mercoledì 28 dicembre 2011

Rassegna stampa di fine anno: alcune cosette da puntualizzare

«Non abbiate paura!». La celebre esortazione di Giovanni Paolo II nell’omelia per l’inizio del suo pontificato, nel 1978, è stata ripetuta in piazza San Pietro da Benedetto XVI, anch’egli nel giorno di quella che si chiamava un tempo “incoronazione”.
Sfoglio il magazine di Repubblica e mi viene in mente che tanti credenti dovrebbero liberarsi anche da paure del tutto infondate: ad esempio, quella per una cultura anticristiana che, con la sua critica corrosiva, metterebbe in crisi la fede. Ci penso, vedendo su quel giornale la rubrica di dialogo con i lettori dell’ultraottuagenario Eugenio Scalfari, per decenni direttore de l’Espresso e poi di Repubblica, di cui è stato fondatore. I due media, cioè, che hanno rappresentato il punto di raccolta e la cassa di risonanza del laicismo e dell’anticlericalismo italiani. Scalfari, da anni si atteggia anche a filosofo, talvolta addirittura a teologo: in questa veste ha scritto pure qualche libro, oltre ad innumerevoli articoli. Un leader insomma del pensiero diciamo a-cristiano. Ebbene, sul settimanale di Repubblica, un lettore gli scrive: «Credo che ogni uomo senta nell’intimo la propensione verso una forma di spiritualità.
È, questo sentire, una componente essenziale della natura umana?».
Sorriso di compatimento un po’ ironico di Scalfari che, testuale, risponde: «La differenza tra credenti e non credenti sta in questo punto fondamentale. I primi si affidano alla rivelazione della loro fede e non vedono quale è la spinta della natura che li porta ad immaginare il cosiddetto “aldilà”. I non credenti, invece, analizzano i moti della propria mente e della propria natura e ne traggono le razionali conseguenze». Punto e basta. In otto righe di giornale, il Professore ha liquidato il Problema, quello con la maiuscola, quello che ha impegnato, impegna e impegnerà le menti migliori. Una semplice “analisi” di se stessi, la deduzione di “razionali conseguenze” ed ecco fatto: ogni religione è un’illusione, nessun “aldilà” esiste.
E voi, voi vorreste “avere paura” di simili critiche alla fede? Voi continuate a temere che simili “pensatori” possano mettere in crisi la prospettiva religiosa in generale e cristiana in particolare? Cose del genere, invece che inquietudine, dovrebbero generare compassione. Per i più cattivi, ilarità.

