venerdì 15 gennaio 2010

Meglio tardi che mai: anche l’Osservatore Romano si allinea

Finalmente anche l’Osservatore Romano pubblica oggi, dopo sei giorni dai funerali, l’annuncio della morte del confessore della fede mons. Leo Yao Liang, vescovo cinese della chiesa clandestina, condannato ai lavori forzati per il “crimine” di voler rimanere fedele al Sommo Pontefice e alla Chiesa universale. Infatti, dopo che AsiaNews aveva dato la notizia della morte e dei funerali di questo confessore della fede, era seguito un quasi generalizzato silenzio, anche nei mezzi di comunicazione cattolici, compreso l’Osservatore Romano. Silenzio interrotto il giorno 9 - due giorni dopo i funerali del compianto presule ed in seguito anche alle proteste circolate nella net - dal Foglio (Paolo Rodari, La politica vaticana in Cina è attendista e l’addio al vescovo Yao lo dice). Solamente ieri, 11 gennaio, dal Vaticano si dava ufficialmente notizia del decesso e si tracciava un commovente profilo del vescovo Yao (Mons. Yao è stato veramente il buon pastore che dà la vita per le sue pecore) con un comunicato dell’agenzia Fides (agenzia di informazione della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli), ripreso poi anche da Radio Vaticana e dal blog Settimo cielo di Sandro Magister.
Oggi è arrivato anche l’Osservatore Romano (meglio tardi che mai caro prof. Vian) che riprende il comunicato dell’Agenzia Fides:
Mons. Yao è stato veramente il buon pastore che dà la vita per le sue pecore
Il 30 dicembre 2009 è deceduto, all’età di 86 anni, Sua Ecc. Mons. Leo Yao Liang, Vescovo Coadiutore della diocesi di Siwantze (Chongli- Xiwanzi), nella provincia di Hebei (Cina Continentale).
Il Presule era nato l’11 aprile 1923 nel villaggio di Gonghui, nella contea di Zhangbei. Ordinato sacerdote il 1º agosto 1948, lavorò come viceparroco in varie parrocchie della diocesi fino a quando gli fu impedito di esercitare il ministero sacerdotale e fu costretto a guadagnarsi da vivere coltivando ortaggi e vendendo legna. Nel 1956 fu condannato ai lavori forzati per aver rifiutato di aderire al movimento d’indipendenza della Chiesa cattolica dal Papa. Due anni dopo gli fu inflitta la pena del carcere a vita sempre per lo stesso “crimine”, quello cioè di voler rimanere fedele al Sommo Pontefice e alla Chiesa universale. Fu liberato nel 1984 dopo quasi trenta anni di prigione. Ordinato vescovo il 19 febbraio 2002, nel luglio 2006 fu di nuovo sequestrato dalla polizia in seguito alla consacrazione di una nuova chiesa nella contea di Guyuan, e trascorse altri trenta mesi in prigione. Una volta liberato, ma sempre sotto stretta sorveglianza, ha potuto impegnarsi per gli affari della diocesi nonostante tutte le difficoltà. Alla Messa domenicale da lui celebrata partecipavano ogni settimana più di mille fedeli.
Dopo la morte di Mons. Yao, le Autorità civili hanno proibito alla comunità cattolica di onorarlo con il titolo di “vescovo”, imponendo che si usasse quello di “pastore clandestino”. La mattina del 6 gennaio corrente mese, migliaia di fedeli, provenienti da varie parti del Paese, hanno partecipato ai suoi funerali nonostante i controlli della polizia e l’abbondante nevicata, dimostrando così che Mons. Yao è stato veramente il buon pastore, che dà la vita per le sue pecore. In lui, come negli altri sei Vescovi cinesi che sono morti durante l’anno 2009, si sono compiute le parole del libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto” (3, 1-6).

(Fonte: Agenzia Fides, 11 gennaio 2010)

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