venerdì 14 giugno 2013

Bergoglio, il "papa nero" vestito di bianco

Ci mancava un guru della McKinsey per disegnare quella riforma della curia che tutti si aspettano da papa Francesco. Ed eccolo che è arrivato.
Si chiama Thomas von Mitschke-Collande, è tedesco ed è stato direttore della filiale di Monaco di Baviera della società di consulenza manageriale più famosa e misteriosa del mondo.
In cose di Chiesa, sa il fatto suo. L'anno scorso ha pubblicato un libro col titolo poco tranquillizzante: "Vuole la Chiesa eliminare se stessa? Fatti e analisi di un consulente aziendale". La diocesi di Berlino si è rivolta a lui per rimettere in sesto i suoi bilanci e la conferenza episcopale di Germania gli ha chiesto un piano per risparmiare in costi e personale.
L'idea di metterlo all'opera anche per la riforma della curia romana è venuta a Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, uno degli otto cardinali chiamati da papa Jorge Mario Bergoglio a fargli da consigliere.
Latore della proposta all'interessato, che l'ha accolta con entusiasmo, è stato padre Hans Langerdörfer, il potente segretario della conferenza episcopale tedesca, gesuita.
Anche Bergoglio è gesuita e da come agisce si è ormai capito che intende applicare al papato i metodi di governo tipici della Compagnia di Gesù, dove al preposito generale, il cosiddetto "papa nero", competono poteri praticamente assoluti.
La sua reticenza nell'attribuirsi il nome di papa e la sua preferenza per qualificarsi come vescovo di Roma hanno fatto esultare i paladini della democratizzazione della Chiesa.
Ma il loro è un abbaglio. Quando Francesco, il 13 aprile, ha nominato otto cardinali "per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della curia romana", li ha scelti di testa sua.
Se avesse seguito i suggerimenti del preconclave, il "consiglio della corona" l'avrebbe trovato già bell'e pronto. Gli sarebbe bastato chiamare attorno a sé i dodici cardinali, tre per continente, eletti al termine di ogni sinodo e quindi anche dell'ultimo, nell'ottobre del 2012. Eletti con voto segreto e rappresentativi dell'élite dell'episcopato mondiale, con dentro quasi tutti i nomi di peso dell'ultimo conclave: i cardinali Timothy Dolan di New York, Odilo Scherer di San Paolo del Brasile, Christoph Schönborn di Vienna, Peter Erdö di Budapest, Luis Antonio Gokim Tagle di Manila.
E invece no. I suoi otto consiglieri papa Francesco li ha voluti scelti da lui soltanto, non scelti da altri. Chiamati a rispondere solo a lui, non anche a un consesso elettivo.
Ne ha voluti uno per ogni area geografica: Reinhard Marx per l'Europa, Sean Patrick O’Malley per l'America settentrionale, Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga per l'America centrale, Francisco Javier Errázuriz Ossa per l'America meridionale, Laurent Monsengwo Pasinya per l'Africa, Oswald Gracias per l'Asia, George Pell per l'Oceania, più uno di Roma, non della curia strettamente intesa ma dello Stato della Città del Vaticano, il suo governatore, il cardinale Giuseppe Bertello.
Quasi tutti i prescelti ricoprono o hanno ricoperto cariche direttive in organismi ecclesiastici continentali.
Ma questo è proprio ciò che accade nella Compagnia di Gesù. Bergoglio ne è stato superiore provinciale e ne ha assimilato lo stile. Al vertice della Compagnia gli assistenti che attorniano il generale, da lui nominati, rappresentano le rispettive zone geografiche. Le decisioni non vengono prese collegialmente. Solo il generale decide, con poteri diretti e immediati. Gli assistenti non devono accordarsi tra loro e con lui, consigliano il generale ad uno ad uno, nella massima libertà.
Un effetto di questo sistema sulla riforma della curia romana annunciata da papa Francesco è che non è stata insediata nessuna commissione di esperti con il compito di elaborare un progetto unitario e compiuto.
Gli otto cardinali stanno separatamente chiedendo l'apporto di persone di loro fiducia, dai profili più disparati. Oltre all'uomo McKinsey reclutato dal cardinale Marx ne sono stati interpellati almeno una dozzina, di vari paesi.
Altri si sono fatti avanti di loro iniziativa, come ad esempio il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del pontificio consiglio per i testi legislativi, ideatore di un progetto di riforma con al centro un "moderator curiae" che si occupi del funzionamento della macchina.
Ai primi di ottobre gli otto si ritroveranno attorno al papa. Gli consegneranno un fascio di proposte. Ma a decidere sarà lui. Da solo.
 

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 13 giugno 2013)
 

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