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La melassa buonista di certo cattolicesimo continua, purtroppo, a colpire. E a fare danni. Vedo nella rubrica tenuta da una giornalista e scrittrice ben nota nel mondo ecclesiale la solita tirata moralistica contro la “indifferenza”, la mancanza di “solidarietà” che contrassegnerebbe la “società opulenta” dell’Occidente. E questo, perché? Ma perché la pubblicista in questione, in un vagone della metropolitana di Milano, ha visto aggirarsi invano un “povero ragazzino” con un cartello al collo che, in un italiano approssimativo, elencava le miserie sue e della sua famiglia. Eppure, nessuno ha fatto cadere neanche un cent nella scatola di plastica che il piccolo sventurato tendeva.
Da rallegrarsene, signora mia, altro che da rammaricarsene! Come ogni persona di buon senso, mi faccio un dovere di non dare nulla a nessuno degli accattoni che hanno invaso i nostri marciapiedi o che si aggirano ai semafori. Il rifiuto di questo tipo di elemosine è ormai da tempo un obbligo sociale. In effetti, come tutti dovrebbero sapere, dietro ad ogni mendicante ci sono organizzazioni, spesso criminali, che schiavizzano donne, bambini, sciancati (veri o finti) come strumenti per muovere a compassione gli ingenui e raccogliere grandi fondi. Nei Balcani e, in genere, nell’Europa Orientale, ci sono addirittura medici criminali che provvedono ad amputare ai bambini un braccio o una gamba: un piccolo invalido è una miniera d’oro e, anche quando sarà divenuto adulto, mostrando il moncherino raccoglierà molte più offerte. Fateci caso: vedrete sempre mozzato l’arto sinistro, così da permettere all’amputato di utilizzare il braccio o la gamba destra. A meno che, ovviamente, non sia mancino.
Ha tagliato la gamba sinistra anche lo slavo che è ormai una presenza fissa sulle strade e piazze della città dove abito e che se ne sta appoggiato alla sua stampella (grossolana, fatta in casa, per accrescere l’impressione di miseria) fumando di continuo sigarette americane, mentre un cartello davanti alla scatola per le offerte annuncia «Ho fame». È quello stesso che, alla sera, vedo spesso mentre consegna l’importo della giornata a un “signore” con giacca e cravatta. Allo storpio, il minimo per sopravvivere, all’uomo elegante il grosso del malloppo. Ma, allora: niente elemosine, niente guadagni ai tanti “signori” come quello. Ci vuole tanto a capirlo?
Che ce ne facciamo di un cattolicesimo che, nel suo moralismo sentimentale, pubblica sui suoi giornali lagne come quella della rubricista che dicevo? La carità cristiana è una cosa seria, la nobiltà dell’elemosina non va impiegata per aumentare, ma per alleviare il male del mondo.
E questo, mi fa venire in mente una delle notizie recenti che più mi hanno divertito, pensando allo sconcerto dei buonisti. Periferia di Torino, uno dei tanti campi nomadi allestiti – a spese, ovviamente, di ogni contribuente – da un Comune che, avendo al governo da trent’anni le sinistre, ha assessorati e uffici che pullulano di predicatori di “solidarietà”, di “attenzione agli emarginati”, di “rifiuto dell’indifferenza” . Avendo, è chiaro, molti preti dalla loro. Comunque sia, in un paio delle baracche – quasi civettuole villette, quando furono consegnate agli zingari, pardon, ai rom, e subito ridotte a tuguri verminosi – l’inverno scorso scoppia un incendio.
Immediato intervento dei vigili del fuoco i quali, spente le fiamme, scoprono che, mentre loro faticavano e rischiavano, le saracinesche delle autopompe sono state scardinate e tutto ciò che era asportabile è stato rubato. Inutili le richieste di restituire il maltolto.
Alla fine, i pompieri chiamano la polizia che, tra gli scherni e le risate dei nomadi, deve frugare per ore per trovare finalmente i gruppi elettrogeni, le motoseghe, le bombole di ossigeno, le asce e quant’altro era stato rubato. Dopo ore, il congedo di vigili del fuoco e poliziotti, ringraziati da pernacchie, gestacci, minacce, insulti. Nessuna denuncia, è ovvio: a che servirebbe?
Il più che comprensibile “disagio degli ultimi”, direbbe qualche frate impegnato, magari anche sociologo, che inviterebbe ad “andare a monte, alle fonti dell’emarginazione” A me, invece, piacerebbe sentire il commento di quei cristiani veri, senza retoriche e senza illusioni (e proprio per questo così benefici) che furono i grandi santi sociali proprio in quella Torino dove l’episodio si è svolto.
Penso tra tutti, a quel realista pragmatico, a quell’ ex-ufficiale di Stato Maggiore che era il “mio” beato Francesco Faà di Bruno, il quale ai bisognosi veri spalancava le porte dei suoi rifugi, dando loro tutto ciò che poteva ed aveva. Se il beneficato cadeva in qualche mancanza grave, veniva ammonito. Ma se ne combinava un’altra, le porte si aprivano per farlo uscire e si richiudevano alle sue spalle, per non aprirsi più. Regole non dissimili valevano per don Bosco, a Valdocco. Spietati? Al contrario, credenti veri, dunque rispettosi della verità, della giustizia, della serietà del Vangelo.


