domenica 5 giugno 2011

I politici cattolici? Latitano: urge una nuova generazione che si muova e viva con lo spirito del Vangelo

Non so se il segnale che hanno offerto le recentissime amministrative è stato compreso del tutto. Basta vedere le reazioni ai risultati elettorali, per rendersi conto che nessuno ha capito nulla. Che anche la sinistra cattolica canti vittoria, a questo punto, non può che farci nascere un dubbio: ci fanno o ci sono? I “vincitori” di queste elezioni sono infatti convinti di potersi ispirare ai principi chiave di una politica sullo stampo zapateriano, senza però accorgersi che siamo in Italia, e che in questi stessi giorni, nella stessa Spagna, quel tipo di politica è stato definitivamente liquidato.
Nell’attesa che se ne rendano personalmente conto, i cattolici “perdenti” che devono fare? Ricompattarsi tutti al centro, con Casini, Fini, Rutelli (e Montezemolo)? Non si arriverebbe a nulla: sia per la definitiva perdita di credibilità dei vari personaggi, che per aver dimostrato ormai senza possibilità di smentita la vera natura del “terzo polo”: una operazione di laboratorio, promossa dai poteri forti come alternativa al berlusconismo; una operazione che, come tutte quelle di carattere "azionista" che l’hanno preceduta, non potrà mai raccogliere il consenso popolare.
Bisogna pensare ad altro. È di questi giorni un incontro del Segretario della CEI, Mons. Mariano Crociata, con i parlamentari cattolici dei diversi schieramenti: già da qualche tempo si parla infatti della necessità, in Italia, di “una nuova generazione di politici cattolici”. Un discorso ampiamente condivisibile, anche se, almeno per il momento, si fa fatica a vedere in che modo si possa attuarlo.
Ci si chiede: La Chiesa possiede ancora le abilità educative (famiglia, parrocchia, scuola, università, associazioni, movimenti) necessarie per poter formare una nuova generazione di politici cattolici? Non credo che si possa accusare di disfattismo chi si permette di avanzare qualche dubbio in proposito.
Personalmente penso che, nella situazione in cui ci troviamo, non ci si possa fare illusioni su una ricomposizione immediata, come oggi si dice, del “tessuto sociale” in senso cristiano. Dopo secoli di smantellamento della “cristianità” (ché di questo si tratta: la crisi che stiamo vivendo non è, come molti credono, il risultato delle scelte avventate degli ultimi decenni, ma la conseguenza di premesse che affondano le radici lontano nel tempo), non si può pretendere di ricostruirla in quattro e quattr’otto. Al punto in cui siamo arrivati, sono convinto che non si possa più pensare di risolvere la situazione con interventi limitati, unicamente tesi a salvare il salvabile.
È assolutamente da evitare l’errore di pensare che l’unico problema sia da che parte stare, se a destra o a sinistra, o se non sia piuttosto necessario ricostituire un “grande centro”, in cui far confluire tutti i cattolici. Il problema, in realtà, è molto più profondo. Attualmente infatti noi ci troviamo di fronte non solo a una sinistra, ma anche a una destra e, ahimè, anche a un centro completamente secolarizzati.
Allora il vero problema è quello di rievangelizzare la politica. Occorre ricominciare da capo, come duemila anni fa: il cristiano è chiamato a permeare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico. Su questo piano, sul piano della fede e dei valori morali, tutti i cattolici sono — devono essere — uniti. Devono cioè essere non cattolici di destra, di sinistra o di centro, non “cattolici liberali” o “cattolici democratici”, “cattocomunisti” o “clericofascisti”, ma semplicemente “cattolici”, “cattolici convinti” senza aggettivi di comodo: non dispersi tra le varie fazioni, ma compatti, uniti in uno schieramento politico autonomo, o quantomeno in uno che non sia a priori e pregiudizialmente contrario ai principi fondamentali e non negoziabili della nostra fede. Penso che questa sia la strada da percorrere per ricominciare tutto da zero.

(Rielaborato da: P. Scalise, Parliamo un po’ di politica, Senza peli sulla lingua, 31 maggio 2011)

  

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