Una rappresentazione omoerotica? Lo dice
l’autore. Sicuramente è un obbrobrio, artistico e teologico: solo uno degli
scempi compiuti a Terni da monsignor Vincenzo Paglia negli anni del suo
episcopato (2000-2013). Parliamo dell’enorme
affresco che copre tutta la controfacciata della Cattedrale di Terni,
dipinto dall’artista gay argentino Ricardo Cinalli dieci anni fa, ma che dai
media e dai social è stato “riscoperto” in questi giorni.
Il motivo della riscoperta è la conseguenza dello
scandalo suscitato
dall’elogio pubblico di Marco Pannella pronunciato da monsignor Paglia alla
presentazione del libro che racconta gli ultimi mesi di vita del leader
radicale (clicca qui). Già in passato monsignor Paglia si era
distinto per uscite a dir poco inopportune prima da presidente del Pontificio
Consiglio per la Famiglia e in tempi recenti da Presidente della Pontificia
Accademia per la Vita e cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II per la
famiglia. Che come rappresentante di due istituzioni create da san Giovanni
Paolo II per combattere l’aborto e contrastare gli attacchi alla famiglia, sia
andato a rendere onore proprio a chi ha fatto dell’attacco alla vita e alla
famiglia una ragione di vita, è intollerabile.
Diverse sono state le iniziative nel mondo per
chiedere le sue dimissioni immediate (clicca qui),
ma c’è anche chi si è messo a indagare sulle attività passate di monsignor
Paglia, ed è subito uscito il caso dell’affresco commissionato per il Duomo di
Terni. In una cattedrale antica, rifatta nel XVII secolo su progetto del
Bernini ma costruita su una chiesa precedente la cui origine risale addirittura
al VI secolo, è stata piazzata una Resurrezione post-moderna, dominata dalla
figura di Cristo che sale al cielo tirandosi dietro due reti cariche di figure
umane nude o seminude, con diverse figure di omosessuali e trans.
Tra di loro c’è raffigurato anche monsignor Paglia (su richiesta del
committente), nudo anche lui, abbracciato a un povero che lo solleva (ma c’è
chi ha dato altre interpretazioni).
A suscitare ancor più indignazione è stato il video
che Repubblica.it aveva
dedicato all’opera già un anno fa con l’intervista all’autore Cinalli, che
sottolinea il carattere omoerotico dell’opera, «tutto perfettamente accolto e
accettato da Paglia», che ha seguito passo passo la realizzazione dell’opera
insieme al sacerdote responsabile della cultura, don Fabio Leonardis, poi morto
nel 2008. Anche don Fabio appare nudo all’interno di una rete insieme ad altri
personaggi «dall’aspetto erotico», ma Cinalli ci tiene a precisare che
«l’intenzione è erotica, non sessuale». Meno male.
Qualche polemica in più l’ha creata l’evidenza dei
genitali di Gesù che
traspaiono evidenti dal telo che lo ricopre. Anche questo particolare, spiega
Cinalli, ha trovato il consenso del vescovo perché – avrebbe detto - «Gesù è
una persona, un umano», e quindi si «vede attraverso il tessuto che era un uomo
reale». Un vero genio questo Paglia: chissà perché per duemila anni la Chiesa
non ha mai dubitato della natura umana di Gesù senza dover ricorrere a certe
visioni. O forse monsignor Paglia pensa che stia lì l’essenza dell’umanità.
Ma per quanto la polemica di questi giorni si
concentri sulla
esaltazione della presenza di gay e trans nel piano di salvezza di Dio, la
gravità del dipinto va ben oltre questo aspetto. Si tratta infatti di una
visione della Resurrezione che si fonde con il Giudizio Universale, ma che non
ha niente a che vedere con ciò che i vangeli e la tradizione della Chiesa ci
tramandano. In un’opera sacra la libertà creativa dell’artista deve coniugarsi
con la correttezza teologica, cosa che qui è lontanissima dalla realtà.
Lo stesso Gesù che trascina due reti piene di esseri
umani per
certi versi ricorda l’Uomo Ragno, ma la spiegazione che ne dà Cinalli – citato
in un libro che raccoglie diversi saggi dedicati all’opera – è anche più
sconcertante: l’artista vede infatti «Gesù come andasse a far compere da Tesco.
In qualche modo ciò è divertente perché camminando per le vie di Terni, vidi
donne uscire dai negozi e portare borse piene di merce, una in ciascuna mano, e
pensai: ciò è esattamente quel che ho fatto. Gesù va a fare acquisti per gli
uomini al supermercato…. Cristo con due borse piene di persone».
La cosa peggiore è però il significato teologico
dell’opera. Non
c’è gioia, non c’è letizia per la vittoria sulla morte: al male che domina il
mondo Gesù (il cui volto è quello di un noto parrucchiere di Terni con cui
Cinalli aveva stretto amicizia) strappa le persone portandole con sé ma senza
che queste mostrino un cambiamento rispetto alla situazione precedente né
gratitudine: continuano a fare ciò che facevano prima, compresi gli atti
sessuali, fortunatamente non espliciti (almeno questo).
Dice don Fabio Leonardis, nello stesso saggio citato
prima, che
l’intento di monsignor Paglia «è stato denunciare tutto il male e i mali del
mondo di oggi, per dire a coloro che entrano nella sua cattedrale che Dio ama e
salva tutti». Che ami e voglia la salvezza di tutti è un discorso, ma che tutti
siano salvati è un altro. E infatti nel dipinto viene fatta fuori la libertà
dell’uomo, il Signore ti salva anche se tu non vuoi. Non c’è inferno: tutti gli
uomini, di tutti i colori e di tutte le religioni (ci sono anche musulmani,
buddhisti, ecc.) sono destinati a salire verso la Gerusalemme celeste dove
Cinalli (con Paglia) vede peraltro più minareti che chiese.
È anche sorprendente notare come l’opera voluta da
monsignor Paglia anticipi
di alcuni anni ciò che oggi è diventato il pensiero dominante nella Chiesa,
come allora aveva perfettamente sintetizzato il critico d’arte inglese John
Russell Taylor: «Se questo è un Giudizio Universale, deve essere un giudizio
senza condanna! Indipendentemente da come è stato inteso da Cinalli, è chiaro
che la rappresentazione è al passo con la teologia corrente: una teologia che
guarda con poco favore al Dio vendicativo del Vecchio Testamento, e preferisce
qualcosa o qualcuno molto meno giudicante». Ma non era Gesù che spiegava la
divisione tra eletti e dannati che ci sarà nel giorno del Giudizio?
(Fonte:
Riccardo Cascioli, La NBQ, 8 marzo 2017)
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