lunedì 23 febbraio 2015

Divorziato, risposato, comunicante. Una testimonianza

Quello che segue è un nuovo intervento, il terzo, stimolato dal saggio di Guido Innocenzo Gargano su matrimonio e seconde nozze nel Vangelo di Matteo, pubblicato su “Urbaniana University Journal” e rilanciato da www.chiesa: Per i “duri di cuore” vale sempre la legge di Mosè (che consiglio di leggere per entrare con cognizione di causa nel problema).
Mentre i primi due commenti, di Silvio Brachetta e di Antonio Emanuele, entravano nel merito dell’esegesi delle parole di Gesù, questo di Valentino Bobbio ha il sapore della testimonianza personale.
Bobbio descrive la sua esperienza di divorziato e di risposato civilmente che ha avuto “la fortuna di trovare comunità ecclesiali accoglienti e inclusive”, oltre che un direttore spirituale che lo “ha invitato a continuare nell’impegno ecclesiale e nell’eucarestia”. In piena consonanza, quindi, con la prevalenza della misericordia sulla legge, messa in luce da padre Gargano nelle parole di Gesù.
Il caso qui descritto mostra come la comunione ai divorziati risposati non sia solo una questione teorica in attesa di una soluzione futura, affidata all’esame del sinodo, ma sia già anche una realtà di fatto, attuata con il conforto e l’incoraggiamento di non pochi pastori e con l’ammirato riferimento alla prassi delle Chiese orientali.
Questa prassi è ritenuta più “misericordiosa” di quella della Chiesa cattolica per il suo ammettere le seconde nozze. Ma va anche tenuto presente che essa è storicamente molto più debitrice al prepotere dei tribunali civili che al dettato evangelico, come mostra la dettagliata ricostruzione che ne ha fatto alla vigilia del sinodo l’arcivescovo di rito greco Cyril Vasil, gesuita, segretario della congregazione vaticana per le Chiese orientali, già decano della facoltà di diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma:
> Divorzio e seconde nozze. La cedevole “oikonomia” delle Chiese ortodosse
Ma lasciamo la parola a Valentino Bobbio.
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«Gentile Sandro Magister,
la mia dolorosa e faticosa esperienza personale – oltre che la riflessione sui testi pubblicati sul suo blog – mi porta a condividere le fini e documentate argomentazioni di Guido Innocenzo Gargano nell’intervento su “il mistero delle nozze cristiane”, ed a concordare con il suo approccio, che unisce alla giustizia di Dio la misericordia, ed anzi ci ricorda che quest’ultima connota tutto l’insegnamento di Gesù, che la fa sempre prevalere sulla legge.
Il mio primo matrimonio, con una donna di grande valore e fede, è stato una sofferenza indicibile, fatta di incomprensioni continue e profonde. Dieci lunghi anni di dolore, rifiuto e torture psicologiche, anche se con la gioia di due splendidi figli. Innumerevoli i tentativi di risanare il rapporto con l’aiuto di psicologi, sacerdoti ed amici. La verifica del processo di nullità del matrimonio mi aveva fatto rinunciare, perché le modalità mi parevano offensive per mia moglie. Ero talmente distrutto che pensavo fosse impossibile un rapporto sereno e di condivisione tra uomo e donna.
Poi ho incontrato Francesca, mia moglie attuale: ero spaventato, tendevo a fuggire e attendevo spaventose tempeste che non sono mai arrivate. Ogni giorno sereno, di dialogo e condivisione mi pareva un miracolo unico destinato, immaginavo, a finire nella tragedia. Invece sono passati venticinque anni bellissimi di crescita insieme. In un clima di sostegno reciproco, rispetto e fiducia, abbiamo una casa aperta agli amici ed alle persone che hanno bisogno, e a cui Francesca è di grande conforto. Abbiamo un altro figlio, ma anche i due altri figli della mia ex moglie sono quasi nostri figli, ed i cinque fratelli vengono sovente, ancora adesso che sono grandi, tutti insieme in vacanza con noi.
Il mio confessore, don Arturo Ferrera che aveva seguito anni di tormenti e dolore – un grande biblista che aveva studiato al Capranica, emarginato a suo tempo dal cardinale Siri (quando poi, lasciato il ruolo di arcivescovo, don Ferrera andava a trovarlo, si chiedeva: “Perché vieni a trovarmi tu che avevo messo da parte e non vengono gli altri, che erano di mia fiducia e che ho fatto crescere?”) –, quando ho conosciuto Francesca mi ha detto: “Ora basta, approfondisci seriamente il rapporto con lei: nella Chiesa orientale è consentito un secondo matrimonio, in tono minore” e mi ha invitato a continuare nell’impegno ecclesiale e nell’eucarestia. Francesca è buddista, ma don Ferrera mi ha confortato, e confermo che la sua fede costituisce un grande valore e un’occasione importante di approfondimento e di intesa.
