Rispondendo all’autopromozione della Rivista Paolina a depositaria e rappresentante presso i Media dell’autentico magistero di Roma, il 14 agosto 2008 la Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso un comunicato, in cui si afferma che il noto settimanale "Famiglia cristiana", "non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana". "Le sue posizioni - ha aggiunto il direttore Padre Lombardi - sono esclusivamente responsabilità della sua direzione". Quindi piena "autonomia di intervento nel dibattito politico generale", ma unicamente come espressione della personale linea editoriale adottata dalla rivista. E in quest'ottica vanno interpretate le recenti polemiche, visto che don Antonio Sciortino ha sciolto le vele, e dirige la sua corazzata "cattolica”, ora più che mai, contro tutte le flotte possibili e immaginabili, con siluri, armi proprie e improprie, colpendo a destra e a manca, a proposito ma più spesso a sproposito. E il tutto con la la disinvolta sicumera di chiaro stampo estremista, residuato bellico dei tempi bui. Quindi nulla a che vedere con il pensiero cattolico ufficiale.
A questo punto è legittimo chiedersi: perché fa così? Scrive il giornalista Fontana:
«Ho voluto toccare con mano i risvolti del caso e mi sono andato a rileggere tutti gli editoriali di Famiglia Cristiana di luglio e agosto. Non solo quello famoso sul “fascismo” incombente in Italia e che tanto ha fatto discutere, ma tutti. 6 luglio: accusa al governo di “razzismo strisciante” per le impronte ai rom; 20 luglio: critica al “lodo Alfano” che copre gli interessi personali di Berlusconi; 27 luglio: sì, il governo qualcosa ha fatto però le riforme non bastano, serve un cambio di coscienza; 3 agosto: troppi tagli alla spesa pubblica; 10 agosto: Berlusconi è nelle mani di Bossi; 17 agosto: no ai sindaci-sceriffo, preludio di autoritarismo.
Una serie programmata di interventi contro il governo: su questo non c’è dubbio. E’ un problema? Di per sé no: la critica è ammessa e addirittura auspicabile. La linea di un settimanale la decide il direttore e la confermano o meno i lettori, continuando a comperarlo o disertando le edicole. E’ bene, per la democrazia, che altri criteri non intervengano.
Però, nel caso di Famiglia Cristiana, ci sono due “però” che forse sarebbe bene venissero esaminati, finite le polemiche, anche dallo stesso staff della rivista dei Paolini.
Il primo riguarda la sua distribuzione nelle parrocchie. Non avviene più come un tempo, né con lo spirito di un tempo. Stefano Lorenzetto ha ricordato su “Il Giornale” di quando anche lui, da ragazzino, faceva il porta a porta per vendere Famiglia Cristiana, a sostegno della “buona stampa”. Anch’io ricordo bene quei tempi e le ragazze che, dopo messa, si prendevano il loro “pacco” di riviste. Ma non si trattava di sfruttamento per non risparmiare la quota degli edicolanti. Erano tempi fatti così: anche L’Unità veniva venduta, la domenica mattina, nelle osterie e nelle piazze, dai militanti della sezione locale del PCI. Ora le “zelatrici della buona stampa” non ci sono più, Famiglia Cristiana non è presente in tutte le chiese parrocchiali, ma in molte ancora sì, come per esempio nella mia. Ora questo non è più ammissibile. Famiglia Cristiana è libera di fare la politica editoriale che crede, compresa la pianificazione di editoriali contrari al governo in carica, ma proprio per questo non può aspirare ad essere presente nella parrocchie. Anzi, dovrebbe essere lo stesso Editore a rinunciare a questa forma di divulgazione. Avvenire ci sta anche nelle chiese, Famiglia Cristiana ormai no.
Il secondo “però” è più di sostanza. La Chiesa ha di mira l’uomo, non in astratto, ma l’uomo concreto. Lo dice anche la “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II. Per questo la Chiesa è libera e non segue né le mode né le ideologie. L’amore per l’uomo concreto la spinge a vedere il bene e il male ovunque e non solo da una parte. Ci sono i rom sfruttati, ci sono i rom sfruttatori; ci sono i precari ingiustamente precari, ci sono i precari interessatamente precari; ci sono tagli alla spesa pubblica che indeboliscono i servizi e tagli che eliminano privilegi; ci sono i magistrati che fanno il loro dovere e quelli che prendono di mira il politico di turno. Proprio la concretezza dell’amore cristiano impone di lavorare non con schemi astratti, ma avendo davanti l’uomo concreto, tutto l’uomo e tutti gli uomini. Impone anche di distinguere tra quanto deve fare la Chiesa e quanto deve fare la politica. Nei confronti degli immigrati la Chiesa deve solo aiutarli e a Lampedusa o a Mazara del Vallo la Caritas non cesserà mai di creare centri di accoglienza. Ma questo non significa che la politica non debba regolare questi fenomeni nella tutela degli interessi di tutti. Le diocesi partecipino ai programmi di integrazione dei rom, magari con forze proprie più che con finanziamenti pubblici, come facevano santi alla Don Calabria ma questo non contrasta con il dovere dello stato di proteggere quegli stessi bambini rom dallo sfruttamento e i normali cittadini dai loro furti, nella libera e opinabile messa a punto delle strategie che si ritengono migliori, fatti salvi, naturalmente, i fondamentali diritti dell’uomo.
E’ questo che forse è venuto a mancare a Famiglia Cristiana, la sapienza dell’attenzione all’uomo concreto. Questo impoverisce la testata, la trasforma in rivista di parte e quindi meno libera nel giudizio. La espone anche alla tentazione di adoperare criteri di giudizio unilaterali e vetusti, slogan piuttosto triti e di fare da portabandiera di un cattolicesimo che in Italia è in ritirata, sostituito da un altro cattolicesimo che si sta abituando a “discernere”, come si dice in “pastoralese”, avendo a cuore gli uomini concreti. Tutti, sia peccatori che giusti. Anche i rom e i precari». (Stefano Fontana, L'Occidentale, 19 agosto 2008)
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