mercoledì 30 gennaio 2013

Monastero di Bose, “casa di tolleranza religiosa”, due

Non quante fedi ci son sotto lo stesso cielo, ma quale Dio c’è sopra.
Un’inchiesta, Seconda Parte.

Riprendiamo il nostro viaggio all’interno della Comunità di Bose. L’intento rimane lo stesso della prima parte: non scriviamo per condannare perché non sta a noi farlo. Scriviamo solo per amore di verità. E ribadiamo che ciò che diciamo sulla comunità di Bose – di cui poco ci cureremmo se non avesse pretese di cattolicità – lo affermiamo per evitare che molti cattolici restino confusi da un’esperienza che può certamente dirsi spirituale, ma che ci sembra non possa dirsi, con altrettanta sicurezza, pienamente cattolica. Come nella prima parte, inoltre, è opportuno ricordare che “casa di tolleranza religiosa” non vuole essere una definizione, ma un’espressione paradossale, imperniata sulle parole “tolleranza religiosa”. Non si vuole, perciò, offendere la comunità di Bose, ma soltanto esprimere dei dubbi sulla piena cattolicità della fede che lì si professa.
Scrive Bianchi nella regola del monastero: «Presiedere all’unità significa semplicemente esercitare il carisma dell’unità nella comunità. Chi presiede nella comunità non deve dominare ma solo servire i fratelli. Per questo gli sono essenziali il carisma della saldezza e quello del discernimento. Saldezza per riconfermare i fratelli. Come Pietro, dunque, peccatore come lui, rinnegatore per tre volte di Cristo, egli si convertirà e confermerà i fratelli con la sua saldezza. L’altro carisma è quello del discernimento: con questo si edifica l’unità della comunità».
Dice, dunque, Bianchi: “Saldezza per riconfermare i fratelli. Come Pietro, dunque, peccatore come lui, rinnegatore per tre volte di Cristo, egli si convertirà e confermerà i fratelli con la sua saldezza…”. Ancora una volta i non cattolici vengono messi sullo stesso piano dei cattolici e, peggio ancora, sullo stesso piano di Pietro; anche i non cattolici dunque possono “confermare, riconfermare i fratelli” perché, spiega in sostanza Bianchi, il fratello, non cattolico, nella casa della tolleranza religiosa, peccatore come Pietro che rinnegò Gesù ma poi si è convertito, potrà confermare i fratelli con la medesima saldezza di Pietro…
Siamo al sincretismo più evidente, al soggettivismo puro!
“Convertito” a chi, se ognuno rimane tranquillo nella propria fede, separato nella Chiesa? Se non ci fosse la presenza dei cattolici nella comunità bosiana, non avremmo nulla da obiettare a questa Regola, ma dal momento che ci sono perché questi non dovrebbero seguire direttamente Pietro? Come può un cattolico farsi confermare in una fede che nell’altro confratello è disgiunta dalla fede di Pietro in tutta la sua articolata trasformazione dottrinale e dogmatica bimillenaria?
L’altro carisma, dice Bianchi, è il discernimento e con questo si edifica l’unità della comunità. Ma il cattolico dovrebbe sapere che l’unità della comunità si edifica nella più alta forma della carità che parte dall’adorazione Eucaristica, dall’andare alla Messa – anche ogni giorno, se può – dal correggere il fratello che è in errore e non assecondarlo e dirgli o fargli credere che la sua fede non cattolica è giusta o che va bene così…
Questa forma di carità è particolare perché Nostro Signore Gesù Cristo volle istituire con la sua Chiesa un mezzo sicuro ed efficace per trasmettere la Salvezza. Quando la Chiesa insegna questa Salvezza non intese mai dire che tutti gli altri che non appartengono alla Chiesa siano eternamente dannati o perduti, ma dice che la sola Chiesa di Gesù Cristo ha la potenza di condurre gli uomini alla certezza della salvezza. I mezzi per conseguire l’eterna salute sono quelli ordinari, ma anche quelli straordinari: i mezzi ordinari sono nelle mani della Chiesa e sono i suoi divini sacramenti; quelli straordinari sono nelle mani di Dio e sono quelli che la Chiesa definisce “strade misteriose che conducono a Dio”. Tuttavia anche i mezzi straordinari si muovono in un modo ordinato che ha nella divina Eucaristia, la Santa Messa, il suo principio motore. Importanti sono poi le preghiere della Chiesa e dei fedeli, specialmente il santo rosario.
Scrive a ragione monsignor Antonio Livi: «Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, “colonna e fondamento della verità”, se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi».
Che nella Chiesa vi sia questa salvezza è perciò la carità particolare che il Signore Gesù Cristo ha voluto consegnare ad Essa. [leggi anche qui, “Guai a chi tocca gli intoccabili” di Sandro Magister].