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A proposito di Dio e della Sua esistenza. Trovo un ritaglio di giornale dopo la morte di un attore italiano famoso ed amato, Nino Manfredi. Si dichiarava ateo e cercava di spiegarsi, con la sua sintassi romanesca: «Se un Creatore c’era, il mondo non lo faceva girare così».
Buona, mi sembra, la replica di un settimanale religioso: «Caro Nino, se Dio non ci fosse, il mondo che gira così sarebbe regolare, avrebbe tutte le ragioni, perché sarebbe l’unica realtà e nessuno potrebbe lamentarsene. E, invece, tu senti che non è “regolare”.
Che cosa te lo fa sentire? Non sarà proprio Dio in noi, cioè un criterio di verità, un punto d’appoggio esterno della leva con la quale giudichiamo “non regolare”, non troppo buono il girare così del mondo? Dio, non sarà proprio questo bisogno che avvertiamo in noi, ma che non viene da noi?».


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Un lettore mi rimanda ad un articolo apparso su Il Messaggero di Roma del 30 ottobre 1973 (!). È la cronaca di un congresso internazionale di scienziati svoltosi a Chamonix, e che aveva per tema “l’avanzata inarrestabile dei ghiacciai alpini”. Scriveva quel giornale, facendo eco alle preoccupazioni dei convegnisti: «Il ghiaccio aumenta in modo spaventoso: quello del Monte Bianco è avanzato in pochi anni di mezzo chilometro. La banchisa polare sta per raggiungere le coste dell’Islanda. La temperatura media dell’Europa del Nord si è abbassata di due gradi in cento anni». Per quei prestigiosi scienziati non c’erano dubbi: l’espansione dei ghiacciai era dovuta principalmente all’inquinamento atmosferico che, formando una barriera alle radiazioni del Sole, ne tratteneva sempre più il calore. Dunque, diceva il drammatico appello finale: «Se si continuerà con l’attuale ritmo di sviluppo, dietro l’angolo c’è una nuova era glaciale».
Non occorrono commenti per chi segue, anche solo distrattamente, i media di oggi. Questi, da anni, danno la cronaca di altri convegni, cui partecipano magari gli stessi scienziati del ’73. La tesi sostenuta ora è esattamente il contrario: la temperatura aumenta di continuo, i ghiacciai arretrano, la desertificazione minaccia l’Europa, nei Paesi a clima temperato si va verso un regime tropicale.
La causa? Ma è evidente: l’inquinamento atmosferico dovuto all’attività dell’uomo che distrugge le protezioni atmosferiche e ci fa piovere addosso i raggi ardenti del sole senza più filtri.
Ci sarebbe da ridere e da confermarsi nel giudizio di Karl von Clausewitz, il celebre teorico prussiano di strategia, che già ai suoi tempi (i primi decenni dell’Ottocento) ammoniva che chi vuol perdere le guerre deve fare un paio di cose: 1° impegnarsi contemporaneamente su due fronti; 2° ascoltare e, peggio, prendere sul serio i pareri e i consigli degli “esperti”.
In realtà, non c’è da ridere ma da preoccuparsi. Innanzitutto, su un piano sociale, perché le scelte dei governi sono fatte sempre più spesso sotto la pressioni degli ecologisti che, in molti Paesi, sono al governo. Ma, poi, non c’è da dimenticare anche il piano religioso. È noto che molti vedovi del catto-comunismo sono passati dal rosso al verde, dalla rivoluzione all’ambientalismo. Caso esemplare, quello di Leonardo Boff, il leader della teologia della liberazione che vive ora in una bella fattoria non lontano da Rio de Janeiro con una donna che ha molti figli (pare da un matrimonio precedente) e che si è convertito a una sorta di panteismo verde, il culto che ha al suo centro Gaia, il mitico nome della Terra. Ma anche nel cristianesimo “moderato”, l’ambientalismo è centrale, spesso ossessivo. Il movimento ecumenico, ad esempio, da anni propone uno slogan che dovrebbe diventare la sintesi della fede: «Pace, giustizia, salvaguardia del Creato». Dunque, ecologismo Ma che ci combineranno questi credenti negli dèi verdi, se i contenuti della nuova fede sono attendibili come la questione del clima (si raffredda o si riscalda?) o come molte altre questioni sulle quali l’ambientalismo è passato da un dogma a quello opposto?


