mercoledì 5 giugno 2013

Pontificati “virtuali”: ossia come i media manipolano la realtà

Nei giorni scorsi una signora esprimeva il suo sconcerto per l’atteggiamento assunto dai media nei confronti del neo-eletto Papa Francesco: «Tutti a sperticarsi in elogi al nuovo “Vescovo di Roma”. Ma dove erano in questi otto anni? Papa Benedetto è stato crocifisso dal primo all’ultimo giorno, salvo quando ha dato le dimissioni, allora si sono fatti sentire! Il perché di tanto entusiasmo dipende forse dal fatto che il nuovo Papa indossa la croce di ferro, le scarpe nere, i pantaloni neri?».
La signora in definitiva si chiedeva il motivo di tale diverso atteggiamento tenuto dai media nei confronti di Papa Benedetto e di Papa Francesco.
Ho continuato a riflettere sulla domanda della signora: come si spiega infatti che quei media, che per otto anni hanno continuato ad attaccare Ratzinger per qualsiasi motivo, oggi per qualsiasi motivo continuino a elogiare Bergoglio? Beh, che esista una disparità di trattamento, è sotto gli occhi di tutti: per esempio sul fatto di parlare in pubblico solo in italiano. Quando Benedetto XVI andò in Polonia (2006) fu aspramente criticato da un vaticanista perché aveva deciso di tenere discorsi ed omelie in italiano. Scrisse: “Ci si aspettava che prendesse lezioni di polacco”. Così dopo il primo Messaggio Urbi et Orbi (Natale 2005) ci fu chi ironizzò perché Papa Benedetto aveva salutato i fedeli solo in 33 lingue, circa la metà del suo predecessore Giovanni Paolo II. Quando, negli anni successivi, Benedetto arrivò a battere tutti i record precedenti, nessuno si sognò mai di farlo notare e di fargli i complimenti! Invece nessun vaticanista, di nessun giornale, ha avuto da ridire sul fatto che Papa Francesco abbia fatto gli auguri per Pasqua soltanto in italiano. Ci sarà sicuramente qualcuno che darà una lettura teologica della novità, sostenendo che Papa Bergoglio si sente soprattutto Vescovo di Roma e pertanto usa la lingua che si parla a Roma (qualcuno dovrà poi spiegarmi perché, se proprio si cercava soltanto un Vescovo per Roma, si è andati a cercarlo alla “fine del mondo”, scomodando tanti Cardinali provenienti da ogni dove, quando si poteva fare tutto in casa, con i tanti bravi preti a disposizione della diocesi di Roma).
Sono piccolezze, lo so: ma avete notato come mai, per i media, ogni gesto di Papa Francesco diventi un evento? Se abbraccia un bambino o un disabile, sembra che sia la prima volta che un Papa si comporta in questo modo, quando invece gli ultimi Pontefici ci hanno ampiamente abituato a gesti simili, senza peraltro che nessuno lo sottolineasse. Qualsiasi cosa dice, anche la più banale, diventa un oracolo. L’altro giorno mi è capitato di sentire, non ricordo se alla radio o in TV: «Parole forti quelle di Papa Bergoglio: “Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri”!». Non mi si fraintenda: non sto criticando Papa Francesco e non sto paragonando i suoi discorsi con quelli di Papa Benedetto. Ognuno si esprime a suo modo; c’è bisogno della lectio magistralis, e c’è bisogno della semplice riflessione a braccio; ogni tipo di intervento ha il suo valore, a seconda delle circostanze. Quel che mi dà noia sono le amplificazioni “gratuite” dei media, i loro “leccaggi”.
Ho l’impressione che si stia creando oggi un pontificato virtuale, in contrapposizione a un pontificato virtuale precedente, di segno opposto.
Mi capita spesso di chiedermi in questi giorni: ma che fine hanno fatto tutti i gravissimi problemi che affliggevano la Chiesa durante il pontificato di Benedetto XVI, e che qualcuno pensa siano stati in qualche modo all’origine della sua rinuncia? Sono mesi che nessuno parla più di pedofilia nella Chiesa; nessuno parla più di Vatileaks e dei veleni della Curia Romana; nessuno parla più dello IOR. Tutto risolto? È bastato eleggere il nuovo Papa per risolvere automaticamente tutti i problemi? Due son le cose: o era tutta una montatura mediatica allora, o è tutta una montatura mediatica adesso. Non è possibile che problemi che stavano facendo vacillare la Chiesa di punto in bianco scompaiano nel nulla. Si noti bene che, a parte alcune piccole avvisaglie, finora non è stata fatta nessuna riforma; eppure tutto fila liscio come l’olio. Sembrerebbe che il problema fosse uno solo: Joseph Ratzinger.
Sinceramente faccio fatica a comprendere il motivo di tanta avversione. Certamente anche lui ha commesso degli errori (c’è qualcuno che ne è esente?). Personalmente ritengo che il suo maggior limite sia stata l’incapacità di scegliersi validi e fedeli collaboratori: Papa Ratzinger, che pure conosceva i meccanismi di Curia, si è praticamente circondato di “carrieristi” che, al momento opportuno, gli hanno voltato le spalle. Pertanto non è stato messo in condizione di realizzare le riforme che si era proposte: innanzi tutto la riforma della Curia Romana; poi la “riforma della riforma” in campo liturgico; infine la riconciliazione con i lefebvriani. D’altra parte, come avrebbe potuto realizzare tali riforme senza l’aiuto dei suoi collaboratori?
In ogni caso queste, o altre possibili critiche, non giustificano l’avversione dei media nei confronti di Ratzinger. Ci deve essere qualche altro motivo che ci sfugge. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che il suo “peccato originale” fossero le origini tedesche. Non saprei: la Germania è stato forse il Paese dove lo si è maggiormente osteggiato. Forse la sua colpa principale è stata l’essere “tradizionalista”? Eppure è innegabile il fatto che Ratzinger sia sempre rimasto fondamentalmente un “liberale”. Sinceramente si fa fatica a individuare il motivo reale per cui per otto anni (senza contare gli anni precedenti) i media si siano esercitati nel tiro al piattello contro Papa Benedetto.
Sono comunque convinto che lo stesso atteggiamento che i media hanno tenuto nei confronti di Ratzinger, da un momento all’altro lo possono assumere anche nei confronti di Bergoglio.
Fossi nei panni di Papa Francesco, non dormirei sonni tranquilli: non bisogna infatti mai fidarsi degli adulatori; di punto in bianco potrebbero rivoltarsi contro. Tant'è che, abbastanza in sordina, gli sono già stati lanciati alcuni “avvertimenti” mafiosi: prima le accuse di aver sostenuto la dittatura militare, poi quelle di aver aderito alla “Guardia di Ferro”. Che poi Introvigne o chi per lui dimostri l’inconsistenza di tali accuse, non serve a niente: nel momento in cui il New York Times decide di sferrare l’attacco, non c’è santo che tenga; può essere anche tutto falso, ma il semplice fatto che le stesse accuse rimbalzino da un giornale all’altro, le trasforma in “verità”. A quel punto anche la testimonianza dei Premi Nobel diventa superflua; ciò che conta è quanto dicono i media: una verità virtuale, insomma, come virtuale è il mondo in cui viviamo.
 

(Ma.La. da: Giovanni Scalese, Querculanus.blogspot.it, aprile 2013)
 

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