mercoledì 6 febbraio 2013

Unioni gay: mons. Paglia in contrasto con la Dottrina della Fede

Il quotidiano “Avvenire” in prima pagina ha stemperato i toni, ma il resto della stampa nazionale ha colto subito la portata delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia: a suo giudizio, “è bene” che per “l’arcipelago delle convivenze non familiari” si cerchino “soluzioni patrimoniali e nel diritto privato” per “nulla togliere all’uguale dignità di ogni essere umano”. Lo ha detto, rispondendo alle domande dei giornalisti durante la presentazione degli Atti della Giornata Mondiale delle Famiglie, svoltasi lo scorso giugno a Milano.
Mons. Paglia ha precisato come per matrimonio debba intendersi solo “quello tra un uomo e una donna”. Ma poi ha auspicato che vengano cancellate le discriminazioni anche negli oltre 20 Paesi ove l’omosessualità è ad oggi un reato. Un invito a nozze per la stampa laicista, che difatti si è scatenata, parlando di “prima apertura nella Chiesa” ai “diritti per le coppie gay”.
In effetti, sono affermazioni che contrastano frontalmente quanto contenuto nel documento emanato il 3 giugno 2003 con l’approvazione del Santo Padre, Giovanni Paolo II, documento dal titolo “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, scritto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui era Prefetto all’epoca il Card. Joseph Ratzinger. In quel testo si ritiene che non esista “fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale”. Il che non esclude che chi abbia queste tendenze debba essere accolto “con rispetto, compassione, delicatezza”. Ma non si parla minimamente di riconoscimenti nel “diritto privato”. Anzi: a chi pensi di legittimare le convivenze gay è “doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste, nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo”
 

(Fonte: M.F., Corrispondenza Romana, 5 febbraio 2013).

Nessun commento: