La politica costruisce la
“nuova moralità”. Per snellire la macchina della giustizia il governo, con
decreto legislativo, ha depenalizzato una serie di reati considerati “minori”.
Tra questi, anche gli atti osceni e le pubblicazioni e spettacoli osceni. Il
caso della pornoscuola in piazza a Treviso.
Come è
noto il criterio base adottato dal governo per risolvere il problema della
edilizia carceraria è stato quello della depenalizzazione dei reati.
Siccome poi i reati vengono trasformati in illeciti amministrativi
che comportano cospicue sanzioni pecuniarie per i trasgressori, i nostri
oculati governanti dimostrano anche una notevole sensibilità economica.
Infatti mentre si risparmiano da una lato costosi interventi
edilizi, vengono incassati dall’altro gli introiti delle
sanzioni: sono presi così i famosi due piccioni con una
fava, e guadagnata la doverosa riconoscenza del
contribuente che vede con quanta cura il proprio denaro venga
amministrato.
Ovviamente
non sempre il gioco del rapporto costi benefici può valere la candela.
Infatti se per ipotesi ai nostri fantasiosi governanti venisse in mente
di depenalizzare il furto, lo stesso contribuente che è già depredato
normalmente dallo Stato, si troverebbe a dovere fare i conti con
l’improvviso proliferare dei ladri privati che vedrebbero incentivata
dallo Stato la propria professione, e di questo non avrebbe motivo di
rallegrarsi. Ora se per il momento sembra che non si parli
ancora di depenalizzare il furto e la rapina, di recente ci è
stata data la possibilità di verificare con quanta oculatezza, economica e no,
siamo governati.
Il 15
gennaio scorso è stato approvato il d.lgs. n.8 di depenalizzazione di
una congerie di reati il cui accertamento, si è detto, ingolfava la
macchina giudiziaria, con molti inutili costi e senza beneficio morale per la
collettività. Questa almeno la ragione portata trionfalmente a
sostegno del parto normativo realizzato dal governo su legge
di delegazione parlamentare.
Il
diritto penale, come è riconosciuto da sempre, non coincide con la morale ma la
presuppone. Infatti vengono perseguiti penalmente quei
comportamenti che contraddicono un’etica consolidata nella società. E che
comunque vanno prevenuti attraverso la minaccia di una sanzione “forte” come
quella propria della legge penale, perché se lasciati liberi di
proliferare impunemente, minerebbero un ordinato svolgimento della
convivenza comune. La legge penale ha dunque anche finalità di
prevenzione generale dei comportamenti offensivi del vivere comune oltreché
dello interesse particolare delle vittime.
Una
categoria di reati si distingue da un’altra in base al valore etico ovvero
all’interesse, di valore collettivo, che lo Stato sente il dovere di
proteggere attraverso la sanzione rafforzata della legge penale, e che è
il “bene giuridico” tutelato dalla singola norma. La gravità di un reato, il
suo peso negativo sulla società viene espressa dalla entità della pena
inflitta. Con le pene più gravi, ergastolo o reclusione temporanea sola o
congiunta con la pena pecuniaria vengono puniti i reati ritenuti dal
legislatore più gravi per la importanza sociale del bene violato, con la sola
pena pecuniaria i reati sentiti come meno minacciosi per la convivenza comune.
(Resta il fatto che la sanzione penale di qualunque natura od entità
costituisce da sola un notevole deterrente, per il fatto di essere
inflitta dalla autorità giurisdizionale, e quindi attraverso un
procedimento che viene sentito di per sé come mortificante dal soggetto che lo
subisce).
