Si è
appena concluso il lungo cammino sinodale sulla famiglia che già sono avviati i
lavori per il futuro. Non è affatto escluso che il prossimo Sinodo dei vescovi
si occupi proprio di sinodalità e collegialità. E’ quanto trapela dalla
riunione del XIV consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei
vescovi tenutasi il 18 e 19 aprile, presieduta dal Papa. Ufficialmente sul tema
del prossimo sinodo “sono state individuate alcune proposte da sottoporre al
Santo Padre per la sua valutazione”, ma la riflessione su “una salutare
decentralizzazione” appare decisiva.
Anche
Amoris laetitia si muove in questa direzione, basti pensare a quanto
scritto al paragrafo 3 e, più in particolare, all’approccio del discernimento
“caso per caso” nella questione della disciplina dei sacramenti per le coppie
di divorziati-risposati. Ma anche il Motu proprio sulla riforma del processo
canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio aveva enfatizzato
il ruolo del vescovo nell’affrontare i casi specifici, offrendo un altro
esempio di “decentralizzazione”.
Il
consiglio della Segreteria del Sinodo
ha approfondito il tema della riforma dell’Ordo synodi e ha concluso “tra
l’altro che la valorizzazione della sinodalità e della collegialità deve sempre
coniugarsi con l’esercizio del ministero del Vescovo di Roma, in modo da
congiungere fruttuosamente primato, collegialità e sinodalità.” Il tema è
scottante perché riguarda dispute che si trascinano da tempo, in ballo c’è il
ruolo del papato, quello dei vescovi e delle Conferenze episcopali. Non a caso
uno storico come Alberto Melloni, commentando Amoris laetitia dalle colonne del
Corriere, ha voluto evidenziare che “il papato” con l’esortazione post-sinodale
“scrive un altro capitolo della propria riforma.”
Nei
corridoi dei sacri palazzi si parla anche di un altro tema che difficilmente interesserà in modo diretto il
prossimo sinodo, ma è al centro dell'attenzione. Si tratta della riforma del
celibato ecclesiastico. Nella stessa Amoris laetitia c’è un passaggio
interessante al proposito. Poche, ma significative righe al paragrafo 202: “Nelle
risposte alle consultazioni inviate a tutto il mondo [il riferimento è ai
questionari che hanno preceduto i due sinodi, NdA], si è rilevato che ai
ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi
problemi attuali delle famiglie. Può essere utile in tal senso anche
l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati.”
Negli
anni ’60, un largo e influente movimento ha cominciato a lavorare per “rinnovare” la
Chiesa, mettendo sul tavolo la riforma della disciplina del matrimonio, la
questione della sessualità, i preti sposati e una maggior “decentralizzazione”,
tutti argomenti in qualche modo tra loro collegati e oggi di grande attualità.
Don Giovanni Cereti, ottantatreenne rettore della chiesa dei Genovesi di Roma,
e noto promotore fin dagli anni ’70 della comunione ai divorziati risposati,
nel febbraio del 2015 si sarebbe sentito dire dal Papa che il tema del celibato
sacerdotale è “in agenda”. Si trattava di un incontro a porte chiuse con i
preti della Diocesi di Roma e don Cereti avrebbe posto una domanda al Santo
Padre su questo tema, riprendendo un suo vecchio cavallo di battaglia,
nonostante la Chiesa non abbia mai ammesso il passaggio dallo stato sacerdotale
a quello coniugale. Di qui la risposta che avrebbe dato Francesco e che molta
stampa aveva riportato: “E’ nella mia agenda.”
Come
ha mostrato un grande studioso del tema, il cardinale Alfons M. Stickler, il senso del
celibato sacerdotale è precisamente nella continenza sessuale e non è una
questione di matrimonio o non matrimonio. Nei primi secoli nessuna legge
poneva il celibato come condizione pregiudiziale per l'ammissione agli ordini
maggiori: se prima non si era sposati si doveva conservare il celibato; se si
era ordinati dopo il matrimonio era richiesta la continenza da ogni uso del
matrimonio stesso. I primi documenti pubblici, che risalgono al IV secolo, fanno
chiaramente risalire l’obbligo della continenza al periodo apostolico.
Eppure
la continenza, al centro anche del recente dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti, per qualcuno
sembra essere uno scoglio insormontabile, da eliminare. Ma chi non è a proprio
agio con il celibato potrà esserlo veramente nel matrimonio? La domanda non è
capziosa. “Siamo fatti in modo tale”, scriveva il premio Nobel Jerome Lejuene,
“che ciò che coinvolge la sfera genitale turba direttamente il morale dal punto
di vista neurologico. Da cui l'impossibilità, sembrerebbe, di dominare il
comportamento emotivo e di controllare gli istinti, se l'impero della volontà
non si estende anche, e forse anzitutto, al comportamento genitale cosciente e
deliberato.” In questo caso quindi, invece, di decentralizzare bisognerebbe far
trionfare (con l'ausilio della Grazia) l’impero della volontà che, forse, a
qualcuno non piace perché poco collegiale.
(Fonte:
Lorenzo Bertocchi, La nuova bussola quotidiana, 23 aprile 2016)
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