Mi capita
di rivedere in rete l’articolo apparso su Le Monde nel maggio
del 2000, quando Giovanni Paolo II fece rivelare al mondo quello che chiamano
«terzo segreto» di Fatima. Il pezzo del giornale francese su questo evento è
firmato da Jean Cardonnel, il domenicano morto alcuni anni fa, per tutta la
vita l’intrattabile leader di ogni contestazione sia clericale sia politica,
uno dei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società.
Uno per il quale non solo i soliti Mao, Che Guevara, Ho Chi Minh ma anche lo
sterminatore del popolo cambogiano, Pol Pot, erano da venerare nell’Olimpo
delle sacre rivoluzioni.
A Cardonnel si deve tra l’altro un precedente
giuridico inedito e pericoloso. Era
già molto vecchio, più vicino ai novanta che agli ottanta, insopportabile per
la maggioranza dei confratelli per questa sua ossessione contestatrice, per il
suo culto del «no» previo a tutto, ma si continuava a ospitarlo – data l’età –
nel convento domenicano di Montpellier. Alla fine, il superiore di quella casa
religiosa, non potendone più dei suoi costanti malumori, approfittò di uno dei
suoi viaggi per sgomberare la sua cella, impacchettare con cura le cose e
trovargli un posto in una casa di riposo per anziani. Al ritorno, l’ira di
Cardonnel (egli pure, come da copione di ogni prete «adulto» che si rispetti,
vietava a chiunque di chiamarlo «padre») esplose clamorosa e, dicendosi vittima
di una violenza intollerabile, non pensò neanche un momento a confrontarsi con
la legge della Chiesa, il diritto canonico.
Si rivolse invece alla legge della laicissima
Repubblica francese, chiamando
la Gendarmerie e denunciando il superiore per violazione di domicilio. Il
tribunale, dopo lungo dibattito, gli diede ragione, condannò il superiore del
convento che aveva proceduto allo sgombero e – per la prima volta, non solo in
Francia – dichiarò che la cella di un religioso era un domicilio privato come
ogni comune alloggio. Sentenza faziosa e pericolosa, dicevo, perché scavalca e
in qualche modo imbavaglia l’autorità ecclesiastica anche all’interno dei suoi
spazi.
Ma torniamo al Cardonnel commentatore di Fatima. Scriveva su Le
Monde: «Quel presunto “segreto” è un falso, tanto falso quanto la donazione
di Costantino con la quale si è voluto legittimare un diabolico controsenso:
l’impero cristiano. Un grande teologo italiano – non si dimentichi il suo nome:
Enzo Bianchi, fondatore di una nuova comunità monastica – si è subito reso
conto della superstizione e della frode perpetrata dal Vaticano a Fatima. Sul
quotidiano romano La Repubblica, fratel Bianchi mette
implacabilmente il dito nella piaga. Scrive infatti: “Un Dio che, nel 1917, pensa
di rivelare che i cristiani saranno perseguitati e che non parla della shoah e
dei sei milioni di ebrei annientati non è un Dio credibile”». Continua
l’articolo di Cardonnel: «Sì, bisogna scoprire la piaga: come non vedere la
tara del presunto segreto di Fatima, la prova lampante che è un falso, che non
può venire da Dio? Un falso che squalifica, che scredita l’Eterno. Un Dio,
ripeto, non credibile: il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei
suoi, della sua razza cattolica, nell’oblio del popolo di Gesù».