È
dunque evidente che se la gravità della pena inflitta misura la gravità del
reato, quest’ultima è legata a sua volta alla valutazione che il
legislatore dà di quel certo comportamento umano. Una valutazione che dovrebbe
essere guidata dal comune sentire ed essere orientata dalla costante finalità
del bene comune, ma che può di fatto essere distorta da ideologie di potere e
da interessi che non collimano con l’interesse generale. Il potere politico può
produrre e produce infatti anche leggi che andando contro l’interesse o
il sentire della società finiscono poi per condizionare proprio la
stessa sensibilità sociale. Non c’è qui lo spazio per approfondire il rapporto
tra la società e le leggi che la governano, ma dovrebbe essere chiaro a tutti,
ad esempio, come la pressoché totale depenalizzazione dell’aborto abbia
prodotto i sei milioni di aborti accertati dalla entrata in vigore della legge
194, come l’introduzione del divorzio abbia creato la dissoluzione
dell’istituto famigliare, e come una qualunque legalizzazione della convivenza
su base erotico sessuale tra persone dello stesso sesso sarebbe, e sarà, la
definitiva distruzione etica di una intera società attraverso la
corruzione di intere nuove generazioni.
L’articolo
1 del decreto, diventato legge vigente il 6 febbraio scorso, pone
come criterio guida del provvedimento la trasformazione in illeciti
amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria.
Quindi il criterio di base prescelto appare subito chiaro: meglio
sottrarre alla costosa macchina processuale i reati meno gravi, che quindi
non turbano troppo la pace sociale e la coscienza comune, e affidarne la
prevenzione alla sanzione pecuniaria eventualmente inflitta dalla autorità
amministrativa di turno.
Sennonché
questo principio, che in tempi di vacche magre e di ingolfamento cronico della
macchina giudiziaria potrebbe avere la propria ragion d’essere e incontrare il
plauso della gente, viene poi subito contraddetto dalla
stessa legge che dichiara meritevoli di essere depenalizzati anche
singoli reati, puniti almeno formalmente con la reclusione, in
ragione del loro intrinseco disvalore sociale.
Segno
che vi sono valori sociali che i governanti ritengono non più meritevoli
di protezione perché superati o da superare, sicché questi stessi
governanti si arrogano il diritto di disegnare attraverso la legge una
nuova etica collettiva.
Così è
stato segnata la fine del disvalore sociale del reato di ingiuria che rubricato
da sempre tra i reati contro l’onore, è diventato di fresco banale
infrazione amministrativa. Una cosa da praticare con parsimonia
solo per motivi pratici, come la sosta vietata. Segno evidente che
il concetto di onore deve essere diventato del tutto incomprensibile per
chi guida la macchina del potere politico verso la società incivile.
Tuttavia
di questa nuova funzione rieducatrice assunta del potere politico
troviamo un esempio ancora più significativo nella depenalizzazione degli
articoli 527 (atti osceni) e 528 (pubblicazioni e spettacoli osceni) del codice
penale che puniva con la reclusione pubblicazione e spettacoli osceni.
Certo in tempi in cui di pornografia si nutrono tutti i mezzi di comunicazione,
quella pena deve essere risultata eccessiva, ma non è di questo che
qui vale la pena di discutere, quanto invece del trasferimento
di comportamenti scandalosi come quelli previsti
dall’articolo 528 c.p tra gli illeciti amministrativi. E
l’occasione ci è offerta da una recente iniziativa patrocinata dal comune
di Treviso. E’ stato allestito nello spazio pubblico, appunto col permesso
compiacente della amministrazione comunale che veglia sul progresso morale e
culturale della popolazione, una sorta di scuola peripatetica aperta a
tutti, minori compresi, volta a svelare i sublimi misteri di attività sessuale
di ogni tipo, in tutte le sue forme, e declinazioni possibili. Per
saperne di più [cliccate
qui].
Rimettiamo
il giudizio ai lettori. Della sporcizia mentale di quanti hanno realizzato l’evento
e di quanti l’hanno autorizzato non vale parlare, perché tutto si descrive da
sé.
E bene
sapere però che chi fosse trasportato da sacrosanto sdegno per
questo scempio ordito ai danni di tutti, e soprattutto dei più giovani, non
potrà rivolgersi più alla autorità giudiziaria perché giustizia sia fatta.
