martedì 3 gennaio 2012

Passaggio di consegne tra anno vecchio e nuovo: tre riflessioni

Abbiamo lasciato da poco l’Anno del Signore 2011, e come sempre gli uomini hanno festeggiato: fuochi d’artificio, cenoni, balli, tappi di spumante che saltano, lenticchie e zampone, fino a giungere a certi eccessi sui quali tacere è bello.
A patto di non peccare, non c’è niente di male a fare un po’ di allegria il 31 dicembre, anzi: può essere perfino un modo intelligente per mostrare riconoscenza al Padreterno per averci conservato la vita fino a questo punto della storia. Nelle chiese si canta, giustamente, il Te Deum proprio per rendere grazie alla Provvidenza, prendendo per utile e buono tutto quello che ci è capitato nel corso dell’anno, anche se non tutto è filato come noi avremmo voluto.
Al di là dall’aver fatto un po’ di baldoria (molto “monastica” per quanto mi ha riguardato) ciò che la fine di un anno e l’inizio di uno nuovo dovrebbero invece suggerire a tutti, è dare spazio ad un po’ di silenzio e di riflessione. Sono invece convinto che il frastuono dei botti e le luci scintillanti del cenone rappresentino il tentativo dell’uomo di soffocare sul nascere certi pensieri. Pascal fa giustamente notare come anche l’uomo più ricco e più potente del mondo, lasciato in pace per un quarto d’ora, si ritrovi a farsi quelle fastidiose domande sul senso della vita che cerchiamo di evitare riempiendoci l’esistenza di impegni e di occupazioni di vario genere.
Ora, la prima cosa che il Capodanno mi fa venire in mente è che un altro pezzo della mia vita, e della vita delle persone a cui voglio bene, se n’è andato. Questo succede ogni giorno, è vero; ma il fatto di mettere in soffitta il calendario e di girare la boa del primo di gennaio obbliga a rendersene inesorabilmente conto. Uno nasce, e per un po’ di tempo pensa che la vita sia lunghissima, praticamente interminabile. Poi, un giorno, ti accorgi che le cose non stanno così, e che quello che ti hanno detto tante volte i vecchi, e che ti lasciava del tutto indifferente, è banalmente vero: la vita è breve. È un soffio, e ti ritrovi con i capelli bianchi (se ce li hai ancora). Scusate, ma a me l’ultimo dell’anno ha detto innanzitutto questo: il tempo passa, e si avvicina il redde rationem, il momento in cui il tempus probationis (tempo della prova) finisce, e la nostra esistenza viene srotolata davanti all’unico Giudice perfettamente giusto.
Non dico che questo pensiero sia incompatibile con una buona bottiglia di vino e con un risotto giallo con la luganega, ma il fatto che ci avviciniamo alla fine della vita terrena è un pensiero molto serio, e converrà non soffocarlo sotto una montagna di schiamazzi e di bagordi.
La seconda idea, che nasce per gemmazione spontanea dalla prima, è un rapido esame di coscienza dell’anno che muore: come ho usato il tempo che avevo a disposizione in questo 2011? Padre Pio scriveva che «di ogni minuto dovremo rendere strettissimo conto di ogni movimento della grazia, di ogni santa ispirazione, di ogni occasione che si presentava di fare il bene; la più lieve trasgressione della legge santa di Dio sarà presa in considerazione». Parole che mi fanno tremare le vene ai polsi, ma che sono, sostanzialmente, vere. Eppure, non posso fare più niente, il tempo vissuto è passato, il vecchio calendario è alle mie spalle, il male fatto rimane, il bene omesso in quella certa occasione non potrò più riacciuffarlo. Certo, posso pentirmi, posso ottenere il perdono, posso fare propositi.
Volgendomi indietro, e osservando l’anno che finisce, viene anche naturale allargare l’orizzonte, passando dal particolare della mia vita al palcoscenico pubblico: di solito, i giornali all’ultimo dell’anno provano a ricostruire i fatti importanti accaduti nel vecchio calendario. È un esercizio utile e interessante. Ma che ora, a ben guardare, ci riserva molte sorprese: a posteriori, alcuni fatti ci sembrano assai meno importanti di quando li abbiamo vissuti. Ci scopriamo a relativizzare molte notizie, molti avvenimenti. Certo, restano sul tavolo alcune svolte importanti: il 2011 è stato l’anno del terremoto in Giappone e dell’incidente alla centrale nucleare, della fantomatica “primavera araba”, della morte di Gheddafi e di Steve Jobs. E’ stato anche l’anno della “morte della politica” in Italia, con l’avvento di un governo tecnico che comanda senza aver incassato il voto popolare; è stato l’anno delle dimissioni di Silvio Berlusconi, e quindi la fine (forse) di un’era durata quasi vent’anni. Resta il fatto che oggi ognuna di queste vicende si ridimensiona, e diventa più piccola.
Ed eccoci alla terza e conclusiva riflessione: come sarà il mio 2012? Mi piacerebbe che fosse fatto da 365 giorni uguali al Natale di Mr. Scrooge, il famoso avaro convertito dagli spiriti che, nella favola di Charles Dickens, gli mostrano le catene del peccato e dell’egoismo che ci costruiamo con le nostre mani: Scrooge finalmente capisce e cambia vita, accorgendosi degli altri. Ed è anche questo l’augurio che mi sento di fare a tutti voi amici lettori per il nuovo anno: riscoprire, con l’aiuto di Cristo, le cose che contano veramente.

(Adattamento di: Mario Palmaro, Qualche idea sul passaggio all'anno nuovo, in La bussola quotidiana, 30 dicembre 2011)


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