Marina
Ripa di Meana, la provocatoria esponente del jet set italiano morta a Roma il 6
gennaio 2018, ha scelto per morire la sedazione palliativa profonda, manifestando
le sue ultime volontà in un video-testamento: «Dopo Natale le mie condizioni
di salute sono precipitate. Il respiro, la parola, il mangiare, alzarmi: tutto,
ormai, mi è difficile, mi procura dolore insopportabile: il tumore ormai si è
impossessato del mio corpo. Ma non della mia mente, della mia coscienza. Ho
chiamato Maria Antonietta Farina Coscioni, persona di cui mi fido e stimo per
la sua storia personale, per comunicarle che il momento della fine è davvero
giunto. Le ho chiesto di parlarle, lei è venuta. Le ho manifestato l’idea del
suicidio assistito in Svizzera. Lei mi ha detto che potevo percorrere la via
italiana delle cure palliative con la sedazione profonda. Io che ho viaggiato
con la mente e con il corpo per tutta la mia vita, non sapevo, non conoscevo
questa via. Voglio lanciare questo messaggio per dire che anche a casa propria,
o in ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di
tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze. Fallo sapere. Fatelo
sapere».
La
scelta della sedazione profonda è stata suggerita dunque a Marina Ripa di
Meana da Maria Antonietta Coscioni, una parlamentare di sinistra,
fondatrice dell’Istituto Luca Coscioni, che si batte da anni per l’eutanasia
e il suicidio assistito. Tra le due forme di fine vita, ha affermato la
stessa Coscioni, in un’intervista a la Repubblica, esiste «una
discriminante precisa». Nella sedazione profonda «non si somministra un
farmaco che porta alla morte in un tempo ben preciso, che nel suicidio
assistito può essere cronometrato. Il tempo di sedazione profonda, invece,
dipende dalle condizioni del malato, che passa le sue ultime ore in un sonno
profondo».
La
dichiarazione di Maria Antonietta Coscioni insinua che il farmaco
somministrato al paziente conduce alla morte, anche se non in un tempo preciso
e cronometrato. Si tratterebbe di una forma mascherata di suicidio assistito,
ammessa dal “biotestamento” legalizzato in Italia a fine dicembre, secondo il
quale ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, può manifestare,
attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), le proprie
preferenze in materia di cure, compreso il rifiuto della nutrizione e
dell’idratazione artificiali.
In realtà,
osserva il prof. Renzo Puccetti, sedazione profonda è un termine non
scientifico e in ambito medico si dovrebbe piuttosto distinguere tra una
sedazione palliativa e una sedazione eutanasica. La prima
è ammessa dalla morale cattolica, perché non è diretta a sopprimere il malato,
ma il dolore. La seconda provoca la morte del paziente, o direttamente,
attraverso i farmaci sedativi, o mediante l’interruzione di sostegni vitali (La
nuova bussola quotidiana, 8 gennaio 2018). C’è dunque in questo concetto un’ambiguità
profonda che rende il problema meno semplice di quanto possa apparire.
In
primo luogo bisogna
chiarire che la sedazione di cui si parla non è una terapia temporanea per
alleviare il dolore, ma una condizione permanente, di non ritorno, che assomiglia
a quella di un coma irreversibile. Chi sceglie la sedazione profonda compie un
atto con cui sceglie di spegnere irrevocabilmente la luce della ragione e della
volontà, per immergersi in un sonno profondo e definitivo, che è difficile
distinguere dalla morte.
Ma se
non è lecito togliersi la vita, sarà lecito rinunciare deliberatamente
all’esercizio delle facoltà dell’anima, che rappresentano un immenso bene
ricevuto da Dio?
In
Italia, il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), in un documento approvato
il 29 gennaio 2016, dal titolo Sedazione palliativa profonda continua
nell’imminenza della morte, afferma la liceità della sedazione profonda,
perché questa, a differenza dell’eutanasia, non può essere ritenuta un atto
finalizzato alla morte. Ma lo stesso comitato ha decretato che lo standard
neurologico è clinicamente ed eticamente valido per accertare la morte
dell’individuo (I criteri
di accertamento della morte, 24 giugno 2010), ovvero che la morte
coincide con uno stato di coma irreversibile analogo a quello prodotto dalla
sedazione profonda e permanente.
