Pare che, negli ultimi anni, il nostro sport prediletto sia diventato la caccia all’eretico e/o al peccatore. Parlo di noi, cattolici italiani: sembra sia così anche all’estero ma ognuno guardi al suo praticello. Nonostante le atroci stragi dei migranti, la ripresa-ma-anche-no dalla crisi e le notizie tagliagoliste che arrivano da luoghi sempre più prossimi, l’unica prossimità di cui ci importa è il peccatore della porta (e del profilo social) accanto, tanto più se in odor di eresia. A lui (o lei: qui la parità è pienamente raggiunta) cerchiamo di estrarre evangelicamente la pagliuzza dall’occhio, e chissenefrega della limpidezza del nostro sguardo. Gesù, da sapiente conoscitore dell’animo umano, trovò un termine sublime da opporre a pagliuzza: trave. Noi, dunque, quasi del tutto ciechi, l’altro invece con un minimo di fastidio all’occhio. Però il Nazareno, si sa, quando predica, anche se sembra proprio riferirsi a noi, in realtà allude sempre agli altri…
Così, sgranando nomi come fosse un rosario – marcionismo, gnosticismo, etc. fino alle moderne deviazioni – da parte nostra è tutto un cercare indizi di traviamento e colpa nei comportamenti e nelle parole altrui.
Accade sempre più spesso che, brandendo come un’arma il Vangelo o il Catechismo o i Dieci Comandamenti o il Codice di Diritto Canonico o chissà che altro, mettiamo il prossimo con le spalle al muro. Con versetti della Scrittura assolutizzati che nemmeno i protestanti, canoni del Diritto Canonico ad hoc che nemmeno i canonisti, encicliche a menadito che nemmeno i Pontefici che le hanno scritte. Parafrasando (e stravolgendo) San Paolo, tutto concorre… ad inchiodare il fratello alle sue responsabilità. Senza dimenticare, come corollario, un proferire di insulti, minacce più o meno apocalittiche, ban reali o virtuali come se piovesse. Soprattutto se il malcapitato è ritenuto eretico. Lo stesso, però, succede per il comune peccatore, quello che, nella nostra magnanimità, non tacciamo anche d’eresia: il suo peccato è sempre più peccato del nostro.
Pazienza, se poi, tra noi, zelanti difensori del cattolicesimo apostolico romano, ci sono impenitenti lussuriosi, iracondi professionali, seriali bugiardi, invidiosi cronici (solo per citare alcuni tra i vizi capitali). O se è probabile che il male, come scriveva Gadda, possa affiorare “a schegge, imprevisto, orribili schegge da sotto il tegumento, da sotto la pelle delle chiacchiere… da sotto la copertura delle decenti parvenze, come il sasso, affiora…“. Tanto che San Giovanni Climaco ci ammonisce: “Non ti dimenticare di questo, e certamente starai bene attento a non giudicare chi pecca: Giuda faceva parte della cerchia dei discepoli, e il buon ladrone della schiera degli assassini; ma è straordinario come in un solo istante essi si sono scambiati di posto!“. No, niente di tutto questo ci importa. L’importante per noi è esercitare le nostre grandiose capacità mnemoniche. Che siano a corrente alternata – ricordano solo quello che della Dottrina e della Scrittura fa comodo a noi – è solo un volgare dettaglio. Il nostro compito è troppo vitale per perdersi in sottigliezze. Alla nostra trave penserà poi il Giusto Giudice. Sempre se ci degneremo di farLo parlare.
Perché, diciamolo, il Giusto Giudice dovrà pure stare ad ascoltare noi, efficienti ricercatori di miscredenza, infaticabili scopritori di perversioni, quando Gli spiegheremo il bene che abbiamo fatto al mondo. Con i nostri Luminol dottrinali, i nostri radar scritturistici, i nostri rilevatori catechistici, siamo in grado di scoprire anche il più nascosto “atomo opaco di male”, il più infinitesimale filamento di paganesimo. Stranamente, però, non scorgiamo in noi le tracce di manicheismo, l’antica religione persiana che suddivide in bene e male tutta la realtà. Tanto che manicheismo oggi vuol dire anche: “tendenza a contrapporre in modo rigido e dogmatico principî, atteggiamenti o posizioni ritenuti inconciliabili, come fossero opposte espressioni di bene e male, di vero e falso” (dizionario Treccani). Che non è roba attinente al Cristianesimo.
Perché ai servi che subito vorrebbero separare il grano dalla zizzania, il padrone della parabola (cfr. Mt 13, 24-30) risponde: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». Noi no, siamo furbi e portiamo avanti il lavoro: è meglio allontanare prima la zizzania, estirparla subito, raderla al suolo. Che non contamini la nostra presunta purezza.
Del resto, in nostro soccorso arriva la seconda lettera di Giovanni: “Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse” (2 Gv 1, 9-11). C’è poi anche il brano sulla correzione evangelica (Mt 18, 15-17). Ma a parte, dicevamo, la discutibile capacità di ognuno di noi di giudicare colpe e deviazioni altrui, la nostra non dovrebbe essere una lettura di tipo protestante, per cui i versetti vanno presi separatamente.
Deve essere invece una lettura cattolica, che tenga insieme tutto. Per esempio, perché non considerare anche quello che viene detto nella Prima Lettera di Giovanni? “Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1Gv 2, 3-4). Oppure la già citata parabola del grano e della zizzania, che non è stata certo raccontata a caso. Forse perché Qualcuno aveva già previsto i nostri furori nel perseguire errori&mancanze degli altri e lo stupefacente aplomb con cui sorvoliamo sui nostri? Probabile: ci conosce bene. Fin dall’eternità, dice.
E ha ragione a diffidare di noi se si considera il modo in cui dimentichiamo, più o meno regolarmente, che non ci muoviamo nell’ambito della verità umana, citata nel film L’attimo fuggente, come di coperta che ti lascia scoperti i piedi, per cui possiamo continuare a peccare allegramente, lapidando l’altro per i suoi peccati.
No, si tratta, invece, della Verità con la maiuscola, cioè Cristo, che ci investe totalmente, e non a compartimenti stagni. Perciò coltivare, più o meno privatamente, i nostri vizi e pretendere, contemporaneamente, di condannare gli altri è tutto fuorché cristiano. Lo ha da poco ribadito anche il Papa: “Possiamo portare il Vangelo agli altri se esso permea profondamente la nostra vita”. E la Scrittura? Il Catechismo? Tutto il Magistero? Il Codice di Diritto Canonico? Come utilizzarli ora che li abbiamo imparati così bene? Nessun problema. Abbiamo un campo vastissimo su cui applicarli: noi stessi. Poi penseremo anche agli altri.
(Fonte:
Claudia
Cirami, Papalepapale, 27 aprile 2015)
http://www.papalepapale.com/develop/il-peccato-del-vicino-e-sempre-piu-verde-del-nostro/
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