A poco meno di due mesi dall'inizio della nuova stagione televisiva, è già tempo di primi bilanci. Se la tv cosiddetta generalista perde circa 350 mila spettatori (ben poca cosa rispetto al milione di defezioni degli ultimi tempi), ciò che dovrebbe allarmare è l'assoluta assuefazione del pubblico al mezzo televisivo.In mancanza di reazioni, come ad esempio un sostanziale calo degli ascolti, produttori e autori propongono la solita minestra riscaldata, con programmi fotocopiati (ad esempio Domenica In, La Domenica Sportiva, Il treno dei desideri e Porta a Porta sulla Rai contro Buona Domenica, Controcampo, C'è posta per te e Matrix sulle reti Mediaset) e personaggi molto simili (Mentana e Vespa, Clerici e Maria De Filippi, Gerry Scotti e Carlo Conti, Paola Perego e Simona Ventura).Così le risse tra gli ospiti nei talk show sono identiche su Canale 5 e su Raiuno, come dimostrano i politici chiamati in causa, questa volta da Beppe Grillo, per rispondere alla disaffezione degli elettori/spettatori.Insomma, non c'è niente di nuovo nei palinsesti di Rai e Mediaset, comprese le banali fiction sulle forze dell'ordine (carabinieri, marinai e finanzieri) o sulle biografie dei santi volutamente falsificate (si veda quella di Giuseppe Moscati o di Francesco e Chiara). Anche per quanto riguarda lo sport, con il Campionato di calcio, la Nazionale e la Champion League che la fanno da padroni, si assiste al solito teatrino messo in scena da scialbi telecronisti, mentre altri spettacoli (ad esempio i tornei internazionali di basket, pallavolo e rugby) avrebbero meritato ben altra attenzione.Così le ultime stagioni televisive sono tutte uguali, ed anche i critici rischiano di ripetere le cose scritte anni addietro. Ma ciò che risulta davvero sconfortante è il fatto che il pubblico non si ribella, non pretende qualcosa di nuovo, mentre preferisce seguire gli stessi personaggi, gli stessi programmi, gli stessi format. E’ come se fosse rassicurato dalle vecchie e stantie idee, e perciò non fosse curioso, appassionato, desideroso di vedere programmi diversi e di qualità.Ed è un vero peccato, perché così la televisione non può migliorare, anzi può solo peggiorare, come dimostrano quei talk show che nel tempo hanno commentato i delitti da prima pagina con particolari sempre più efferati (ad esempio quelli di Novi Ligure, Cogne, Erba e in ultimo Garlasco).Non c'è quindi da stupirsi se le poche cose nuove e interessanti vengano trasmesse in tarda serata, proprio perché sono rivolte ad un pubblico ristretto che ancora crede ad una televisione educativa, intelligente e stimolante. Ma non era questa la missione della tv?
Se poi è il pubblico a giudicare…
Al contrario è sempre più stretto il legame tra i mezzi di comunicazione e le aule giudiziarie. Da tempo si permette alle telecamere di varcare la soglia dei Palazzi di Giustizia per documentare in presa diretta lo svolgimento di un dibattimento giudiziario, oppure vengono riprodotte in studio le situazioni processuali, con casi reali e giudici veri, con tanto di sentenza finale.E gode di buona salute anche il genere, che usa la metafora giudiziaria per analizzare alcuni eventi, generalmente di carattere sportivo.Oggi, accanto a questi esempi ormai tradizionali, sono sempre più numerosi i programmi televisivi che portano in scena le vicende giudiziarie in corso. La telenovela che coinvolge i giudici Forleo e De Magistris e il ministro Mastella è soltanto l'esempio più recente.Il fenomeno è ormai radicato e non si vede alcun segnale di inversione di rotta; basti pensare a tutte le volte in cui i presunti colpevoli vanno a difendersi in televisione, di solito (ma non esclusivamente) sulle poltroncine bianche di Porta a porta, dove Bruno Vespa è riuscito a ospitare persone che la giustizia ha dichiarato colpevoli di omicidio (per esempio Scattone e Ferraro, accusati di aver ucciso Marta Russo, o Annamaria Franzoni, condannata per l'infanticidio del figlio Samuele).Non appena i media mettono nel mirino un processo in corso, puntualmente le vicende giudiziarie si spostano sul teleschermo; i giornali e gli altri organi di informazione fanno la cronaca non più di ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) nelle aule giudiziarie, ma di ciò che si vede nel piccolo schermo. D'altronde, se la tv italiana pullula di processi televisivi, questo significa che il genere incontra il favore del pubblico.E’ pericoloso demandare al giudizio degli spettatori, invece che a quello degli organi competenti, tutti i più scottanti casi di attualità. Si rischia di confondere ancora una volta la realtà con la fiction o con il reality show. Evidentemente, c'è chi ha interesse a trasferire sotto i riflettori delle telecamere i dibattimenti giudiziari, a partire dagli avvocati più o meno spregiudicati che, facendo leva sui sentimenti popolari, sperano di creare un movimento di opinione innocentista tale addirittura da condizionare le decisioni della magistratura giudicante.
I presunti colpevoli, dal canto loro, stanno al gioco mediatico perché, secondo la distorta strategia di cui sopra, hanno soltanto da guadagnarne. E gli autori delle trasmissioni televisive sacrificano volentieri la deontologia alle leggi dell'audience, che impongono di tenere incollati al video milioni di telespettatori a tutti i costi.Auguriamoci che il verdetto finale di molti processi in corso non sia affidato al televoto della "giuria popolare" composta dal pubblico televisivo, ma agli organi effettivamente competenti. (Fonte: Incrocinews, novembre 2007)
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