La lettera del Papa emerito Benedetto XVI non è un mea culpa di responsabilità ma un duro j'accuse nei confronti di chi, strumentalizzando una svista dei suoi collaboratori, ha finito per dubitare della sua veridicità, e addirittura per presentarlo come bugiardo. Ratzinger ha osservato che avendo «avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi».
Come è
stato spiegato ieri in un'analisi dei quattro autori della memoria (Stefan Mückl, Helmuth
Pree, Stefan Korta, Carsten Brennecke), per un errore di trascrizione
fatto dal canonista Stefan Korta si è sostenuto erroneamente che
l'allora arcivescovo non partecipò alla riunione dell'Ordinariato del 15
gennaio 1980 durante la quale venne deciso di accogliere a Monaco Peter
Hullermann, prete già responsabile di abusi ad Essen. Lo sbaglio commesso nella
memoria è stato usato dai detrattori di Benedetto XVI per delegittimare
tutta la sua tesi difensiva.
In
realtà, la presenza dell'allora cardinal Ratzinger a quella riunione era già
emersa pubblicamente nel 2010 e La Nuova Bussola Quotidiana ne aveva già
parlato in un articolo precedente alla pubblicazione del report. Una
buccia di banana, dunque, su cui è inciampato "il piccolo gruppo di
amici" del Papa Emerito ma che certamente non è una prova della veridicità
delle accuse. Come avevamo spiegato nei due articoli dedicati al caso di
Hullermann, durante quella riunione incriminata l'arcivescovo si era limitato
ad accettare il trasferimento del prete a Monaco ma non aveva disposto alcun
incarico pastorale.
Ratzinger,
peraltro, sapeva che il sacerdote pedofilo era in terapia psicoterapeutica ma non che vi
fosse stato destinato per aver commesso abusi sessuali su un minorenne.
Nell'analisi dei suoi collaboratori diffusa ieri dalla Sala Stampa della Santa
Sede è stato infatti ricordato come gli stessi periti dello studio legale,
nel corso della conferenza stampa di presentazione del report, abbiano ammesso
di non avere le prove che l'ex arcivescovo sapesse, dovendo riconoscere
"secondo l’opinione soggettiva" (frecciata degli amici del Papa
Emerito) che questa circostanza era soltanto "maggiormente
probabile”.
L'errore
commesso da Korta, in ogni caso, viene giustificato da Benedetto XVI ("non è stato
intenzionalmente voluto e spero sia scusabile") che nella sua lettera
ringrazia il "piccolo gruppo di amici" che "con
abnegazione" ha redatto le 82 pagine difensive, ricordando come abbia
provveduto a correggerlo sin da subito nel giorno della presentazione del
dossier alla stampa, mediante la dichiarazione diffusa dal suo segretario
personale, monsignor Georg Gänswein. D'altra parte, la partecipazione
alla riunione del 15 gennaio 1980 veniva riportata anche nella recente
biografia di Peter Seewald che è stata sicuramente precedentemente letta
ed approvata dal Papa Emerito.
Per
comprendere come sia potuto avvenire un errore simile, però, occorre leggere le
modalità in cui si sono ritrovati a lavorare i quattro autori della
memoria inviata allo studio Westpfahl Spilker Wastl. Sono loro
stessi a raccontarlo nell'analisi pubblicata ieri: "La visione degli atti
in versione elettronica - scrive il team del Papa Emerito - fu consentita al
solo Prof. Mückl, senza che fosse concessa la possibilità di memorizzare,
stampare o fotocopiare documenti. A nessun altro dei collaboratori fu
consentito di visionare gli atti. Alla presa in visione degli atti in formato
digitale (8.000 pagine) e alla loro analisi da parte del Prof. Mückl, seguì
un’ulteriore fase di elaborazione da parte del Dott. Korta, il quale ha
inavvertitamente commesso un errore di trascrizione".
Una
volta arrivate sulla sua scrivania le 82 pagine, "Benedetto XVI non ha
notato l’errore per via dei tempi limitati imposti dai periti, e si è fidato di
quanto era scritto, e dunque è stata messa a verbale la sua assenza". A
questa svista si sono aggrappati coloro i quali hanno voluto attaccare il Papa
Emerito novantaquattrenne, ma a dargli forza ci hanno pensato le numerose
lettere d'incoraggiamento arrivate in questi giorni al monastero Mater
Ecclesiae ed anche "l’appoggio e la preghiera" che il suo successore
Francesco ha voluto fargli arrivare "personalmente".
E a
proposito di "mea culpa" è la locuzione del Confiteor a suscitare in Benedetto XVI
una riflessione più generale sulla vergogna da provare nei confronti delle
vittime di abusi commessi da sacerdoti e che sarebbe scorretto - come molti
stanno facendo - calare sul caso specifico di Hullermann su cui ha chiarito con
forza la propria non colpevolezza. Ricordando gli incontri con le vittime ad
ogni viaggio apostolico realizzato quando era pontefice
regnante, Ratzinger osserva che avendo "avuto grandi
responsabilità nella Chiesa cattolica (...) più grande è il mio dolore per gli
abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei
rispettivi luoghi".
Dalle
parole della lettera, specialmente quelle relative alle accuse di essere un bugiardo,
appare evidente come il dossier e le reazioni mediatiche - soprattutto in
patria - lo abbiano amareggiato, ma chi lo ha visto di recente riferisce
comunque di un Benedetto XVI sereno, saldo nella fede e che non rinuncia al
sorriso. C'è in lui, forte, la consapevolezza di ciò che ha scritto nel finale
della sua lettera:
"Ben
presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro
alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque
con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il
giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli
stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio
avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la
grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più,
l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con
fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in
mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il
Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma
Egli, posando su di lui la destra, gli dice: 'Non temere! Sono io...'".
(Fonte:
Nico Spuntoni, LNBQ, 9 febbraio 2022)
https://lanuovabq.it/it/il-jaccuse-di-benedetto-xvi-non-ho-mentito
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