Anche la mia ex moglie, risposata civilmente come me, svolge il ruolo di catechista e di animatrice in parrocchia e suo marito è diventato anche lui studioso di teologia, molto impegnato. Abbiamo avuto tutti la fortuna di trovare comunità ecclesiali accoglienti ed inclusive, che ascoltano e cercano di capire i problemi, evitando di giudicare il cuore ed il comportamento delle persone, rispettose della coscienza e delle faticose e dolorose esperienze.
Non cambia la nostra visione della famiglia: l’attenzione, il desiderio di comunione vanno coltivati in una prospettiva di fedeltà al progetto comune, consapevoli delle nostre fragilità e limitatezze, e questo richiede impegno e indubbio superamento di ostacoli.
Purtroppo non hanno trovato comunità accoglienti e, direi profondamente ispirate e permeate dal Vangelo, sia quell’amico ginecologo che, avendo rifiutato di fare obiezione di coscienza per mantenere un dialogo credibile e non settario con le sue pazienti (pur essendo riuscito a non fare aborti), è stato cacciato dalla Chiesa; e così pure quel nostro amico gay che si è sentito giudicato, disprezzato, respinto e buttato fuori dalla Chiesa.
Dobbiamo veramente come comunità ecclesiali convertirci al Vangelo superando le nostre paure e timori (quelli che rendevano così rigidi e chiusi i farisei) e ricordarci, come ci dice padre Gargano, che la Nuova Alleanza proposta da Gesù è fondata non più sulla legge, ma risiede nel cuore. La Chiesa, egli ci ricorda, ha sempre affermato il primato della coscienza (il che non toglie che molto spesso non lo abbia rispettato, compiendo misfatti ed efferatezze), perché il giudizio sulle cose interne appartiene solo a Dio, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5, 45). E Gesù non è venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo (Gv 12, 47), perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9, 12). Infatti la Chiesa, ricorda padre Gargano; ha sempre ritenuto suo compito formare le coscienze, rispettando comunque l’autonomia del foro interno, fino al paradosso che, anche nei momenti più bui dell’inquisizione, la Chiesa condannava il comportamento esterno (e purtroppo quindi il corpo), lasciando alla misericordia di Dio la valutazione della coscienza e delle motivazioni dei condannati.
L’insegnamento della Chiesa orientale, sempre molto attenta a rispettare l’annuncio evangelico, legge le parole di Gesù sul matrimonio con più misericordia e in modo meno formale e meno giuridico, con meno paure rispetto alla nostra Chiesa ed a molte nostre comunità ecclesiali.
La fede ci deriva, e viene rafforzata, dalla testimonianza e dall’attenzione alla persona che viviamo nelle nostre comunità (Dio non ha mani, ha solo le nostre mani, dice una preghiera fiamminga; San Francesco diceva: Signore fai di me uno strumento della tua pace). Quante persone perdono la fede perché isolate e perché la loro comunità non le ascolta, non le capisce, ma, piena di paure le giudica e le condanna?
Credo proprio che il Dio della vita, come dice padre Gargano, abbia l’obiettivo di portare l’uomo, tutti gli uomini, “alla pienezza della vocazione originaria”, ossia alla pienezza di una vita di relazioni profonde, di comunione e di rispetto reciproco, e questo è quello che ci insegna la nostra Chiesa che vogliamo costruire come comunità inclusiva e accogliente. Valentino Bobbio». (Cfr. http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/)
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A questo punto mi siano concesse alcune personalissime considerazioni.
Non voglio entrare in sterile polemica con l’autore della lettera: quello che descrive è una sua personale esperienza, e se lui è tranquillo di essere nel giusto, intendo lasciarlo nella sua irenica tranquillità.
