mercoledì 27 maggio 2015

Ecco cosa pensano i veri teologi di Vito Mancuso

Il teologo del politicamente corretto, Vito Mancuso, ha recentemente offerto ai lettori di “Repubblica” un’altra perla new age pescata dal suo repertorio.
Il noto teologo mediatico -temendo di parlare di Dio, di Gesù Cristo e del suo messaggio evangelico-, ha infatti spiegato che l’uomo dovrebbe scegliere il bene al posto del male, anche se quest’ultimo talora risulta più conveniente, semplicemente in nome dell’etica (laica), cioè «la logica della relazione armoniosa che abita l’organismo a livello fisico e che lo fa essere in salute, l’armonia tra le componenti subatomiche che compongono gli atomi, tra gli atomi che compongono le molecole, e così sempre più su, passando per cellule, tessuti, organi, sistemi, fino all’insieme dell’organismo», secondo la sua definizione.
E qualunque cosa ciò voglia dire, la conseguenza è che «il segreto della vita in tutte le sue dimensioni è l’equilibrio, e l’etica non è altro che l’equilibrio esercitato tra persone responsabili». Basta rispettate delle regole sociali per essere felici e trovare il segreto della vita, altro che i comandamenti di quel Messia mediorientale! In un altro suo scritto recente spiegava con un ennesimo abuso teo-panteista che il senso della vita, la meta è «fare di noi stessi un giardino». Sarà contento il WWF!
La domanda sorge spontanea: se l’autorità e la reputazione di un intellettuale la si valuta anche nella stima che i diretti colleghi provano nei suoi confronti, cosa ne pensano i teologi, quelli veri e autorevoli, di Vito Mancuso? Ecco qui una bella carrellata di opinioni:
Mons. Piero Coda, presidente dell’Associazione Teologica Italiana, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense, membro del Consiglio Scientifico dell’Enciclopedia Italiana nonché professore e primo relatore della tesi di Vito Mancuso, ha preso le distanze dal suo ex allievo nel libro “Dio crede in te” (Rizzoli 2009): «Mancuso tende a sottovalutare la portata universale dell’evento di Gesù. Dice di rifarsi alla tradizione metafisica dell’evento cristologico e parla di una teologia universale: ma l’universalità, dal punto di vista della fede, è radicata nella singolarità dell’evento di Gesù Cristo. In sostanza, il progetto di Mancuso di una rifondazione metafisica della fede consentanea alla ragione contro le timidezze e i formalismi della teologia postconciliare è più un’intenzione che un risultato». Rispetto alla coesistenza del male e di Dio, di cui parla in alcuni libri, «Mancuso non riesce a cogliere la logica, senz’altro profonda e persino misteriosa», che lega i due assunti. «D’altra parte, ciò che gli manca è guardare al focus che li illumina: Gesù Crocifisso e Risorto».
Il teologo Bruno Forte, anche lui professore di Mancuso presso la Facoltà Teologica “San Tommaso d’Aquino”, ha scritto un articolo su “L’Osservatore Romano” nel febbraio 2008 dopo aver letto un suo libro, dicendo: «ha suscitato in me un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati». Il suo pensiero è «una “gnosi” di ritorno, presentata nella forma di un linguaggio rassicurante e consolatorio, da cui molti oggi si sentono attratti».
Il teologo e filosofo Antonio Livi, docente di Filosofia della conscenza all’università Gregoriana e professore emerito della Pontificia Università Lateranense, nonché allievo del filosofo Étienne Gilson, ha questa opinione di Vito Mancuso: «Premetto una cosa: rispetto Giuliano Ferrara, che è un “ateo devoto”, Marcello Pera che è ateo ma rispetta il cristianesimo. Rispetto Paolo Flores D’Arcais, che è un anticattolico viscerale, e anche l’antireligioso Piergiorgio Odifreddi. Ma se uno si presenta come teologo cattolico deve stare a certe regole, logiche ed epistemolgiche». Mancuso «è considerato un teologo, ma il contenuto e l’impianto del suo testo contraddicono la natura della teologia. Tratta con scandalosa superficialità temi che meriterebbero ben altro rispetto, commettendo diversi notevoli svarioni», ha scritto. Nell’articolo “Mancuso, il falso teologo”, del novembre 2011, ha scritto inoltre: «Mancuso parla e scrive di teologia, e i suoi libri hanno avuto in Italia una vasta e chiaramente interessata eco nei mass media di orientamento laicistico: evidentemente, alla cultura anti-cattolica non può che far piacere che un autore che si proclama cattolico e teologo demolisca uno per uno tutti i dogmi della fede cattolica (era già successo anni or sono con i libri di Hans Küng) […]. E’ questo modo di affrontare gli argomenti della fede cristiana che non consente di considerare Mancuso un teologo», non accorgendosi che «la sua teoria ripropone, senza sostanziali novità speculative, la vecchia eresia pelagiana […]. Quello di Mancuso è genuino panteismo (anche se teoreticamente inconsistente)». E in conclusione: «Insomma, la pseudo-teologia di Mancuso piace ai miscredenti perché porta acqua al mulino della polemica contro la Chiesa e ripropone (proprio come aveva fatto in precedenza Hans Küng con la sua Welthetik) il progetto massonico di una religione universale “laica” senza gerarchia e senza dogmi, quella religione che alla fine del Settecento era stata teorizzata dal massone Gotthold Ephraim Lessing con Nathan der Weise».
Un altro suo collega, Angelo Busetto teologo presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, nell’aprile 2013 ha spiegato che Mancuso è «un autore che si definisce e si fa definire ‘teologo’ […]. Qualche tempo fa avevo letto con una certa simpatia qualche suo intervento, nel tentativo di riconoscergli lo sforzo di avvicinare la teologia ai problemi dell’uomo d’oggi. Ormai però mi sembra di vederlo imbarcato con l’equipaggio di chi si fa servo dei luoghi comuni ampiamente propagandati sui mass-media».
Padre Gian Paolo Salvini, gesuita e direttore della prestigiosa “La Civiltà Cattolica”, ha esposto brevemente il suo pensiero su Mancuso nel gennaio 2008: «stiamo preparando un articolo sul libro di Mancuso. Un articolo per la verità molto critico, credo che su molti punti quanto egli scrive non sia compatibile con la fede cattolica. Ma il libro e il linguaggio sono seducenti anche perché parlano di cose che interessano alla gente. Lui poi è molto amabile e cortese, anche personalmente. Il suo linguaggio è molto evanescente e immaginifico, per cui spesso non si capisce che cosa voglia dire».
Un altro suo collega, il famoso teologo Enzo Bianchi, amareggiato nel vedersi citato a sproposito nel libro scritto con Corrado Augias, ha commentato: «le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c’è da parte di Dio né rivelazione né grazia».
Padre Giovanni Cavalcoli, docente emerito della Facoltà Teologica di Bologna, ha spiegato nel marzo 2013 che «Mancuso rappresenta l’ala secolarista tendenzialmente atea del modernismo, di carattere popolare e sovversivo, che, come sappiamo, si affianca all’altra ala più intellettuale e legata agli ambienti della cultura e della gerarchia cattolica, la quale affetta una forma di spiritualismo raffinato che in fondo non è che riesumazione della tradizione gnostico-idealistica tedesca». Nel 2010 ha invece smontato punto per punto il libro di Mancuso intitolato “L’origine e l’immortalità dell’anima”.

