domenica 31 agosto 2008

Mons. Fisichella e il caso Eluana: al primo posto il valore supremo della vita

Quando si legifera sulla vita, c’è sempre «un grande timore, che deriva dal non sapere con esattezza cosa il legislatore porrà all’interno della legge». Per monsignor Rino Fisichella, bisogna capire «cosa significhi e di quali contenuti viene riempita» un’iniziativa legislativa su simili questioni. E i contenuti, ribadisce il presidente della Pontificia Accademia per la vita, non possono andare contro la vita stessa. Lo dicono la Costituzione, «la natura dell’ordinamento giuridico » e anche «principi etici condivisi da tutti» secondo i quali l’accanimento terapeutico va evitato, ma idratazione e nutrizione non sono interventi medici, bensì «l’elemento indispensabile per vivere».
Il vescovo, rettore della Lateranense e cappellano della Camera, torna sulla vicenda di Eluana e commenta l’ipotesi di una legge sulla fine della vita.
D. Quale bilancio si può trarre da queste settimane di dibattito sul caso della ragazza lecchese?
R. È in primo piano una questione con la quale presto o tardi avremmo dovuto confrontarci, sia dal punto di vista bioetico che giuridico. Ed è estremamente delicata, trattandosi di persone che, vorrei ribadirlo, vivono un’esperienza di vita piena, anche se in maniera diversa ai nostri occhi. In evidenza va sempre messa l’inviolabilità della vita come dono prezioso, di cui non possiamo disporre a piacimento. Il suo essere misteriosa ci fa anche capire i limiti posti alla scienza.
D. Quali sono?
R. Lo scienziato può dire qualcosa sul miste­ro, ma non tutto. La maggioranza delle cose sfugge alla mente razionale e deve es­sere colta in altra maniera. Ricordiamo, poi, che siamo davanti a casi limite. Quello di Eluana ha portato alla ribalta gli altri duemila che ci sono. Dobbiamo riscoprire la vicinanza a queste persone e alle famiglie.
D. Cosa pensa dell’idea che se ne sta facendo l’opinione pubblica?
R. Va fatta più chiarezza. Eluana non è attaccata a nessuna macchina. Non c’è nessun polmone d’acciaio o spina da staccare. A lei, come agli altri, devono essere dati nutrimento e acqua.
D. Quali sviluppi si aspetta, dopo il ricorso del procuratore generale?
R. Chiunque abbia letto la sentenza, ha capito subito che doveva essere impugnata. È positivo che la procura lo abbia fatto. Ed è importante che il Parlamento abbia compreso che si trattava di un’invasione di campo. Mi aspetto solo che il Paese arrivi a una consapevolezza di ciò che è veramente in gioco: il futuro delle nuove generazioni, la concezione stessa della vita e della morte, della verità e della libertà.
D. Perché verità e libertà?
R. Perché si tratta di capire veramente quan­do c’è vita e quando non c’è più. C’è un dibattito aperto sulla cosiddetta morte ce­rebrale e gli scienziati non sono ancora in grado di stabilirla con certezza. La scienza deve fare chiarezza. È, dunque, un problema di verità. Ma anche di libertà. Perché ognuno di noi, in alcune situazioni, può pensare di voler decidere quali cure avere o no al momento opportuno. Sappiamo però che poi, nella condizione particolare, si cambia idea. Non esiste decisione che non sia reversibile.
D. Cosa pensa dell’ipotesi di una legge sulla fine della vita?
R. Il Parlamento non parte da zero. Nella scorsa legislatura sono stati presentati nove progetti di legge da vari partiti. C’è il pronunciamento del Comitato nazionale di bioetica. Ci sono, insomma, diverse istanze che hanno posto il problema. Quindi, penso che si possa legiferare in proposito con più facilità. Certamente ogniqualvolta si fa una legge su temi così delicati, c’è anche da parte nostra un grande timore, che deriva dal non sapere con esattezza cosa il legislatore porrà all’interno della legge. 'Testamento biologico' è un’espressione di per sé vuota, bisogna capire cosa significhi e di quali contenuti viene riempita.
D. Ha già ricordato come le volontà cambiano.
R. Non solo. Viviamo in un Paese pluralista. E il legislatore deve sempre arrivare a norme di compromesso. Una legge non può mai essere né confessionale né neutrale. Deve regolamentare dei casi. Nel tempo se ne verifica la validità e, con le nuove conquiste scientifiche, si può anche capire dove modificarla. Per intanto bisogna fare in modo che, in una situazione così complessa, ci siano orientamenti che facciano comprendere il valore supremo della vita. È uno dei primi punti che ci auguriamo possano essere ascoltati dal legislatore.
D. A partire da quali basi?
R. In conformità con la Costituzione e la natura stessa dell’ordinamento giuridico, si legifera sempre a favore della vita. Ci sono, inoltre, principi etici condivisi da tutti a limitare l’accanimento terapeutico, che la Chiesa non ha mai difeso. È necessario, però, che ci sia non solo corretta informazione, ma anche capacità del medico di far comprendere al paziente la validità della cura.
D. È la tanto invocata alleanza terapeutica.
R. Occorre una formazione piena a questo. E deve essere molto chiaro che dare da mangiare e da bere è l’elemento indispensabile per poter vivere. (Gianni Santamaria, Avvenire, 5 Agosto 2008)

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