Questo non mi esime tuttavia dal definire le corbellerie descritte (chiedo scusa per il termine, ma io le vedo tali!) un discorso apertamente autoreferenziale, un “Cicero pro domo sua”, un maldestro tentativo di giustificare relativistiche e utilitaristiche convinzioni personali, fondandole su una fantomatica ortodossia dottrinale, basata sulla “teologia della misericordia” ormai condivisa da tutti, in primis ovviamente da “illuminate” e preparatissime guide spirituali; quindi come sicure ispiratrici di un corretto comportamento cristiano cattolico.
1) Il fatto che l’armonia con la sua prima moglie (peraltro “catechista” (?)  impegnata, che in seconda battuta si unisce civilmente ad un uomo esemplare, studioso di “teologia”!) sia presto degenerata in “dieci lunghi anni di dolore, rifiuto e torture psicologiche”, non fa altro che riproporre valutazioni personali scontate su un rapporto chiuso per carenza d’amore: e qui l’autore dimentica (convintamente?) di fare qualunque cenno di autocritica che riconosca quantomeno un 50% di sua personale responsabilità nel comune fallimento; anzi, nella sua “accorata” confessione, egli lascia trapelare il convincimento che l’unica responsabile sia la “moglie”: lui poverino ha fatto di tutto, ha cercato ogni possibile via per salvare il salvabile, è ricorso a specialisti, professori, preti, ma tutto inutilmente: “lei” è stata irremovibile; anche il ricorso ad un “riesame” sulla validità del vincolo da parte della Rota Romana, è stato da lui accantonato «perché le modalità mi parevano offensive per mia moglie» (che sensibilità!).
Insomma, nonostante lo sforzo di far apparire il suo caso come espressione di una “particolare” crudeltà mentale (“nihil novi sub sole”), penso si tratti invece più semplicemente di un matrimonio “normalissimo”, che si è infranto, né più né meno come milioni di altri casi, contro la roccia del reciproco, incancrenito egoismo personale dei coniugi: di questo si tratta, come a questo solo riconducono in genere tutti i naufragi matrimoniali.
2) A questo punto che succede? Andato in malora il rapporto precedente, nonostante i figli, il poveretto deve darsi da fare: per fortuna incontra colei che sarà la sua nuova compagna di vita: inizialmente lui è impaurito, spaventato, si aspetta da un momento all’altro che anche in lei, improvvisamente, esploda quella metamorfosi femminile antimaschilista, dominatrice, tipica di tutte le donne sposate: però «Francesca» è speciale: lei è un tipo straordinario, è «buddista» (ma non importa: il confessore «mi ha confortato» (!?!), dicendogli: «Ora basta, approfondisci seriamente il rapporto con lei: nella Chiesa orientale è consentito un secondo matrimonio, in tono minore» e soprattutto (attenzione!) «mi ha invitato a continuare nell’impegno ecclesiale e nell’eucarestia» (Eccolo qui il punto!). Quindi, decide di sposarla civilmente: e con lei “abbiamo un altro figlio, ma anche i due altri figli della mia ex moglie sono quasi nostri figli, ed i cinque fratelli (ma quanti sono: due più uno fanno tre, non cinque!) vengono sovente, ancora adesso che sono grandi, tutti insieme in vacanza con noi”. Che bello! Una scenetta da “Mulino Bianco Barilla”.
3) Conclusione? Tutto ok, tutto come prima, come se nulla fosse successo: per fortuna «abbiamo avuto tutti la fortuna di trovare comunità ecclesiali accoglienti ed inclusive, che ascoltano e cercano di capire i problemi, evitando di giudicare il cuore ed il comportamento delle persone, rispettose della coscienza e delle faticose e dolorose esperienze». «Purtroppo (gli altri) non hanno trovato comunità accoglienti e, direi profondamente ispirate e permeate dal Vangelo», come «quel nostro amico gay che si è sentito giudicato, disprezzato, respinto e buttato fuori dalla Chiesa»!.
Non aggiungo una parola di più: non so se questa lettera rappresenti una esperienza reale, o non piuttosto il parto di una fantasia prolifica. Rimane il fatto che sia il prete “consigliere” che il suo autore, rappresentano purtroppo una mentalità liberista, possibilista e relativistica, che si va espandendo a macchia d’olio, favorita in questo dalla grave carenza di chiare direttive dottrinali, che esplicitino inappellabilmente l’esatto comportamento dei cattolici.
Certo, c’è il patrimonio del pensiero teologico, c’è il magistero ecclesiale, c’è il Catechismo della Chiesa Cattolica: ma – si chiede l’uomo della strada - tutto questo è ancora valido?

(ma.la., 23 febbraio 2015)

 

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