Tutt’al più potrà chiedere l’applicazione ai responsabili di una sanzione
pecuniaria, alla stessa autorità che ha consentito l’evento.
La
coincidenza tra l’entrata in vigore il 6 febbraio scorso della nuova
legge di depenalizzazione , e la pornokermesse del 14 febbraio,
certamente non è casuale. Gli organizzatori sapevano già di poter godere della
novella impunità.
Ma
conviene ritornare per questo sugli intenti del legislatore. La
depenalizzazione degli articoli 527 e 528 infatti sta a significare una sola
cosa: che un valore difeso tenacemente e severamente dal vecchio legislatore,
ora lo si vuole cancellare definitivamente in via legislativa anche dalla mente
del cittadino comune.
Le
norme in questione tutelavano ancora l’onore sessuale e il sentimento del
pudore, concetti evidentemente incomprensibili per il legislatore attuale e per
il campionario umano che alberga nelle stanze della politica e nei dintorni.
La
sessualità è lo spazio privilegiato in cui l’uomo può dimostrare tutta la
propria capacità di sottrarsi al dominio degli istinti e sollevarsi sopra di
essi attraverso la loro sublimazione morale e razionale. Non per nulla
nella sublimazione dell’eros si è manifestata tutta la miracolosa capacità
creativa dell’arte. L’uomo vi ha dispiegato la profondità delle sue
scelte morali, l’attitudine a leggere il limite posto da una realtà
avvolta dal sacro. Il luogo dell’incontro tra anima e corpo deve
essere quello in cui viene realizzata una armonia superiore,
e non l’abisso di un abbrutimento che mira a travolgere altri simili fino ai
più piccoli e indifesi.
Ora il
sacrario della divina sintesi superiore, che è propria dell’homo sapiens,
deve essere invaso e devastato, violato come l’altare di Notre Dame dalle
meretrici del nuovo potere.
Questa
opera di demolizione non è cominciata certo oggi. E cominciata più di
mezzo secolo ed è proseguita instancabile attraverso tappe ben precise. Tra le
altre, quella della riforma del 1996 che ha trasferito la violenza sessuale fra
i reati contro la libertà della persona, al pari di quelli, che coinvolgendo
dei minori, vengono puniti anch’essi come offese alla libertà. Della
devastazione morale che essi comportano, il legislatore nulla sa. Insomma, mentre
per gli estensori del codice l’onore sessuale e il sentimento del pudore erano
beni giuridici da tutelare per il loro alto contenuto morale, per l’etica nuova
tutto viene assorbito nella tutela del valore “civico” della libertà personale
intesa in senso meramente materiale. Della libertà morale l’etica del terzo
millennio può bellamente fare a meno.
In
un tempo in cui la società ha perduto le proprie coordinate etiche e religiose
ed è soggiogata dal belluino potere mediatico, in tempo di devastanti
ideologie di potere, la legge crea l’etica consustanziale a questo potere
stringendo sempre più al collo della gente comune il proprio capestro.
Piero
Buscaroli, che ci ha lasciato da pochi giorni dopo avere donato al mondo il
patrimonio di una immensa ricchezza di pensiero, di una intelligenza e di una
cultura senza pari, di una straordinaria sensibilità politica, di
un’etica superiore, ha titolato parecchi anni fa una propria raccolta di saggi
sulla storia nazionale “Una nazione in coma”.
A
distanza di pochi decenni possiamo dire tranquillamente che l’Italia della
ideologia e della politica, senza più storia né religione, senza dignità
nazionale e senza più cultura, l’Italia delle Ravera e delle Parietti, dei Gad
Lerner e degli Ovadia, dei Colombi e delle Cirinnà, dei Renzi e delle
Fedeli, e delle periferie esistenziali di Treviso, questa Italia è solo un
corpo in avanzato stato di decomposizione.
(Fonte:
Patrizia Fermani, Riscossa
Cristiana, 23 febbraio 2016)
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