martedì 21 giugno 2011

Dom Gérard Calvet, La Santa Liturgia

«Tre miracoli fioriscono continuamente nel giardino della Sposa di Cristo: la sapienza dei suoi dottori, l’eroismo dei suoi santi e dei suoi martiri, lo splendore della sua liturgia», scrive dom Gérard Calvet, fondatore e primo Abate del monastero francese di Le Barroux, in un’opera semplice e incoraggiante, appena tradotta e pubblicata in italiano (cf. G. Calvet, La Santa Liturgia, ed. Nova Millennium Romae, Roma 2011, 10 euro).
La storia di dom Gérard (1927-2008), forse, in altri tempi, sarebbe stata quella non di un fondatore e di un combattente di prima linea come fu, ma quella di un buon monaco benedettino, zelante, pio che vive e muore nel silenzio interiore e nell’oscurità, sia per il mondo che per la Chiesa. Ma le vicende semi-apocalittiche che sconvolsero la cristianità del XX secolo, fecero di lui, al contrario, un esempio e un monito, un “ribelle” e un profeta, un anticipatore e un modello di benedettino compiuto e realizzato. Entrato nell’abbazia di Madiran nel 1950, emise i voti definitivi nel 1954 e fu ordinato sacerdote nel 1957. Nel 1965 si chiuse il Vaticano II e iniziò, col post-Concilio, quella «battaglia nella notte» (Benedetto XVI) che vide un trionfo generalizzato della “teologia moderna”. In pochi lustri (1965-1985) i religiosi che abbandonarono abito, chiostro e voti furono migliaia, lasciando la Chiesa nel dolore e nella costernazione: monasteri chiusi e venduti, scuole gestite da religiosi offerte allo Stato, statue, arredi sacri e perfino reliquie fatti a pezzi con un furore che ricordò quello dell’antica iconoclastia orientale, rinnovata poi da calvinisti e ugonotti.
Nel 1970 il giovane sacerdote decide di fare «l’esperienza della solitudine e della Tradizione» e si mette a vivere – subito seguito da vari giovani entusiasti – in un priorato semi-abbandonato a Bédoin, nel sud della Francia. La vita quotidiana fu stabilita secondo i canoni benedettini tradizionali, fissati dalla Regola scritta dal Patriarca del monachesimo occidentale, ovvero proprio secondo quei modi che per i novatori dovevano essere aboliti per sempre. In pochi anni (1970-1980) il monastero fiorì di vocazioni e attirò un interesse non solo francese, ma europeo se non mondiale, con l’adesione, per esempio, di centinaia di oblati secolari da ogni parte del continente: gli stessi laici che vivono nel mondo, infatti, non vogliono trovare “mondo” anche nei conventi, ma reclamano sacralità, slancio e identità. Seguì ben presto la costruzione della splendida Abbazia del Barroux (1988-2000), e quindi l’erezione canonica della stessa (1989), precedentemente resa impossibile per l’opposizione delle autorità dell’Ordine.
Quando nel 2004, in seguito alla rinuncia di dom Gérard, il nuovo abate dom Louis-Marie ricevette la Benedizione abbaziale dal cardinal Medina, quest’ultimo dichiarò che a Le Barroux, per merito di dom Gérard, era sorta un’abbazia che vive «con grande fedeltà la Regola di san Benedetto» e questo elogio implica secondo noi, un apprezzamento ex post, da parte di Roma, anche delle scelte extra-canoniche che dovette fare dom Gérard per creare qualcosa di grande e di solido da solo, piuttosto che distruggere quanto già esisteva assieme a molti altri.
Il nostro augurio è che le pagine di dom Gérard dedicate alla liturgia, ora tradotte, siano studiate e assimilate dagli ambienti monastici d’Italia, che con Norcia, Subiaco, Farfa e Montecassino resta un po’ il cuore del monachesimo benedettino, oggi però appannato da una crisi di identità, da uno svuotamento del simbolismo sacro e da una grave carenza di radicamento nell’universo culturale e liturgico della tradizione.

(Fonte: Corrispondenza Romana, 15 giugno 2011)


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