Proprio nel Messaggio della Quaresima 2012 Benedetto XVI ha ammonito: «Il – prestare attenzione – al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: “Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere” (Pr 9,8s)».
Ripetiamo, pertanto, che un conto è la presenza dei non cattolici nella comunità di Bose, altra cosa è la presenza di cattolici, i quali dovrebbero così mettere da parte dogmi e dottrine per non urtare la sensibilità degli altri e, peggio ancora, usare la virtù dell’umiltà per riconoscersi, nella fede, sullo stesso piano dei non cattolici. Questo non né corretto né giusto, ed è l’unica motivazione che ci ha spinto a scrivere questo articolo dettagliato.
Il fatto che il papa incontri Enzo Bianchi, gli stringa le mani, lo benedica, non significa affatto una conferma, come lascerebbe intendere Bianchi per farsi pubblicità.
Ricordiamo tutti il bacio al Corano di Giovanni Paolo II: cosa dovremmo dedurne? che il papa abbia confermato il Corano o l’Islam facendolo diventare “cattolico”? Suvvia! I gesti dei pontefici sono incoraggiamenti che si possono condividere o meno per una pacifica ricerca della verità, ma per un cattolico non bastano.
Noi non siamo “contro” Bose o Bianchi, ma dibattiamo la presenza dei cattolici in questo quadro che non solo stona, ma è incoerente con la fede che professiamo. Il fatto stesso che a Bose non ci siano “monaci islamici”, la dice lunga e chiarisce lo scopo del sincretismo cristiano al quale vuole giungere Bianchi: tutte le fedi cristiane sono uguali! Non è l’Eucaristia che unisce ma il libro, la Scrittura, interpretata da Bianchi.
Per chiarire meglio questo aspetto riporto la lettera del vescovo di Pinerolo, Pier Giorgio Debernardi, che si trova nella prefazione del libro “Preghiera dei giorni” – in uso alla Comunità, pubblicato nel marzo 2011 e scritto da Bianchi - nella quale viene detto: «La Comunità monastica di Bose, fin dal suo nascere, è stata un ponte tra le diverse confessioni cristiane. Continua a esserlo con il suo stile di vita, con l’approfondimento della teologia e della spiritualità ecumenica, con il suo martirologio ecumenico e, soprattutto, con la sua liturgia. La preghiera dei giorni è, infatti, un testo eccellente in cui tutti i cristiani si ritrovano come nella propria casa…».
Perfetto! Nulla da eccepire: siamo d’accordo. Il vescovo dice infatti che la Comunità di Bose è “un ponte tra le diverse confessioni cristiane”, ma proprio qui sta l’ambiguità e la confusione. Se Bose è considerato un ponte tra le diverse confessioni cristiane, il cattolico ospitato verso quale deve andare, dal momento che dovrebbe incarnare in sé la pienezza della Rivelazione che gli è stata tramandata dalla Chiesa medesima e, deve dunque, egli stesso portarla nella comunità di Bose evangelizzando gli altri ospiti? Non si può far loro credere che ognuno stia bene dove sta, che basti adattare una liturgia e un breviario al loro modo di pensare e gestire la fede finendo per mettere la Chiesa cattolica sullo stesso livello delle altre confessioni cristiane.
Non esiste un “martirologio” fatto di persone che hanno combattuto la Chiesa e che possa essere definito “buono” per il cattolico. Parliamo pure fraternamente di queste persone, ma non definendole “martiri”. Lasciamolo a Dio questo giudizio.
Che il testo promosso dal vescovo sia “eccellente” non lo mettiamo in dubbio. Ma cosa se ne fa un cattolico, quando dovrebbe essere invitato a meditare su testi puramente cattolici come quelli di sant’Alfonso M. de Liguori, di san Borromeo, di san Bellarmino, sul “Dialogo della Divina Provvidenza” di santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa o sugli scritti di santa Teresina, di san Giovanni della Croce, sul “Trattato della vera Devozione a Maria” di san Luigi M. Grignon de Montfort ed altri? Questo deve dire un vescovo ad un cattolico, alla lettura di questi testi egli deve invitare i non cattolici; il suo compito è di spingere e sollecitare le pecorelle smarrite ad entrare nell’ovile, che è la Chiesa Cattolica, e non a rimanere dove stanno, offrendo ad esse cibi surrogati.
Scrive a ragione mons. Livi sul metodo di Bianchi: «Nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo…».
Dice ancora il vescovo Debernardi nella “Lettera”: «Oggi c’è una diffusa esigenza di spiritualità e c’è nel profondo del cuore dell’uomo la nostalgia di Dio. Anche molti giovani che trascorrono giorni di silenzio a Bose trovano nella preghiera liturgica dei monaci una risposta alla loro domanda di senso e di speranza».