Il suo vecchio amico e collega, l’affermato teologo Gianni Baget Bozzo, gli ha domandato nel 2008: «Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?».
Il teologo gesuita Giovanni Cucci, docente di Filosofia e Psicologia all’Istituto “Aloisianum” di Padova e presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha scritto di Mancuso nel 2010 stroncando il libro “La vita autentica”: «Mettendo a confronto le varie parti del libro, il meno che si possa dire è che la conduzione del discorso risulta molto ambigua ed equivoca, per non dire contraddittoria. In fin dei conti, per Mancuso, Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità? Le risposte che giungono dal libro non consentono di stabilirlo, poiché si afferma in una pagina quanto viene negato alla pagina successiva. La prospettiva di un orizzonte impersonale non risulta soltanto insostenibile in sede filosofica. Resterebbe da chiedersi come Mancuso, escludendo dal suo discorso la possibilità di Dio, possa ancora presentarsi come un teologo cristiano, e su che cosa verta a questo punto l’indagine della sua disciplina, ammesso che le parole conservino ancora un senso».
Pietro De Marco, sociologo della religione presso l’Istituto Superiore di scienze Religiose e di Storia della Chiesa presso la Facoltà di Lettere di Firenze, nel febbraio 2010 ha scritto: «il linguaggio di Mancuso è disarmante, non lo accetterei nella tesina di uno studente». Il suo «monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age». «Da anni, leggendo Mancuso», ha continuato De Petro, «sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica».
Don Agostino Clerici, sacerdote, giornalista ed editorialista del “Corriere di Como”, ha sottolineato nel maggio 2012 che nei libri di Mancuso, nel «modo di procedere che vorrebbe essere logico e quasi sistematico si insinuano frequentemente degli scivoloni clamorosi, quasi del lapsus che sembrano dettati solo da un’acredine, da una polemica, non di rado astiosa, nei confronti della struttura ecclesiastica». Dopo aver segnalato alcuni di questi errori, ha concluso: «il successo dei libri di Mancuso si basa sull’attacco alla Chiesa autoritaria e dogmatica suffragato da incursioni nell’attualità. Troppo poco. Io continuo a nutrire simpatia nelle forza emotiva che lo spinge a scrivere, ma mi attendo che il nuovo linguaggio serva a dire le verità della fede cristiana, non a smantellarle».
Il teologo Stefano Biavaschi, docente e collaboratore con la Cattedra di Teologia dell’Università Cattolica, nel gennaio 2013 ha commentato: «Che un uomo, ordinatosi sacerdote, possa gettare la tonaca alle ortiche solo un anno dopo, sono fatti suoi (per modo di dire, perché ogni fatto è di tutti, specie se sei un uomo di chiesa). Ma che poi lo stesso uomo pretenda di dare lezioni al Papa, appare un po’ eccessivo. Eppure è quello che Vito Mancuso fa tutti i giorni con i suoi scritti». E, dopo aver sottolineato numerosi errori nei libri di Mancuso, ha affermato: «rimane dunque l’amara impressione che si voglia generare confusione tra i credenti. Tesi che ingannano molti, perché poi sono pochi quelli che vanno a verificare davvero le fonti».
Il gesuita Corrado Marucci, professore di esegesi biblica al Pontificio Istituto Orientale, ha scritto su “La Civiltà Cattolica”: «Mancuso dice di voler essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che egli non faccia alcun riferimento alla metodologia dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica. L’assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce Mancuso a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale. Non è facile elencare tutte le matrici che Mancuso alterna e assomma nel corso dell’esposizione (platonismo, razionalismo gnostico, scientismo, eclettismo e così via): quello che comunque domina è il razionalismo convinto che di realtà di cui non si ha alcuna percezione sensibile o decisamente soprannaturali si possa discettare in analogia con le scienze fisico-biologiche. Nel contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della cultura mediatica contemporanea, ci sembra che contribuisca ad aumentare tale confusione. L’Autore dichiara la sua disponibilità ad essere corretto: ma ciò, dato lo stile non sistematico e velleitario delle sue affermazioni, non è facile, poiché si può confutare soltanto ciò che è organicamente formulato al di dentro di un preciso assetto epistemologico».
Segnaliamo infine altre stroncature del pensiero mancusiano arrivate da intellettuali, scrittori e filosofi come  Costanzo PreveAlfonso Berardinelli, Marcello Veneziani, Fabio Luppino, Francesco Lamendola, Antonio Socci, Francesco Agnoli ecc.

