C’è un
passaggio, fra i numerosi discutibili, del decreto del tribunale per i minori
di Firenze, che fornisce la chiave di lettura ideologica della decisione:
quello in cui i giudici affermano che “la famiglia è sempre più intesa come
comunità di affetti, incentrata sui rapporti concreti che si instaurano fra i
suoi componenti; al diritto spetta di tutelare tali rapporti”.
E’ la
consacrazione del passaggio dal diritto, tale proprio in quanto agganciato al
dato obiettivo, a categorie emozionali, e quindi soggettive, come l’affetto o
il desiderio. Quando ciò accade, nonostante le pagine che si possano riempire
per dimostrare il contrario, il diritto cede il passo alla forzatura. E tale è
quella che nel decreto tenta di superare le norme italiane sull’adozione, che
la prevedono solo per persone unite in matrimonio da almeno tre anni, col
richiamo al diritto internazionale, e in particolare alla Convenzione per la
tutela dei minori e l’adozione internazionale dell’Aja: un richiamo improprio,
dal momento che quest’ultima ha fra i principi ispiratori “l’interesse
superiore del minore ed il rispetto dei suoi diritti fondamentali”.
La
domanda da porsi è la seguente: è coerente con l’interesse del minore e con i
suoi diritti fondamentali privarlo della madre? Sancire in nome del popolo
italiano che un bimbo vive bene senza la mamma e spacciare questa affermazione
come segno di civiltà può allietare i tg, le testate à la page, e i
commentatori a senso unico cui larga parte dei media dà spazio. Nella realtà è
qualcosa che contrasta – insieme con norme che fino a ieri apparivano non
discutibili – decenni di consolidati orientamenti dei giudici minorili, e
condiziona in senso ancora più liquido le relazioni all’interno della comunità
familiare.
Meno
di un anno fa il Parlamento approvava con doppio voto di fiducia, e con una
blindatura imposta dal governo dell’epoca per impedire una seria discussione
nel merito, le disposizioni della legge c.d. Cirinnà. Taluni deputati e taluni
senatori giustificarono il proprio voto a favore – in palese distonia con loro
dichiarazioni pro family e presenze a family day – col fatto che essa non
prevedeva la step-child adoption: un anno dopo la Corte di appello
di Trento, e a seguire il Tribunale per i minori di Firenze vanno molto oltre e
sacralizzano l’adozione da parte di due persone dello stesso sesso!
Con
l’introduzione per legge delle unioni civili, nella sostanza matrimoni same
sex, era poi inevitabile che la giurisprudenza parificasse il regime fra i due
tipi di coniugio nei confronti dei figli. Se il Parlamento abdica e non
affronta i nodi cruciali ci pensa il giudice. Peggio ancora se la rinuncia è
fatta con la riserva mentale che le sentenze supereranno il confine sul quale
le Camere si attestano per il timore di esagerare.
La
realtà è che le famiglie italiane oggi sono senza tutela e senza
rappresentanza. Fino a quando?
(Fonte:
Alfredo Mantovano, Formiche.net, 10 marzo 2017
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