Va bene anche questo, è perfetto e siamo d’accordo, ma cosa c’entra con il cattolico?
Tutti abbiamo e proviamo “nostalgia di Dio”, ma il cattolico trova nel Santissimo Sacramento e nelle devozioni alla Vergine Maria e nel culto dei Santi che gli sono propri, quella esigenza spirituale necessaria allo scopo, trova il “silenzio”, se lo vuole davvero. Non è che per trovare tutto ciò egli debba ritrovarsi in un percorso che invece di portarlo avanti finirebbe, inesorabilmente, per allontanarlo dalla prassi liturgica della Chiesa e dalla devozione mariana che è specifica della fede cattolica. Un vescovo dovrebbe appoggiare e sostenere la fede e la pratica della Chiesa e non sponsorizzare un martirologio comunitario dove si venera un Martin Lutero martire o Buddha!
La Comunità di Bose ha la sua ragion d’essere se resterà ciò che è “un ponte tra le diverse confessioni non cristiane”, non in comunione con Roma e, pertanto, indirizzate con lo sguardo verso la comunione con Roma. Infatti, senza parlare di primato vero e proprio, Ireneo e Tertulliano avevano già indicato nella Chiesa romana la via sicura, l’unica, per accertare l’autentica Tradizione Apostolica e garantire la comunione tra le chiese. Perché il problema, diciamolo una volta per tutte, non è in quel “pregare insieme” che è in se buono, ma in quel definire o leggere, o interpretare, o vivere la fede cattolica sullo stesso piano delle altre fedi.
In questo modo, invece, la Comunità di Bose, apparirà sempre più come una “casa di tolleranza”, dove ogni religione trova spazio, se si adopererà in un chiaro sincretismo delle fedi, abbassando la fede cattolica allo stesso livello delle altre, anziché spingere se stessa e le altre confessioni verso quel senso verticale che è proprio della Chiesa cattolica. Certo, anche le Chiese orientali (gli ortodossi) hanno questo senso verticale, ma sono separate da Roma; vogliono, per ora, restare separate da Roma, ma mantenere un dialogo aperto.
Insomma, siamo ad un rapporto continuamente soggettivo della fede, a Bose. Certamente, in una qualche misura, il centro è anche per loro Gesù Cristo, ma spogliato del suo Corpo che è la Chiesa e per la quale la Comunità di Bose ha creato uno spazio oseremo dire intermedio, del tipo “separati non divorziati”, per il quale taluni vescovi non si sono risparmiati in promozioni e benedizioni.
Tuttavia, alla luce di quanto esposto, vogliamo una risposta: ma che c’azzecca il cattolico in qualità di monaco a Bose, se non è egli stesso portatore, evangelizzatore, della verità e dell’unità nella Chiesa?
Ultimamente non si fa altro, in campo ecumenico, che parlare dei preparativi, per il 2017, per i festeggiamenti della riforma di Lutero e la Chiesa è stata invitata agli eventi! In questo contesto siamo rimasti gradevolmente sorpresi dalle dichiarazioni del Presidente del Pontificio Consiglio per la Unità dei Cristiani sul sito della diocesi di Münster. Il cardinal Koch è stato estremamente chiaro: «Non possiamo celebrare un peccato». Così, senza anestesia: «Gli eventi che dividono la Chiesa non possono esser chiamati un giorno di festa».
Ma evidentemente esiste una parte di Chiesa che continua a navigare per conto proprio. Se nel “calendario liturgico” di Bose, chiamato persino “martirologio ecumenico”, Lutero è già commemorato, cosa faranno per il 2017… lo canonizzeranno?
Si è aperto l’Anno della Fede: quando un cattolico parla di questa fede intende quella trasmessa dalla Chiesa, con tutte le dottrine, i sacramenti e i dogmi. È sufficiente non essere d’accordo su una sola parte della dottrina per non essere cattolici ma “cristiani separati”, separati dalla piena comunione con la Chiesa. Mentre si può essere non d’accordo sui modi con i quali si trasmette in diversi ambiti questa fede e si può dialogare e discutere civilmente ed essere tolleranti con le diverse vedute, non si può assolutamente non essere d’accordo con parte della dottrina e poi dirsi cattolici e magari farsi anche testimoni.
«I santi e i beati sono gli autentici testimoni della fede. Sarà pertanto opportuno che le conferenze episcopali si impegnino per diffondere la conoscenza dei santi del proprio territorio, utilizzando anche i moderni mezzi di comunicazione sociale» (Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede, della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 gennaio 2012)
Ci chiediamo se il “cattolico-bosiano” intenderà, in questo Anno Fidei, trasmettere ai suoi “confratelli” questa integrità della fede, con un parlare “si, si – no, no”, senza tentennamenti nella dottrina. Come dice il papa nel motu proprio “Porta Fidei”: «È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede… (…) Come attesta il “Catechismo della Chiesa Cattolica”: “Io credo”: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire ‘Io credo’, ‘Noi crediamo”».
