mercoledì 1 agosto 2012

L’insostenibile leggerezza di Bersani, vescovo delle coppie gay

E bravo Pier Luigi Bersani, che con il suo annuncio obamiano – pensate un po’, punta di lancia del programma per il prossimo governo, dice il nostro candidato premier, sarebbe «il riconoscimento delle coppie gay» – ci consente di registrare la leggerezza di un leader. Come altro definire, se non “leggero”, uno che nel cuore di una crisi devastante per i lavoratori e per le famiglie ci regala la promessa di una minestra riscaldata alla Zapatero, con tutto il tragico fallimento che gli otto anni di Zapatero hanno regalato alla Spagna?
Non abbiamo nulla in contrario, ovviamente, a che ognuno si conduca nella vita sessuale che gli pare e piace. Non siamo sbirri e non abbiamo carriere di successo, come invece hanno coloro che vorrebbero imporci con i tribunali e le manifestazioni dell’orgoglio la loro agenda per la comune vita in società. E non siamo nemmeno finti democratici (e neanche falsi tolleranti) come quelli che esigono per sé un diritto di opinione incontestabile, mentre per gli altri, per chi contesta l’opinione che un bambino cresca meglio con due uomini o due donne piuttosto che con una mamma e un papà, approntano linciaggi mediatici e leggi liberticide come le cosiddette leggi “antiomofobe”.
Il fatto è che questa storia a cui anche Bersani ora vanta di volersi affratellare, è la storia di un “progressismo” fasullo e fallito. Che viene giù da legislazioni d’America e d’Europa del Nord e che riproduce, seppure all’inverso, rovesciato in relativismo, lo stesso moralismo settario che certo protestantesimo ha praticato per secoli. Quel moralismo che, dalla Riforma in avanti, da Munster a Ginevra, una volta attizzava la caccia alle streghe e impiccava l’eversore della Bibbia. Adesso il nuovo “tipo puritano” si scandalizza se non capisci che donna o uomo fa lo stesso (basta “l’amore”, no?) e se non promuovi la cultura dell’indifferenziazione sessuale. È questa la nuova morale “progressista”: indifferenza alla realtà di “come stanno le cose”, per darsi alla glacialità ideologica e puritana dell’astrazione che ha solo sostituito il sesso col dio. Col dio individualista, adorato in solitudine prima, e poi ripudiato, smarrito, infine riaddomesticato, ridotto a notaio della volubilità più fantasiosa dalle combriccole dei preti donna e dai militanti per i matrimoni gay.
C’è stato solo un transfert, lassù, nei paesi nordici che i provinciali progressisti italiani (e prima di loro i poveri spagnoli) hanno voluto imitare, dicono, per “ammodernare” e mettere la società al famoso “passo dei tempi”: dai tempi del Dies Irae di Dreyer è solo cambiato l’ambito in cui religiose beghine e fanatici settari si esercitano: prima era il “libero esame”, adesso è il “libero sesso”.
La crisi del protestantesimo, vera anima della secolarizzazione (e della crisi in casa cattolica), non ha segnato la fine della religione. Bensì, ha alimentato il trasferimento dei suoi peggiori paradigmi – il fideismo, l’acriticità, l’attitudine fanatica e gregaria – sul piano mondano e nell’adorazione incondizionata dei “diritti”. Nel campo dell’azione umana, e a livello dei grandi organismi internazionali, si sono definiti ad esempio “diritti” la violazione di fatti umani elementari: si tratti di embrioni o di ovociti di donne congelati, di aborto come si fa la pulizia dei denti (e che chiamano con falsa lingua e falsa coscienza “diritti riproduttivi”) o di rivendicazioni matrimoniali gaylesbo, bisessuali e transessuali, è una vera e propria “religione universale” quella che, dall’alto di lobby e poteri internazionali, si cerca di imporre ai popoli.
Ma tornando all’Italia, al Bersani-Zapatero, viene da domandarsi: possibile che nel tempo della crisi del debito pubblico, del lavoro, delle nascite (che sono i fattori per cui i mercati non credono in una ripresa europea), la sinistra si ponga il problema di come mostrarsi presentabile alla signora segretario di Stato Hillary Clinton, invece che a una emergenza epocale che imporrebbe l’accantonamento di questioni irrilevanti – se non ulteriormente disgreganti – come il riconoscimento giuridico (con tutto ciò che ne consegue sul piano civile e politico) delle coppie gay? Possibile che non si capisca l’ideologicità negativa che hanno rivendicazioni come queste, che possono tranquillamente essere risolte sul piano del diritto privato, notarile, se proprio due persone dello stesso sesso vogliono scambiarsi impegni, cure, eredità, proprietà, alimenti e quant’altro? Possibile che si debba accettare (e tramandare alle nuove generazioni) come scontato e indiscutibile dogma la menzogna personale e sociale che il rapporto tra due identici sia uguale a quello tra un uomo e una donna, e che di entrambi si possa dire che sono paritariamente “cellule fondamentali di una società”? Possibile che sfugga l’idea di promuovere una riflessione non conformista e non stancamente supina al settarismo ideologico dell’agenda politica gay?

(Fonte: Luigi Amicone, Tempi, 31 luglio 2012)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cosa vi fa credere che gli elementi decostrutturanti della società sia slegati e casuali?