martedì 24 novembre 2009

Gheddafi e Gesù

Il leader libico Mu'ammar Gheddafi, giunto domenica 15 novembre in Italia per partecipare al vertice mondiale della Fao che si sta svolgendo a Roma, ha incontrato giovani e avvenenti ragazze italiane per impartire loro una non richiesta lezione sull’Islam, invitandole poi espressamente a convertirsi alla religione maomettana. Invito corroborato dal dono a ciascuna delle partecipanti di una copia del Corano e di un altro libro, scritto dal relatore.
Nel suo discorso, il neo-predicatore islamico ha sostenuto, tra altre cose, che Gesù di Nazareth non sarebbe morto in croce: «Voi – ha detto – credete che Gesù è stato crocifisso ma non lo è stato, lo ha preso Dio in cielo. Hanno crocefisso uno che assomigliava a lui».
Questa affermazione ha la sua radice nel Corano, che al versetto 157 della Sura 4, accusando i giudei di avere deviato dalla via indicata da Dio, mette loro in bocca queste parole: «Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, Messaggero di Dio» e le commenta denunciandone l’infondatezza: «… mentre né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui».
Ora, è sufficiente dimostrare – come è stato abbondantemente fatto – che Gesù Cristo fu realmente crocifisso «sotto Ponzio Pilato» per documentare l’inconsistenza della credibilità storica del Corano. Almeno su questo punto. Che è decisivo per l’attendibilità dell’intera religione islamica.
Tuttavia, volendo dare per assodata l’affermazione del Corano, se ne dovrebbe dedurre una serie davvero improbabile di concomitanze.
La prima: l’ingenuità dei Romani che, dominatori del mondo grazie ad una civiltà, cultura, organizzazione militare e giurisprudenza impareggiabili a quel tempo, si sarebbero fatti beffare non si sa bene da chi (da Dio?) crocifiggendo un sosia al posto di Gesù.
La seconda: la sprovvedutezza dei notabili Giudei e di gran parte del popolo di Gerusalemme, che dopo aver brigato in tutti i modi per far condannare a morte il Cristo, che ben conoscevano anche di vista, se lo sarebbero lasciato sfuggire, facendosi gabellare da un suo sosia.
La terza: l’incomprensibile, autolesionistico comportamento degli amici di Cristo, i quali, a breve, sarebbero andati incontro al martirio per imitarlo, senza accorgersi che inchiodato alla Croce non c’era finito il loro Messia, ma un altro uomo.
La quarta: l’onniscienza di Maometto, il quale, ben sei secoli dopo i fatti accaduti sul Calvario, sarebbe stato il solo a conoscere come era andata, realmente, la vicenda.
Pare doveroso, dunque, se si vuole prestar fede al Corano su questo punto e dare ragione al leader libico, ammettere una serie di coincidenze del tutto inverosimili.
Forse, è più ragionevole pensare che, almeno qui, il testo sacro “dettato” a Maometto abbia preso un colossale abbaglio. Al quale crede, purtroppo, oltre un miliardo di uomini.

(Fonte: Gianpaolo Barra, Tempi, 16 novembre 2009)

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