C’è
da rimanere molto sorpresi da simili discorsi e soprattutto, per noi cattolici italiani,
c’è da sorprendersi per la citazione (non smentita, anzi ribadita,
dall’interessato) di fratel Bianchi. Circola ormai una convinzione, anche tra certi
cristiani, secondo la quale la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti
nei 12 anni tra 1933 e 1945 sarebbe, senza paragone possibile: il Male
Assoluto, il Massimo Delitto della storia intera, l’Esempio Radicale della
malvagità umana. Non a caso, la colpa nazista è considerata inespiabile e ancor
oggi si braccano, per processarli e condannarli, dei novantenni se non dei
centenari considerati in qualche modo responsabili di quello che viene detto,
con termine religioso, «l’Olocausto» per eccellenza. Per un simile delitto, e
solo per questo, non è prevista alcuna prescrizione. Stando al Cardonnel e al
Bianchi, Dio stesso – se vuol parlarci attraverso Maria – deve, sottolineo
deve, ricordare e ovviamente maledire la Shoah, altrimenti non sarebbe «un Dio
credibile». Non è il vero Signore se non esecra esplicitamente Auschwitz.
Sia ben chiaro – è davvero inutile sottolinearlo –
che non si tratta certo di sminuire la
gravità del delitto perpetrato all’ombra di una croce uncinata, che fu il
tragico rovesciamento della croce cristiana. Non c’è che da unirsi, ovviamente,
alla condanna universale. Ma è davvero paradossale rifiutare Fatima perché nel
1917 la Madonna non avrebbe previsto e condannato – a nome del Figlio e della
Trinità intera – quei lager tedeschi che sarebbero venuti una ventina d’anni
dopo. Nel 1917, ripetiamo: proprio l’anno in cui Lenin prendeva il potere,
dando inizio a quel mostro comunista che avrebbe fatto almeno 100 milioni di
morti e che avrebbe praticato la più violenta e sanguinosa repressione
religiosa della storia, in nome di un ateismo di Stato proclamato sin dalle
Costituzioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti.
La ricerca storica più recente, capeggiata dal
celebre docente tedesco Ernst Nolte, dimostra,
documenti alla mano, che il nazionalsocialismo nasce come reazione al
marx-leninismo: senza Lenin nel 1917, niente Hitler nel 1933. Senza il colpo di
Stato di San Pietroburgo, l’ex imbianchino di Vienna avrebbe al massimo fatto
l’ideologo in qualche stube di Monaco di Baviera per qualche oscuro gruppetto
di fanatici. Mettere in guardia, a Fatima, dal comunismo che proprio allora
nasceva, significava mettere in guardia dalle altre ideologie mortifere che
sarebbero venute dopo di esso e per causa di esso. Il nazionalismo primo fra
tutti.
Tra l’altro, Bianchi e Cardonnel sono
incomprensibili anche
quando denunciano che a Fatima si sarebbe manifestato «il Dio del razzismo
cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica». Ma che
discorso è mai questo? Per l’ateismo sovietico non c’erano zone franche, nel
mondo religioso: a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle vittime
da Lenin sino a Gorbaciov (egli pure ebbe una giovinezza da persecutore)
passando per Stalin, non furono cattoliche, ma ortodosse, i due dimenticano che
nell’immensa Unione Sovietica erano presenti tutte le religioni. Così, i pope
furono massacrati alla pari dei preti, dei rabbini, degli imam, dei maestri
buddisti.
Lo stesso avvenne ovunque, nel mondo, il comunismo
giunse al potere: nessuno
scampo per chi non accettava il materialismo e non condannava la religione,
tutte le religioni, come «oppio dei popoli». E questo cominciò proprio in quel
fatale 1917, quando la Madonna diede l’allarme per una ideologia perversa,
anche perché si presentava con un volto nobile, apparentemente evangelico
(giustizia, liberazione, eguaglianza, fraternità), ma che avrebbe risvegliato
tutti i dèmoni, compreso quel regime tedesco che si presenta, sin dal nome,
come l’unione di nazionalismo e di socialismo.
Le apparizioni di Fatima, come tutte le altre pur
ufficialmente riconosciute, non
sono de fide, possono essere criticate e magari non accettate anche
dai credenti. Purché, però, lo si faccia su basi più presentabili di queste.
