sabato 16 gennaio 2010

Perché venite a sposarvi in Chiesa?

Questa è la domanda che un parroco saggio dovrebbe porre alla coppia che va a prender contatti per combinare una data utile alla celebrazione...
Oggi sarebbe forse più corretto chiedere perché si sceglie di sposarsi, visto che non è così scontato. Comunque, per non rischiare di naufragare in un mare in tempesta, restringiamo il campo e torniamo alla domanda iniziale, perché c’è qualcosa di curioso. E’ possibile che i Corsi Pre-matrimoniali in Parrocchia, ormai da anni e anni propinati ai promessi sposi, siano un continuo cantiere di cui non si riesce mai a valutarne l’efficacia? Sono state schierate truppe di psicologi, coppie di parrocchiani sposati da 35 anni, raduni di fidanzati, visione di film e documentari stile Quark, incontri con il Vescovo, ecc., ecc., eppure questo benedetto corso viene generalmente vissuto come un peso oltre che dagli aspiranti sposini, anche da molti parroci.
Se poi diamo un occhiata ai numeri sul matrimonio vediamo che le separazioni sono in continua ascesa, così come le convivenze. A proposito di queste ultime si deve notare come la stragrande maggioranza delle coppie che arrivano a sposarsi in Chiesa è passata da un più o meno lungo “periodo di prova”. “Vediamo l’effetto che fa – dicono - perché un conto è uscire per andare a ballare, un conto è levarsi i calzini ai piedi del letto tutte le sere”, questa è la filosofia pratica di gran moda, che in fin dei conti è di una banalità sconvolgente. Sì, perché è ovvio che tra “andare a ballare” e “levarsi i calzini insieme” c’è una certa differenza, ma – mi chiedo -durante il fidanzamento oltre che andare a ballare avete mai parlato un po’ di come intendete la vita? Se effettivamente avevate deciso di volervi semplicemente divertire, ma perché andate a convivere e poi in molti casi finite a dover frequentare il Corso Pre-matrimoniale? Bah!
Le risposte al quesito iniziale hanno varie sfumature, ma girano tutte intorno alla solita minestra: “Mi sposo in Chiesa perché credo in Dio, ma mica in quello proposto dalla Chiesa per i suoi interessi. Comunque c’è un certo fascino, insomma sposarsi in Chiesa è bello”. La variante meno impegnata è: “La mamma (o la nonna) ci tiene tanto.”
Vabbè, a parte le varie considerazioni direi che un delitto si è già compiuto da tempo e il cadavere è in uno stato di avanzata decomposizione, la vittima in questione è il periodo di fidanzamento. A tal proposito quante Parrocchie/Parroci prevedono una catechesi per fidanzati? E poi, nelle prediche quante volte vengono trattati con chiarezza e fedeltà i temi dell’enciclica Humanae Vitae o quelli di varie catechesi di Giovanni Paolo II sulla sessualità?
Si fa un gran dire sulla pastorale dei corsi pre-matrimoniali, ancor di più si discute nel campo assai “moderno” dell’accoglienza dei divorziati-risposati, ma mi pare di non sentire altrettanta enfasi per quel che riguarda la rivalutazione del periodo di fidanzamento. Credo, invece, che far comprendere la grazia del fidanzamento come il momento in cui imparare a “dare tutto di sé perché padroni di sé”, sia la via maestra su cui cercare di evitare il fallimento di futuri matrimoni.
Vanno bene gli psicologi, vanno bene i cineforum, ma è tutto contorno se poi non ci sono più coppie di fidanzati che pregano insieme, se la partecipazione alla S.Messa è una tantum (nel senso di una volta l’anno a Natale), se ci si confessa solo per accedere al rito e poi buonanotte ai suonatori. Crediamo più alla psicologia della coppia o alla forza della preghiera? Non che le due cose si escludano necessariamente, ma mi pare che il rischio oggi è di far pendere troppo la bilancia sul primo piatto.
Il corso pre-matrimoniale per essere un buon corso prematrimoniale deve poter mettere in crisi la coppia, deve poter suscitare in loro domande forti. Intendo domande quali chi è per te Dio?, Che significato ha il suo Amore?, Che senso ha la parola vocazione alla luce della chiamata che Egli ha per ognuno di noi? Di solito, invece, si propina la solita storia sulle dinamiche di coppia, su questioni anche importanti, ma appunto di contorno.
Nel contesto attuale se non si rifonda una vera e propria educazione all’affettività da dove partire per proclamare la bellezza del matrimonio? E questa educazione all’affettività non può prescindere dal fondamento del rapporto personale con il Signore, senza di Lui si resta in balia della nostra psicologia, della nostra sensualità, di ciò che dicono e pensano gli altri. L’alternativa è quella di lasciare l’educazione all’affettività ad altre agenzie, non ultime Grandi Fratelli, periodici e pubblicità, film e spettacoli vari, dove all’occorrenza il menù prevede baci saffici, allusioni a buon mercato, disimpegno come regola, divertimento estetico/emozionale come unico obiettivo.
Insomma preoccupiamoci innanzitutto di far capire davanti a chi ci sposa. C’è poco tempo? Il Corso pre-matrimoniale non è la giusta occasione? A me pare un’opportunità considerato che il livello medio di informazione religiosa oggi è estremamente basso. Forse la maggioranza di queste coppie viene regolarmente in Chiesa la domenica? Persone che magari non hanno più una coscienza del peccato e quindi dell’Amore di Dio, come potranno sposarsi davanti a Lui in piena consapevolezza? Dire no è sempre difficile, ma a volte si aiutano gli altri anche in questo modo. Non è di moda parlare di queste cose? Una ragione in più per farlo. Vanno beni i convegni, i Master in famiglia e dintorni, le conferenze, i libri, ma poi sul campo occorre buttare il cuore oltre l’ostacolo senza paura di impopolarità. Oddio, sono sempre troppo integralista!

(Fonte: Parati semper, 14 gennaio 2010)

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