Un “crediamo” non in senso generico, non sincretista, ma nel senso cattolico, nel quale la Chiesa è Sposa del Dio incarnato in cui crediamo e noi siamo le membra del Corpo. Questo perché crediamo nella fede della Chiesa con tutto ciò che questo comporta, con tutte le dottrine “pure ed integre, senza attenuazioni, senza travisamenti, senza compromessi”.
Riconosciamo di essere peccatori – e “pure papisti” (come diceva Lutero per disprezzo) – ma bisognosi di Cristo e dei suoi sacramenti per essere salvati, bisognosi del papa, e proprio per questo membra della Chiesa.
Vorrei concludere queste riflessioni non con le mie parole, ma con le parole di un vero teologo, che faccio mie, Padre Giovanni Cavalcoli, O.P., che così fa meditare e riflettere in un recente scritto sul sito internet “Riscossa cristiana”: «Uno dei mali del periodo postconciliare, denunciato molte volte da studiosi attenti alle vicende della Chiesa, è la debolezza delle autorità nel correggere gli errori dottrinali, oggi molto diffusi proprio a causa di questa desistenza dell’autorità, conformemente al simpatico motto popolare “quando la gatta dorme i topi ballano».
Ma la cosa grave è che in questi ultimi anni è avvenuta un’escalation, se così si può dire, in questa inosservanza al proprio dovere da parte dell’autorità: non solo oggi essa tollera la libera diffusione delle eresie mostrandosi priva di vigilanza, pavida e latitante, ma addirittura, qua e là, essa – intimorita dal chiasso dei modernisti che spesso hanno raggiunto posizioni di potere – cede ad un vergognoso rispetto umano. Questo conduce l’autorità non solo a ignorare quei pochi che ancora cercano di correggere gli errori e diffondono e difendono la sana dottrina, ma addirittura a censurali o a perseguitarli in nome di futili pretesti, privi di qualunque fondamento giuridico e di buon senso pastorale.
È un po’ come se il primario di un ospedale, impaurito dalla pressione di medici invidiosi nei confronti di un collega zelante ed attivo, proibisse a questi di curare e lasciasse gli altri a compiere tranquillamente i loro guasti ai danni dei malati.
I modernisti, raggiunte posizioni di potere, sono diventati schiavi di un’arroganza e di una conseguente cecità che li portano ad ignorare le critiche che a loro vengono rivolte dai teologi fedeli alla sana dottrina, al magistero e al papa. Anzi, se reagiscono a queste critiche, facilmente accusano il cattolico fedele di “diffamazione”, mostrando con ciò stesso di abusare delle parole e di ignorare le prescrizioni del diritto, della giustizia e della verità. Ma a loro importa poco, perché si sentono forti e pensano di poter vincere non con la lealtà e la forza del diritto, ma con la prepotenza e la violenza.
Essi abilmente confondono le acque chiamando “diffamazione” quella che può essere un’acuta ed opportuna critica teologica, la quale, per così dire, “scopre i loro altarini” e denuncia le loro truffe. Ciò dà a loro un immenso fastidio, ma poiché, naturalmente, essendo dalla parte del torto, non hanno validi argomenti per difendersi, quando non si chiudono in un sprezzante silenzio, reagiscono con insulti, false accuse e provvedimenti repressivi. Loro che volentieri proclamano il “rispetto del diverso”, la “libertà della ricerca” e il “pluralismo teologico” nonché l’”ecumenismo” e il “dialogo interreligioso”, persino con i “non credenti”.
Si parla tanto di dialogo, ma spesso i grandi maestri del “dialogo”, vittime di grossolani errori filosofici e teologici, non tollerano le minime osservazioni fatte peraltro da teologi dotti, caritatevoli e pienamente fedeli alla buona dottrina ed al magistero della Chiesa. Essi “dialogano” solo con coloro che condividono i loro errori nonché con gli esponenti delle dottrine più strampalate ed anticristiane respingendo sdegnosamente gli avvertimenti, i richiami o le critiche di qualunque genere fatti dai fratelli di fede.
Speriamo che l’Anno della Fede sia occasione per tutti – perché nessuno è infallibile – per una sincera revisione delle nostre idee, per vedere se sono veramente conformi alla sana ragione, alla verità del Vangelo ed alla dottrina della Chiesa, in un rinnovato impegno di approfondimento della verità e di comunicazione di essa all’intera umanità.
 

(Fonte: Tea Lancellotti, Papalepapale, 27 novembre 2012)
 

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