Visto
che parliamo di Fatima e di comunismo:
viene giusto a proposito ricordare quanto avvenne a Vienna nel decennio tra il
1945 e il 1955. Mentre gli inglesi, esperti e pragmatici, avrebbero voluto
contenere l’Urss a Est, l’insipienza americana fermò i suoi carri armati in
vista di Berlino per permettere a Stalin di dilagare nell’Europa orientale,
occupando anche l’Austria. Il Paese fu diviso in quattro zone, sul modello
della Germania, ma quella riservata ai russi era la più importante e vasta,
era quella dove stava la capitale stessa. Il ministro degli esteri, quel
Molotov che aveva firmato il trattato con Hitler, permettendogli così di
scatenare la guerra, disse e ripeté che Mosca mai si sarebbe ritirata da ciò
che aveva occupato e tutti si aspettavano che, come a Praga e a Budapest, i
comunisti organizzassero un colpo di Stato per andare da soli al potere
nell’intera Austria. Le stesse cancellerie occidentali sembravano rassegnate.
Opporsi significava quasi certamente una nuova guerra.
Ma non si rassegnò un francescano, padre Petrus che, tornato dalla
prigionia proprio in Urss (e conoscendo quindi sulla sua pelle l’orrore di quel
regime), andò in pellegrinaggio nel santuario nazionale austriaco, a Mariazell,
per avere ispirazione sul che fare per la sua Patria. Lì, fu sorpreso da una
voce interiore, una locuzione interna, che gli disse: «Pregate tutti, tutti i
giorni, il rosario e sarete salvi». Buon organizzatore, oltre che sacerdote
stimato, padre Petrus promosse una «Crociata nazionale del Rosario», nello
spirito esplicito di Fatima, che in breve tempo raccolse milioni di austriaci,
compreso lo stesso presidente della Repubblica, Leopold Figl. Giorno e notte,
grandi gruppi si riunivano, spesso all’aperto, nelle città e nelle campagne
recitando la corona e la stessa Vienna era percorsa da imponenti processioni
mariane, sorvegliate con ostilità dall’Armata Rossa.
Gli anni passavano senza che l’occupazione cessasse, ma il popolo non si
stancava di pregare la Madonna di Fatima. Ed ecco che nel 1955, all’improvviso,
il Cancelliere austriaco fu convocato a Mosca, dove fu ricevuto al Cremlino
dal Soviet Supremo. Qui, gli fu comunicato che l’Urss aveva deciso di ritirare
le sue truppe e di ridare all’Austria la piena indipendenza. In cambio, si
poneva una sola condizione, che le autorità del Paese che veniva liberato
accettarono di buon grado: un impegno di neutralità che, tra l’altro, avrebbe
portato grandi vantaggi a Vienna, facendola diventare la terza città delle
Nazioni Unite dopo New York e Ginevra. I governi occidentali furono colti di
sorpresa da una decisione del tutto inaspettata e unica, sia prima sia dopo:
mai, come aveva ricordato Molotov dieci anni prima, mai l’Urss aveva accettato
né avrebbe accettato di ritirarsi spontaneamente da un Paese occupato.
Furono stupiti politici, diplomatici, militari, nel
mondo intero. Ma
non si stupirono coloro che da anni pregavano con la «Crociata del Rosario»: in
effetti, il giorno in cui la notizia del ritiro fu annunciata a Mosca al
Cancelliere era un 13 maggio, l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di
Fatima. Tanto per completare il quadro, lo sgombero totale dell’Armata Rossa fu
fissato dal governo comunista per l’ottobre: tra i generali russi (dispiaciuti
di lasciare un Paese così bello e strategicamente così importante) nessuno,
ovviamente, sospettava che proprio ottobre è, per la tradizione cattolica che
risale ai tempi della battaglia di Lepanto, il mese del rosario.
(Fonte:
Vittorio Messori, La nuova bussola quotidiana, 6 dicembre 2015)
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