Il
magistero della Chiesa si è già pronunciato ampiamente sulla questione, negando
la legittimità giuridico/morale del riconoscimento civile delle unioni
omosessuali e la liceità per i fedeli cattolici di concorrere ad approvarle.
Ciò è avvenuto in vari documenti e soprattutto nelle Considerazioni
circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali della
Congregazione per la Dottrina della Fede,
I motivi
insegnati dal Magistero sono di ordine soprannaturale e di diritto divino, in
quanto esprimono il dato rivelato, ma contengono anche elementi di ordine
naturale in quanto anche la retta ragione, se non indebolita nelle sue
convenienti pretese, ha la capacità di comprendere che il riconoscimento
giuridico delle unioni omosessuali non è possibile a stabilirsi perché
contrario al bene comune.
L’esercizio
delle pratiche omosessuali è da considerarsi un grave disordine rispetto
all’ordine naturale e finalistico. Esse sono espressione di un desiderio non
sostenuto da alcun dovere finalistico e non finalizzato ad alcun bene morale.
Tale comportamento è negativo in sé, indipendentemente da intenzioni e circostanze.
È ingiusto e apre ad altre ingiustizie: in caso di adozione di minori li priva
di una figura genitoriale, in caso di inseminazione artificiale comporta la
produzione di esseri umani in laboratorio, il sacrificio di embrioni umani, la
commercializzazione dei gameti, la contrattualizzazione della procreazione,
l’utero in affitto o, domani, l’utero artificiale e così via.
I
diritti delle coppie omosessuali non esistono in quanto i diritti autentici
derivano sempre da dei doveri ai quali devono la propria legittimazione. La
differenza tra diritto e dovere è che il primo è un poter fare e un poter
avere, mentre il secondo è un essere a disposizione. La pretesa d’un diritto
può de facto nascere anche da un desiderio infondato mentre il dovere ha una
origine oggettiva nella natura finalistica delle cose. I diritti come pretese
fondano una società individualistica e relativistica, mentre il dovere
finalistico genera una società fondata sulla vocazione naturale delle persone,
delle famiglie e dei corpi intermedi.
Nella
relazione omosessuale i due individui non si completano, ma si sommano l’uno
all’altro. Eventuali loro rapporti di cura e solidarietà sono tali solo
apparentemente in quanto conseguenza di una relazione innaturale e
essenzialmente ingiusta. Sommandosi senza accogliersi pienamente e facendo solo
incontrare tra loro due desideri infondati, i due individui di una relazione
omosessuale non esprimono socialità ed essendo naturalmente sterili non fondano
nemmeno una società, non essendo in grado di promuoverla e svilupparla
procreando nuove vite.
L’autorità
politica è legittimata dal bene comune. Essa non può quindi riconoscere
giuridicamente tutte le relazioni che i cittadini stabiliscono tra di loro, ma
solo quelle che si dimostrano conformi al diritto naturale. La fisicità maschio
e femmina non è solo un dato fisico, ma antropologico: mostra il progetto
sull’uomo articolato in due poli complementari maschio e femmina. La fisicità
maschile e femminile indica quindi un dover essere, è una indicazione su come
si deve vivere in accordo con la natura umana. La politica e le leggi non
possono prescindere da questo fondamentale dato antropologico e riconoscere
dignità e valore comunitario alla sua negazione. Quando l’autorità politica fa
questo, contraddice se stessa, si corrompe e si degrada ad altro da sé. Il
riconoscimento di un diritto che diritto non è ma è un torto degrada sia il
diritto a torto sia la autorità a potere. Il potere si differenzia
dall’autorità perché è un puro fare privo di legittimazione morale ma fondato
solo sulla forza.
Il
riconoscimento giuridico dell’unione civile tra persone omosessuali non è
ammissibile nemmeno se dalla legge che lo contempla risultasse chiara la sua
non equiparazione alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Infatti la relazione omosessuale è ingiusta in sé. La linea “unioni civili sì,
a patto che non vogliano il matrimonio” è sbagliata. Non solo per motivi di
fatto: la storia insegna che una volta riconosciuta l’unione civile i suoi
sostenitori lotteranno per avere anche il matrimonio ed è una illusione pensare
il contrario, ma anche per motivi di diritto: l’unione omosessuale è sbagliata
in sé. Essa è in se stessa una forma di violenza e origine, in seguito, di
altre violenze.
L’idea
di accettare il riconoscimento delle unioni civili omosessuali per impedire la
radicalizzazione nel matrimonio omosessuale attualizza nuovamente la perdente e
moralmente insostenibile strategia del male minore. Non è lecito fare il male
per avere un bene, a maggior ragione non è lecito accettare un male minore per
evitare un male maggiore. Oltre a non essere moralmente lecita, una simile
strategia è anche miope dal punto di vista politico.
Le
unioni civili non possono essere giuridicamente riconosciute anche se sono tra
un uomo e una donna. Si tratta delle cosiddette convivenze o unioni di fatto.
In questo caso i due conviventi non accettano il matrimonio, che invece è
fondamentale per costituire una famiglia degna di questo nome e vera cellula
della società. Non c’è vera famiglia se non nel matrimonio. Col matrimonio i
due riconoscono pubblicamente che non sono insieme per interessi
individualistici ma per una vocazione. Non intendono accostarsi l’uno all’altro
ma unirsi reciprocamente e indissolubilmente rimanendo aperti alla vita. Solo
così si danno le due caratteristiche della socialità e della società in una
coppia.
Il
nostro Osservatorio ritiene di non avere espresso in questa Nota delle opinioni
personali o di parte, ma i tratti fondamentali dell’insegnamento della Chiesa e
delle conclusioni della retta ragione.
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