lunedì 12 ottobre 2020

Fratelli tutti, ma senza più Dio. Un filosofo giudica l’ultima enciclica di Francesco Natoli

Pochi giorni dopo la sua pubblicazione, l’enciclica “Fratelli tutti” è già passata in archivio, vista l’assenza in essa del minimo spunto di novità rispetto alle precedenti e arcinote allocuzioni di papa Francesco sugli stessi temi.

Ma se proprio questa diluviale predicazione francescana della “fraternità” desse vita a un “cristianesimo diverso”, nel quale “Gesù null’altro fosse che un uomo”?

È questo il serissimo “dilemma” nel quale il filosofo Salvatore Natoli vede caduta oggi la Chiesa, con il pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Natoli lo scrive e argomenta in un libro, a più voci, di commento a “Fratelli tutti”, curato dal vescovo e teologo Bruno Forte, che è in vendita da oggi a Roma e in Italia.

Gli studiosi chiamati a commentare l’enciclica sono di prim’ordine nei rispettivi campi: il biblista Piero Stefani, l’ebraista Massimo Giuliani, l’islamologo Massimo Campanini, lo storico del cristianesimo Roberto Rusconi, la medievista Chiara Frugoni, lo storico dell’educazione Fulvio De Giorgi, l’epistemologo Mauro Ceruti, il pedagogista Pier Cesare Rivoltella, il poeta e scrittore Arnoldo Mosca Mondadori.

Natoli è uno dei maggiori filosofi italiani. Si dichiara non credente, ma per formazione e per interessi ha sempre ragionato sul confine tra fede e ragione, attentissimo a ciò che si muove nella Chiesa cattolica.

Nel dicembre del 2009, quando a Roma il comitato per il “progetto culturale” della Chiesa italiana, presieduto dal cardinale Camillo Ruini, promosse un imponente convegno internazionale sul tema cruciale: “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”, Natoli fu uno dei tre filosofi chiamati a intervenire, assieme al tedesco Robert Spaemann e all’inglese Roger Scruton.

Quel convegno non era una sfilata di opinioni giustapposte, ma mirava dritto a quella “priorità” che per l’allora papa Benedetto XVI "sta al di sopra di tutte", oggi più che mai, in un tempo “in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento".

La priorità cioè – come quel papa aveva scritto nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo di quello stesso anno – "di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto".

Di questa drammatica urgenza non c’è ombra nelle 130 pagine di “Fratelli tutti”.

Ma lasciamo il giudizio al filosofo Natoli, in questo fulminante estratto del suo commento all’enciclica. (Sandro Magister).

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“E SE GESÙ NULL’ALTRO FOSSE CHE UN UOMO?” di Salvatore Natoli

La modernità ha dibattuto strenuamente sull’esistenza di Dio; basti pensare alla valutazione delle prove dell’esistenza di Dio da Cartesio a Kant: si può dimostrare, non si può dimostrare? Ebbene, il conflitto sull’esistenza di Dio dimostrava chiaramente che Dio era la questione centrale di quella cultura, sia per i negatori, sia per quelli che la sostenevano. Era il tema dominante, non si poteva tacere di quello.

Ma ad un certo punto Dio è svanito, non ha costituito più problema perché non lo si sentiva più necessario. Oggi, argomentare sull’esistenza di Dio è un problema che non ha nessuno, neppure i cristiani. A caratterizzare il cristianesimo è sempre di più la dimensione della “caritas” e sempre meno quella della Trascendenza. “Fratelli tutti” mi pare lo testimoni con coerenza. E questo è un grande dilemma dentro il cristianesimo, del quale si fa carico “in actu exercito” papa Francesco. La Trascendenza non è negata, ma sempre meno nominata. Ma non c’è bisogno di una negazione esplicita se la cosa diventa irrilevante.

