venerdì 23 aprile 2010

La Comunione e i cattolici sposati divorziati

Leggo e riporto la notizia: «Molti divorziati devoti che non possono ricevere la comunione hanno osservato con stupore la foto che ritraeva il presidente del Consiglio con un’ostia in bocca durante i funerali di Raimondo Vianello. Quell’uomo, han ragionato gli esclusi, ha un divorzio alle spalle e un altro in arrivo: come ha potuto accostarsi al sacramento? Esiste forse un lodo divino che anche in questo campo gli consente ciò che è vietato ai comuni mortali? Oppure il generoso avvocato Mills ha testimoniato sotto giuramento di essere lui il marito di tutte le mogli, comprese quelle off-shore, restituendolo a una dimensione di virginea purezza?
A mettere un po’ d’ordine in questo guazzabuglio ci ha pensato monsignor Fisichella, assolvendo il premier con formula piena: «Solo al fedele separato e risposato è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. Ma il presidente, essendosi separato dalla seconda moglie, è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante».
Quindi, se un divorziato si risposa con successo, nel senso che col secondo coniuge trova finalmente il suo equilibrio, la comunione non gliela si può dare. Se invece ridivorzia, allora potrà di nuovo avvicinarsi all’altare perché «è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante». In teoria uno potrebbe passare da un matrimonio all’altro senza mai smettere di comunicarsi, purché abbia cura di farlo negli intervalli. Che destino, quell’uomo: qualunque cosa faccia ha sempre bisogno di un’interpretazione autentica che gli fornisca una scappatoia. E la trova, sempre». (Massimo Gramellini, La Stampa, 22 aprile 2010)
Al di la della facile ironia anti berlusconiana, tanto per non far prendere in burletta sempre e comunque tutto ciò che riguarda chiesa e vita cristiana personale con l’arroganza di chi, essendo ignorante in materia, si permette di ridicolizzare sulle scelte di coscienza del prossimo, mi permetto di sottolineare la consueta ineccepibilità della risposta di Mons. Fisichella, che se si analizza un attimo con la mente sincera e libera da pregiudizi, è anche facilmente comprensibile: allo stato dei fatti, sfrondando il caso da qualunque illazione o intromissione nella sfera del personale di chicchessia, è chiaro che venuto meno lo “stato di peccato” (la convivenza more uxorio del secondo matrimonio) che costituiva impedimento per accostarsi al sacramento dell’Eucaristia, nulla e nessuno può vietare ad un fedele in grazia di Dio, ossia con la dovuta disposizione interiore, di ricevere la Santa Comunione. E ciò vale anche per gli sposati separati, che vivono da singoli la loro nuova situazione.
Con buona pace dei soliti cacciatori di scandali altrui.

(Mario, Administrator, 22 aprile 2010)

1 commento:

Roberto ha detto...

Grazie a lei ed a monsignor Fisichella.