Ci arrivai dopo, quando era già inginocchiato. Prima di entrare avevo udito come una musica indistinta, e quando aprii silenziosamente la porta, sentii che, inginocchiato nel banco, cantava sommessamente davanti al tabernacolo. Il Papa cantava sottovoce davanti a Gesù Eucaristia: il Papa e Cristo nell'Ostia, Pietro e Cristo. Fu per me una cosa sconvolgente, un fortissimo richiamo alla fede e all'amore per l'Eucaristia, e alla realtà del ministero petrino. Non ho più dimenticato quell'esile canto, che era come un colloquio d'amore con Cristo. Ho raccontato una sola volta questo episodio, in Repubblica Ceca, ma è bene che sia noto, tanto più ora che si avvicina la sua beatificazione, perché dice magnificamente che dobbiamo avere un legame sempre vivo, intimo e profondo con Gesù, vivente nell'Eucaristia. E dimostra, in modo superlativo, che Giovanni Paolo II è stato veramente un innamorato di Cristo. Infine, vorrei sottolineare l'amore dei popoli slavi per il Pontefice polacco. Nel 1990 fui inviato in Cecoslovacchia, che due anni dopo si divise pacificamente in due Stati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Questo è stato il regalo più grande che mi abbia fatto Giovanni Paolo II, dopo quello di avermi ordinato vescovo. Ricordo che, ancora la vigilia della mia partenza per Praga, lo vidi all'eliporto vaticano, di ritorno da una visita in una diocesi italiana, e gli dissi: "Padre Santo, domani parto, e finalmente vedrò anch'io, in Slovacchia, i "suoi" monti Tatra". Ma lui, sorridendo bonariamente, mi disse. "Oh! I Tatry sono molto più belli dal versante polacco che non da quello slovacco!". L'esperienza come nunzio apostolico è stata la più intensa che io abbia fatto. In quegli anni, potei toccare con mano quanto il Papa fosse amato dal popolo ceco e slovacco, a cominciare dalle autorità. Il presidente Havel mi disse due volte che Giovanni Paolo II aveva svolto un ruolo fondamentale nella caduta del comunismo: "Certamente - sosteneva - ci furono anche altre cause per la vittoria della libertà sul comunismo, ma, senza di lui, il risultato non sarebbe stato così subitaneo e inatteso". Altre volte mi sottolineò che i suoi colloqui col Papa erano sempre molto informali e cordiali: "Lui parla in polacco, io in ceco - diceva - e ci intendiamo molto bene". Ciò che gli attirava le simpatie di tutti era il fatto che fosse il primo Papa slavo della storia. La gente, che per quarant'anni era stata frastornata dalla propaganda ateistica, cominciava a capire che cos'era la Chiesa, quale mistero di comunione e di fratellanza portasse agli uomini insieme con la fede in Dio e l'amore di Cristo, negati per così lungo tempo. Anche per questo, Giovanni Paolo II è stato un grande dono di Dio alla Chiesa e all'umanità.

(Fonte: Card. Giovanni Coppa, ©L'Osservatore Romano, 2 aprile 2011)

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