In
occasione del discorso tenuto nel 2014 da papa Francesco al Parlamento ed al
Consiglio d’Europa, il vaticanista Aldo Maria Valli disse del Pontefice che
aveva saputo portare «una ventata di coraggio» e sottolineò i «tantissimi
applausi» e la «standing ovation» riservatigli. Per il Sinodo
straordinario sulla Famiglia scrisse con entusiasmo: «Francesco ha già vinto»,
tessendo l’elogio di un’assise «non ingessata».
Quando
il Papa incontrò il fondatore della teologia della liberazione, Gustavo
Gutierrez, affermò che il Pontefice non aveva esitato «a recuperare quanto,
dal suo punto di vista», ci potesse «essere di buono e di valido» in
essa. Non ci sono dubbi dunque sulla collocazione in area “progressista” di
Valli, 58 anni, vaticanista prima del Tg 3 e adesso del Tg1,
con un curriculum che va dalle collaborazioni a testate come Europa (quotidiano
in orbita Margherita prima e Pd dopo), a libri dal titolo inequivocabile
quali Difendere il Concilio (scritto a quattro mani con mons.
Luigi Bettazzi) e Storia di un uomo, ritratto di Carlo Maria
Martini (testo che, si legge sul sito della stessa casa editrice,
sarebbe stato seguito «con la consueta discrezione» dal Cardinale «senza
nascondere simpatia e affetto per l’autore e la sua ricerca»).
Per
questo hanno suscitato stupore e polemiche alcuni interventi sul suo blog
decisamente critici nei confronti dell’Esortazione apostolica Amoris
Laetitia di papa Francesco. Critiche ancor più rilevanti, perché non
provenienti da ambienti legati alla Tradizione, eppure mirate, precise,
tecnicamente ineccepibili. Contestano, ad esempio, la «logica del caso per
caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione» rintracciata nel
testo pontificio a proposito della S. Comunione ai divorziati risposati ed ai
luterani od a proposito del dialogo interreligioso; contestano la compresenza
di due Papi («abbiamo un papa, ma anche due»); contestano persino il
“mantra” del «chi sono io per giudicare?» fautore di una sorta di
riedizione del dubbio metodico: «Non c’è forse anche lì il germe del
relativismo?»; contestano la «logica del “ma anche”» come «pretesa
di tenere uniti gli opposti», fonte di confusione, di banalizzazioni, di
ambiguità, di compromessi a spese della Dottrina. Però «chi cerca la Verità
con la V maiuscola non vuole scorciatoie e parole ambivalenti. Ha desiderio di
indicazioni di senso», commenta Valli. Giustissimo.
E
prosegue, esemplarmente: «Quando Francesco, prendendo parte a un video
interreligioso (nel quale appaiono un musulmano, una buddista, un ebreo e un
prete cattolico) ha detto che le persone «trovano Dio in modi diversi» e «in
questa moltitudine c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio», chi
eventualmente volesse avere un’altra certezza di un certo spessore (qual è la
vera fede?) potrebbe arrivare alla conclusione che è la nostra, ma anche quella
degli altri». Non fa una grinza.
Paradigmatica,
anzi da manuale la ragione addotta da Valli per spiegare i suoi rilievi: «Ecco
che cosa c’è di male: che la Chiesa del “ma anche” sposa esattamente la logica
del mondo, non quella del Vangelo di Gesù. E infatti riceve gli applausi del
mondo. Ma noi sappiamo che questo non è un buon segno. Il cristiano, quando è
coerente, è perseguitato dal mondo, non applaudito». È vero, Gesù del resto
aveva ammonito: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6,
26)…
Valli
giunge così a chiamar per nome la fonte di tutti i guai: il «soggettivismo»,
detto anche «relativismo», che, «come il lupo della favola, si
traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice
con voce suadente “ma io, in coscienza…”», quella coscienza che non è –
come dovrebbe invece essere – «capacità di verità», ma è piuttosto
quella bollata da Benedetto XVI. «Nel pensiero moderno – disse nel
2010 – la parola “coscienza” significa che, in materia di morale e di
religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza
della decisione». Il che non va bene. Proprio non va bene. Infatti, spiega
Valli, «il primato della coscienza non può essere confuso con
l’impossibilità o l’incapacità di giudicare. A rischio è l’autorevolezza stessa
del papa, ma soprattutto il destino eterno delle anime».
Ed
ancora: «In questa strategia vedo uno squilibrio. L’attenzione posta alla
misericordia ed alla tenerezza di Dio, non accompagnata da un impegno
altrettanto assiduo nel sottolineare la questione della verità, del vero bene e
del modo di attingerlo, espone al rischio dell’indeterminatezza e del
sentimentalismo». Anche perché «una pastorale senza dottrina o costruita
su una dottrina vaga e ambigua può andare contro la verità evangelica». Il
dubbio è più che legittimo e la domanda conseguente: «La Chiesa non dovrebbe
forse portare alla luce la condotta di vita improntata al peccato? E non sta
forse proprio in questo esercizio la più alta forma di misericordia?»
Insomma
tutto appare ormai chiaro a chi voglia interrogarsi, sinceramente e
semplicemente da cattolico, sulla rotta impressa alla Barca di Pietro dagli
ultimi sviluppi vaticani. Che non riguardano solo il Pontefice, perché, come
nota giustamente Valli, «lo scivolamento dalla logica dell’et et a
quella del non solum, sed etiam avviene ogni giorno, in modo
magari impercettibile, ma inesorabile. E coinvolge persone degnissime e
buonissime, convinte in cuor loro di essere al servizio del Vangelo». Non
v’è davvero altro da aggiungere.
(Fonte:
Mauro Faverzani, Corrispondenza Roana, 8 giugno 2016)
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