”Et exspecto resurrectionem mortuorum” è un’affermazione – tratta dal Messale romano – sempre più marginale nel vocabolario cristiano. Il camminare in compagnia degli uomini – espressione che ricapitola “Fratelli tutti” (cfr. n. 113) – è sempre stato presente, ma era semplicemente il transito verso un esito ben più radicale: la redenzione definitiva dal dolore e dalla morte. L’una dimensione sosteneva l’altra.

Ma oggi possiamo constatare un singolare slittamento: il cristianesimo si risolve sempre di più e semplicemente nel “Christus caritas”. Non è questo il Cristo di “Fratelli tutti”? Un Cristo che non a caso – si vedano i paragrafi nn. 1-2 e 286 – ha il volto di Francesco d’Assisi, il santo cristiano che più parla ai credenti di altre religioni e ai non credenti.

Questo passaggio – lo domando ai cristiani – è reversibile o irreversibile? E se Francesco – mi permetto di osare – fosse l’ultimo papa della tradizione cattolico-romana, e stesse nascendo un cristianesimo diverso? Un cristianesimo che ha al centro la giustizia e la misericordia e sempre meno la resurrezione della carne. La condivisione del dolore non è la stessa cosa della definitiva liberazione dal male. La promessa cristiana era: “non ci saranno più né dolore né morte, non ci sarà più il male”; mentre adesso pare che il cristianesimo dia per scontato che il dolore accompagnerà sempre gli uomini ed in questo stato essere cristiani vuol dire sostenersi reciprocamente. Sottolineo quest’aspetto dell’enciclica perché mi pare si trovi ad essere del tutto convergente con quanto la parte migliore della modernità laica ha sostenuto, seppure in termini di altruismo e solidarietà e senza alcun riferimento ad una redenzione definitiva altrimenti chiamata “salvezza”. […]

Non so quanto per i cristiani sia ancora rilevante la fede nell’avvento di un mondo senza più dolore e morte e per di più – questo mi pareva fosse decisivo – in un finale di partita in cui gli uomini saranno risarciti da tutto il dolore patito. Ma dico di più: quanto credono ancora in un’eternità beata, in un eterno presente dove non vi sarà più nulla da attendere, ma sarà redento per intero il passato? […]

In ogni caso a chi è cristiano importa comunque e tanto il “Christus caritas”. “Ubi caritas et amor, ibi Deus est. Congregavit nos in unum Christi amor” (sempre dal Messale romano): questo è perfettamente conveniente agli uomini. E se Cristo non fosse affatto il Dio incarnato, ma al contrario fosse proprio l’incarnazione a rappresentare davvero l’inizio della morte di Dio? E se Gesù null’altro fosse che un uomo che, però, ha mostrato agli uomini che solo nel loro reciproco donarsi hanno la possibilità di divenire “dèi” seppure al modo di Spinoza: “homo homini Deus”? Non più, dunque, “tu scendi dalle stelle”, ma piuttosto “il darsi sostegno gli uni degli altri” per dimorare felici sulla terra.

La promessa d’una liberazione definitiva dal dolore e dalla morte forse è solo mito, ma in ogni caso non è nelle disponibilità di coloro che i greci chiamavano appunto i “mortali”. Il reciproco aiuto, al contrario, è nella disponibilità degli uomini e il cristianesimo, riconosciuto e assunto nella forma del buon Samaritano, ci può rendere davvero pienamente umani. Se così è, come direbbe Benedetto Croce, non possiamo non dirci cristiani. È questo un dilemma che da non credente pongo ai credenti, ai cattolici.

Infatti, da non credente, sono perfettamente d’accordo, parola per parola, su quanto dice l’enciclica nel capitolo secondo, commentando la parabola del buon Samaritano. Questo è da fare! Da questo punto di vista, Gesù esprime una possibilità degli uomini. Ma il Dio che risorge dai morti è solo una possibilità di Dio, ammesso che ci sia.

 

(Fonte: Sandro Magister, LNBQ, 12 ottobre 2020)

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/10/12/fratelli-tutti-ma-senza-piu-dio-un-filosofo-giudica-l%e2%80%99ultima-enciclica-di-francesco/

 

  

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