C'è stato un periodo, nella storia dell'umanità, nel quale la cultura ha innalzato la donna ad un livello di assoluta sublimità. C'è stato un periodo (non ci si riflette abbastanza) nel quale alle donne era veramente demandato il controllo e, direi quasi, l'indirizzo stesso da imprimere alla società.
Da quel vertice le donne sono scese, e non sono più riuscite a risalire la china.
Il periodo di cui parlo sono i secoli XI-XIV, quelli della fioritura della società cortese e cavalleresca medievale.
Basta leggere una poesia provenzale, un sonetto di Guinizzelli, di Cavalcanti e soprattutto di Dante, per rendersi conto del livello e del prestigio cui era arrivata la figura femminile. La Beatrice di Dante è niente meno che un altro Cristo, una mediatrice della grazia divina, colei che ha reso libero, da schiavo che era, l'uomo che l'amava.
L'amore di cui questi poeti ci parlano è un'esperienza che "raffina", che fa diventare migliori, che innalza a vette mai raggiunte. Ed è sufficiente uno sguardo di lei, un saluto, un sorriso appena accennato, perché l'uomo si sciolga in un desiderio che lo trasforma da essere rozzo ed insensibile in creatura nuova, rinnovata dall'amore.
Leggo in uno strano libro di Maurizio Blondet, Selvaggi con telefonino (Effedieffe), questa condivisibilissima analisi: "Ad imporre la Cavalleria furono - non sorprenda - le donne. Sono loro che rifiutano quei giovani gorilla coperti di maglia di ferro, se non diventano anche "cortesi", capaci di "fin amor", un amore raffinato come oro nel crogiolo. Sono le donne che si rifiutano a quelli che, magari prestanti, compiono atti senza onore, o sono bassi di spirito. Mantengono la distanza, insegnano ai guerrieri la distanza erotica, che li nobilita in attesa dello "sguardo", della "mano" di lei. Che li fa dichiarare vassalli della donna. Da allora la mulier diventa donna, che significa domina, signora feudale, padrona".
La Cavalleria, questa straordinaria trasformazione di rozzi guerrieri barbari in uomini votati al bene, a grandi e sublimi ideali, la Cavalleria, che esaltava la nobiltà d'animo, il bene compiuto in modo disinteressato, le armi utilizzate per difendere i poveri, gli umili, gli indifesi, si diffuse grazie al prestigio e all'autorità delle donne.
Certo, la condizione della donna era difficile, ma lo era sempre stata, dai primordi dell'umanità. Ora, anche sulla scia del culto verso la Madonna e le grandi sante venerate dal popolo cristiano, quel pregiudizio antifemminile, tipico dell'età classica greco-romana, veniva piano piano ridimensionato, se non del tutto abbandonato. Il processo s'interruppe. Dall'Umanesimo in poi la donna cade dal piedistallo su cui l'aveva messa la grande cultura medievale. Dal Sessantotto in poi crolla il grande e glorioso modello della donna cristiana.
E oggi? Siamo reduci dalla festa dell'8 marzo, un rito commercial-godereccio che si ripete stancamente, tra lo sdegno e la nostalgia delle vecchie glorie del movimento femminista. Le quali, tra l'altro, oggi devono anche difendersi, perché non riescono nemmeno più a sbandierare come una conquista civile l'aborto di massa, di cui un tempo andavano fiere e del quale cominciano un po' a vergognarsi.
Le nobili battaglie sono evaporate in un nuovo modello di donna che sta perdendo tutta la nobiltà e la peculiarità del suo essere. La parità di diritti è degenerata nella nuova donna oggetto della società dei consumi, solo più disinvolta e apparentemente meno schiava di un tempo, perché artefice del proprio destino. Una donna "come carne, nient'altro che come carne", come profetizzava agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso Aldous Huxley nella sua utopia "Il mondo nuovo".
La donna non rende migliore l'uomo, non lo nobilita, non lo fa crescere, non lo "partorisce" più. Gli si offre, come carne, nient'altro che come carne. Non mantiene le distanze, non si fa desiderare. Gli si butta addosso. Non lo educa, non lo rende grande (il vecchio adagio che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna). Lo usa e poi lo getta. Volgare, materiale, squallida, come un uomo.
Guardate le ragazzine di oggi. Vanno in giro in branchi, a caccia. Non di rado con atti e maschere da prostitute. Parità raggiunta, certo. Se l'uomo va a caccia, perché non dovrebbe andarci la donna?
Ma forse è ora di dire, in modo del tutto scorretto, che è tempo di recuperare una disparità. Cioè di restituire alla donna quello che è suo proprio. Di sottolineare le differenze più che le uguaglianze, di tutelarla in ciò per cui è predisposta per natura e che più risponde alle esigenze della sua persona, della struttura stessa del suo corpo. E, soprattutto, di fornire alla donna modelli alti, nobili, eroici.
Perché la donna è la creatura somma di Dio, è il vertice del creato, è un miracolo vivente. E se si mantiene a questo livello è in grado di innalzare il livello di tutta quanta la società. Il crollo del nostro mondo occidentale è in gran parte dovuto al crollo della donna.
C'è bisogno di donne che recuperino la loro grandezza. Noi poveri uomini, rozzi e bestiali, ne abbiamo bisogno. C'è bisogno di un nuovo Medioevo cristiano! (Gianluca Zappa, La Cittadella, 10 marzo 2008)
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