«La
CEI guarda con attenzione a questa iniziativa e come Segreteria generale dà una
convinta adesione». Le parole con cui il sottosegretario e portavoce della
CEI, don Ivan Maffeis, ha comunicato l’adesione della Chiesa italiana Marcia
per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà promossa dal Partito Radicale il 6
novembre a Roma, non chiedono di essere interpretate né contestualizzate,
perché sono chiarissime. E con estrema chiarezza attestano come la stessa CEI
che ieri ha ritenuto di non appoggiare eventi come la Marcia per la Vita o il
Family Day, abbia fatto una tragica scelta di campo e oggi giaccia, scodinzolante,
alla corte dei nipotini di Marco Pannella cui peraltro questa Marcia è
dedicata. Certo, poi si potrà sempre dire come l’adesione – pardon, la «convinta
adesione» – ad un evento non implichi per forza la condivisione dell’intero
progetto politico di chi la promuove. Si potrà pure arrampicarsi sugli specchi
affermando che Marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà, in
realtà, oltre che a Pannella è intitolata pure a Papa Francesco.
Il
punto però, mi si passi l’espressione poco aulica, è che non siamo tutti scemi.
E sappiamo bene che la Segreteria generale della CEI è nelle mani di un
monsignore secondo cui Sodoma non è stata mai distrutta, che ha
“contestato” le unioni civili con decisione impercettibile (ci sono «altre
priorità», diceva…) e la cui ascesa a quella posizione è coincisa con uno
scadimento palese del quotidiano Avvenire, ieri più battagliero che mai
e oggi appiattito sul politicamente corretto, ridotto ad una surreale
equidistanza tra il comunque discutibile Trump e l’abortista e guerrafondaia
scatenata Clinton, a parlare male della Brexit nonché a dare ad eventi come il
citato Family Day minor spazio, in prima pagina, di quello riservato da testate
laiciste come Repubblica. Dunque la triste notizia dell’adesione della Marcia
dei Radicali stupisce fino ad un certo punto, inserendosi in un percorso
purtroppo già segnato e rispetto al quale risulta impossibile non porsi degli
interrogativi: dove stiamo andando? E dove andremo a finire? Il prossimo passo?
Una trasmissione della Bonino sulla tv dei vescovi italiani? Una rubrica di
Cappato su Avvenire? Che cosa?
Sono
dubbi che avanzo senza ironia, anzi con dispiacere. Perché so – come lo sanno
in tantissimi – che la Chiesa italiana è anche, anzi soprattutto, composta da
bravissimi sacerdoti, da pastori che hanno davvero, per dirla con Papa
Francesco, l’«odore delle pecore» e non quello di Confindustria, sul cui
giornale il Segretario generale delle CEI è casualmente editorialista. So
pure che molti che leggono ancora Avvenire – inclusi alcuni che tutt’ora
vi scrivono e collaborano – sono ottime persone nonché, in alcuni casi, cari
amici. Tuttavia di fronte ad una Chiesa i cui vertici sbandano tanto
clamorosamente, di fronte ad un disorientamento che si traduce in scandalo
quasi quotidiano, credo sia impossibile tacere. Di più: credo sia doveroso
alzarsi in piedi e scandire la propria indignazione. Scriveva l’indimenticabile
Giovannino Guareschi (1908-1968) che «quando i generali tradiscono, abbiamo
sempre più bisogno della fedeltà dei soldati». Beh, credo che vi sia mai
stato bisogno, come oggi, di questa fedeltà. Non per coerenza fine a se stessa
né per l’orgoglio di credersi migliori, ma per quel che, come cattolici, siamo
chiamati a testimoniare. Senza l’obbligo di piacere a nessuno, figurarsi ai
Radicali.
(Fonte:
Giuliano Guzzo, campariedemaistre.com,
21 ottobre 2016)
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