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In uno dei suoi ultimi interventi come cardinale, Joseph Ratzinger ha denunciato quello che ha definito «uno strano odio che l’Occidente prova per sé». Il masochismo, la diffamazione della propria storia, il dichiararsi colpevole di ogni male sembra caratterizzare l’Europa e almeno una certa intellighenzia degli Stati Uniti.
È un atteggiamento di colpevolezza che spunta anche là dove, per una persona normale, sarebbe imprevedibile. Ad esempio, a proposito dello “tsunami”, l’onda assassina che ha devastato le coste di alcune zone dell’Asia come conseguenza di un grande terremoto sottomarino. Su alcuni giornali europei ed americani sono apparsi interventi di alcuni “esperti” (ancora loro!) secondo i quali sulla coscienza dell’Occidente gravano anche le decine di migliaia di morti di quel fenomeno naturale. E perché? Ma è evidente, secondo quei signori. Gli occidentali, cioè, dispongono della maggiore rete di rilevamento dei terremoti che avvengono su tutta la Terra. Rilevato il sisma in Asia, dovevano allertare immediatamente i gestori di telefonia mobile dei loro Paesi che, essendo in grado di localizzare in ogni momento la posizione degli abbonati, avrebbero dovuto inviare messaggi perché i turisti si mettessero in salvo e avvertissero le popolazioni locali. Insomma, anche le conseguenze mortifere dello tsunami sono colpa dei cattivi occidentali, di europei ed americani (aggiungendovi gli australiani) che, nel loro egoismo, non hanno fatto nulla. Ratzinger ha ragione: questa autoflagellazione è davvero “strana”.


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Per chi è affascinato dalle coincidenze di date. Già ricordai, una volta, che la bandiera d’Europa con le sue dodici stelle in campo azzurro è ispirata direttamente alla Medaglia Miracolosa rivelata a santa Caterina Labouré, nelle apparizioni del 1830 a Parigi. E ricordai che, senza che i politici se ne rendessero conto, quel vessillo occultamente mariano fu approvato ufficialmente e sventolò per la prima volta un 8 dicembre, Festa della Immacolata. Adesso, alcuni richiamano la mia attenzione sul fatto che la cosiddetta “Costituzione d’Europa” è stata firmata con una solenne cerimonia in Campidoglio il 29 ottobre del 2004, cioè in un giorno che richiama un evento accaduto 1692 anni prima e che ha anch’esso per scenario il Campidoglio.
In effetti, il 28 ottobre del 312, nella strettoia tra la via Flaminia e il Tevere, l’esercito di Costantino sconfisse in un’aspra battaglia quello di Massenzio. Il sangue scorso fu tanto che da allora il luogo fu detto Saxa Rubra, le rocce rosse. Costantino aveva dato alle sue truppe i gonfaloni con il monogramma del Cristo. Quelle stesse insegne salirono il giorno dopo, dunque il 29 di ottobre, sul colle del Campidoglio dove l’imperatore – il primo tra quelli cristiani – celebrò il suo trionfo. Cominciava da allora l’era nuova per i discepoli del vangelo.

Gli eurocrati del 2004 non se ne sono accorti: ma quella Costituzione che hanno voluto senza il richiamo alle “radici cristiane” del Continente (una delle ultime amarezze per Giovanni Paolo II) è stata firmata lo stesso giorno e nello stesso luogo dell’inizio della vittoria cristiana sulle persecuzioni pagane.

(Fonte: Vittorio Messori, Il Timone, n. 44, Anno VII, pag. 64)


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