L’evidente
ipocrisia è stata messa in luce da un membro dissidente dello stesso Comitato,
il dottor Carlo Flamigni: «Ebbene,
se sono un malato che soffre le pene dell’inferno a causa di una malattia per
la quale non ho speranza di guarigione, se so che queste pene continueranno,
intervallate da periodi di incoscienza più o meno lunghi, se mi addormento,
ogni volta che la morfina esercita il suo effetto temporaneo, terrorizzato
dall’idea che mi risveglierò dilaniato dalla mia sofferenza; ebbene se qualcuno
mi prospetta l’ipotesi di una sedazione palliativa profonda continua e me la
propone, quello che capisco è che mi viene offerta la possibilità di scegliere
una buona morte e l’accetto felice, stupito semmai per il fatto che il Paese
abbia finalmente legalizzato l’eutanasia». Considerazioni analoghe vennero
fatte in occasione della morte del cardinale Carlo Maria Martini, il quale, come
ricorda la nipote Giulia, chiese di essere sedato. «Avevi paura, paura
soprattutto di perdere il controllo del tuo corpo, di morire soffocato (…). Con
la consapevolezza condivisa che il momento si avvicinava, quando non ce l’hai fatta
più, hai chiesto di essere addormentato. Così una dottoressa con due occhi
chiari e limpidi, una esperta di cure che accompagnano alla morte, ti ha
sedato» (Corriere della Sera, 4 settembre 2012). Paolo Flores d’Arcais, su Il
Fatto Quotidiano del 6 settembre 2012, così commentò l’episodio: «Carlo Maria
Martini ha deciso, deciso liberamente e sovranamente, il momento in cui
voleva perdere definitivamente conoscenza, non “vivere” più la
propria agonia e la propria morte. Questo e non altro, infatti, significa
essere sedati. Non sentire più nulla, non provare più nulla, essere
“fisicamente non cosciente” (…). Essere già, soggettivamente, nel sonno eterno,
nell’eterno riposo, nella fine irreversibile di ogni sofferenza e di ogni
angoscia». Eugenio Scalfari osservò da parte sua: «Quando si è nello stato di
salute in cui era lui, la sedazione è un eufemismo che significa semplicemente
darsi la morte senza soverchio dolore a distanza di poche ore. Tra la sedazione
volontaria e il distacco da macchine, nella sostanza, non c’è alcuna
differenza» (La Repubblica, 26 settembre 2012).
Se sullo
standard neurologico della “morte cerebrale” prospera l’industria dei
trapianti, negli hospice delle cure palliative, soprattutto negli Stati
Uniti, prospera l’industria dell’eutanasia e del suicidio assistito. Elizabeth
Wickam , in un documentato studio, ha mostrato il supporto dato dal
Project on Death in America (PDIA) di George Soros allo sviluppo delle
cure palliative per renderle un efficace strumento della cultura della morte.
Pio
XII ha dato
delle chiare indicazioni morali sulla sedazione, o narcosi (Risposta
a 3 quesiti posti dalla società italiana di anestesiologia, del 24 febbraio
1957), confermate dalla Congregazione per la Dottrina della fede (Dichiarazione
sull’eutanasia, del 5 maggio 1980 par. III), ma non bisogna nascondersi
dietro il velo dell’ipocrisia. La verità è che le cure palliative oggi vengono
usate come veicolo per l’eutanasia, soprattutto nei paesi dove essa non è
legalizzata, con il pretesto di alleviare la sofferenza del malato. Il dott. Philippe
Schepens, della John-Paul II Academy for Human Life and Family, lo ricorda
con queste parole: «dire che una persona deve essere messa in uno stato di
incoscienza, perché il suo dolore non può essere sopportato in altro modo, è
falso alla luce degli attuali progressi della medicina. Questo tipo di
“sedazione totale” non solo priva la persona del suo diritto ad essere
cosciente e padrone del suo fine vita, ma è soprattutto diretta a rendere
accettabile ai parenti, da questo momento in poi, la privazione di
alimentazione e di idratazione. Ciò apre la strada all’eutanasia».
Gli
ordini ospedalieri cattolici hanno alleviato le sofferenze dell’umanità nel
corso dei secoli, ma negli ospedali, detti degli “Incurabili”, la
preoccupazione dominante dei religiosi e delle religiose che assistevano i
malati, era di prepararli spiritualmente alla morte. Negli hospice contemporanei,
simili spesso a centri di benessere per moribondi, la preoccupazione suprema è
quella di “non farli soffrire”, dimenticando il valore espiativo e redentivo
della sofferenza, che non è una lesione della dignità umana, ma la conseguenza
ineliminabile del peccato originale. Non c’è dignità maggiore di quella
dell’uomo che affronta con coraggio e pazienza le sofferenze della morte, a
immagine di Nostro Signore che, come narra il Vangelo, dopo avere assaggiato il
vino misto a fiele che gli venne offerto prima della crocifissione per
attenuare le sue sofferenze, non volle berlo (cfr. Mt 27, 34), perché
voleva soffrire in piena coscienza, compiendo così ciò che aveva detto a Pietro
al momento dell’arresto: «Non berrò io il calice che il Padre mio mi ha
preparato?» (Gv 18, 11).
(Fonte:
Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 10 gennaio 2018) https://www.corrispondenzaromana.it/la-sedazione-profonda-forma-mascherata-suicidio-assistito/
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