(Fonte: Redazione Uccr, 4 luglio 2013)
http://www.uccronline.it/2013/07/04/ecco-cosa-pensano-i-veri-teologi-di-vito-mancuso/
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Cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico?
Se ponessimo la domanda: “Che cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico”, molti risponderebbero ricordando il rifiuto dei principali teologi – come abbiamo mostrato più sopra – a considerarlo tale (compresi i suoi formatori). Altri ricorderebbero il suo credo gnostico e panteista: proprio recentemente ha sostenuto che «occorre approdare alla convinzione che la Terra sia un unico organismo vivente chiamato Gaia». Altri ancora si soffermerebbero sul suo ateismo filosofico dato che l’editorialista di Repubblica sostiene che i miracoli, compresi quelli evangelici, non sono opera di Dio ma «sorgono dal basso, dall’energia della mente umana».
In realtà quel che principalmente manca a Mancuso è proprio la fede cattolica, non aderendo a nessun fondamento del cattolicesimo (dal peccato originale al principio di autorità della Chiesa e della lettera biblica, fino alla negazione di «circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica» come ha scritto La Civiltà Cattolica). In secondo luogo manca a Mancuso la capacità di essere teologo, come ha scritto il teologo e filosofo Antonio Livi«è teologo nel senso che insegna Teologia ma l’effettivo contenuto e l’impianto metodologico» del suo pensiero «sono in netta contraddizione con l’idea stessa di teologia».
Un esempio è il suo ultimo articolo/relazione intitolato “Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità” nel quale ha tentato di confutare gli argomenti delle religioni contrari ai comportamenti omosessuali. Un tentativo non riuscito, nel quale in realtà si è continuamente confuso tra persone omosessuali, inclinazione omosessuale e comportamento omosessuale. Prendiamo in considerazione la sua obiezione alla posizione della Chiesa cattolica: «In ambito cristiano gli argomenti contro l’amore omosessuale sono due: la Bibbia e la natura. Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l’omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10. L’argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare».

(Fonte: Aleteia, 26 maggio 2015) 26 maggio 2015
http://www.aleteia.org/it/religione/contenuti-aggregati/cosa-manca-vito-mancuso-teologo-cattolico-articoli-critiche-5880338345623552

 

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