giovedì 7 maggio 2009

«Clandestini?». Ma mi faccia il piacere!

Non viene in mente nulla di meglio dell'immortale umorismo di Totò a proposito del termine «clandestino», un classico esempio di come il politicamente corretto riesca a stravolgere il significato delle parole fino a ribaltarne completamente il significato.
Infatti il «clandestino» (il termine viene dal latino «clam» che significa «di nascosto») era colui che nascostamente si introduceva a bordo di una nave, di solito per eludere il pagamento del viaggio, talvolta per sabotare il bastimento in modo da favorirne l'abbordaggio da parte dei pirati; per cui triste era la sorte del clandestino una volta scoperto, perché nel dubbio il comandante che aveva la responsabilità della nave e del suo equipaggio preferiva spesso buttarlo ai pesci senza tante storie.
Tutto il contrario di quanto avviene con quelli che nel Canale di Sicilia oggi sono definiti «clandestini», cioè quegli sventurati che si imbarcano su precari relitti e che perciò fanno di tutto per palesare la loro presenza in modo da essere recuperati da imbarcazioni più affidabili e convogliati quindi in un posto sicuro.
Altro che «clandestini»! Semmai bisognerebbe più correttamente parlare di «invasori», poiché se il termine suggerisce una violazione della sovranità nazionale perpetrato attraverso l'uso delle armi, in effetti quegli infelici usano l'arma della del ricatto fatto al nostro stolido buonismo, ipocrita e controproducente. La cosa risulta evidente se si fanno alcune considerazioni ispirate al normale buon senso. Innanzitutto incominciamo a smascherare la bufala del costo del viaggio.
E' vulgata corrente e mai contestata che i cosiddetti «clandestini» versino ai malavitosi che organizzano questi viaggi della disperazione una somma che va dai 3000 ai 5000 dollari. Ora, una persona che sia in grado di risparmiare una somma del genere in paesi dove si deve vivere con un dollaro al giorno è una persona decisamente ricca o, quantomeno, facoltosa; immaginiamo nel nostro contesto un individuo che sia in grado di accumulare in breve tempo una cifra pari a quanto 100 dei suoi vicini spendono per vivere in uno o due anni: chi è in grado di risparmiare in un anno 50.000 euro non è che se la passi poi tanto male al punto da desiderare di andarsene in un altro paese.
Quindi una cosa è certa: i «clandestini» non pagano ai loro «traghettatori» quella cifra che, se fosse effettivamente nella loro disponibilità, permetterebbe loro di vivere decorosamente restando a casa. La cifra del passaggio via mare, per altro sensibilmente più modesta rispetto alle cifre sbandierate da tanti media, viene anticipata dalle organizzazioni criminali, con le quali i «clandestini» contraggono un debito la cui estinzione si concretizza di fatto nella riduzione in schiavitù. Nell'Italia Meridionale è realtà purtroppo diffusa l'impiego sistematico di manodopera servile durante le varie campagne di raccolta ortofrutticola, e nelle città a malavita organizzata che gestisce lo spaccio ha bisogno costante di nuova manovalanza data la continua espansione del mercato degli stupefacenti e a causa della rapida «usura», per intuibili motivi, degli spacciatori al minuto.
Per completare poi il ricatto buonista notiamo che nelle varie spedizioni c'è sempre una robusta manciata di donne, unitamente a un discreto gruzzolo di bambini. Quale sia il destino che attende quelle donne non è difficile immaginarlo, dal momento che i circuiti che alimentano la domanda di badanti sono ben diversi: Equadoriane, Filippine e Capoverdine non transitano sulla rotta di Lampedusa. In quanto ai poveri bambini, i meno sfortunati tra loro finiranno nel circuito delle adozioni illegali, mentre la maggioranza sarà utilizzata come strumento di ricatto nei confronti delle madri. Senza trascurare la consistente minoranza che fornirà il materiale destinato a scellerati trapianti di organi a chi se lo potrà permettere. Questo infame traffico di schiavi avviene sotto i nostri occhi e anima quotidianamente in maniera pittoresca l'informazione televisiva che ci intrattiene all'ora di cena. E per tenere in piedi il turpe commercio mobilitiamo navi ed aeromobili militari, mezzi costosissimi in termini di acquisizione e di gestione, per fingere di difendere una sovranità che abbiamo da tempo gettato alle ortiche. Se proprio vogliamo continuare ad essere complici dei delinquenti ma non vogliamo dimenticare il rispetto dovuto al contribuente, risparmiamo almeno sui mezzi militari e utilizziamo, per ripescare i cosiddetti «clandestini», i più economici mezzi di soccorso in dotazione alle capitanerie di porto, che ci consentirebbero un notevolissimo risparmio. Ma a questo punto, se il destino che ci è stato assegnato è quello di correre in soccorso di quei derelitti «clandestini», se vogliamo davvero essere coerenti fino in fondo, perché non andiamo noi stessi ad imbarcarli nei porti di origine con mezzi appropriati ed affidabili? E' vero che questo potrebbe offendere la ombrosa suscettibilità del governo insediato sulla quarta sponda del Mediterraneo, ma via...con tutti i quattrini che gli diamo dovrebbe chiudere un occhio...
In realtà la ragione è un'altra, perché se noi volessimo essere fino in fondo coerenti col nostro stolido buonismo e ce li andassimo direttamente a prendere invece di soccorrerli a mezza via, saremmo sommersi da una invasiva alluvione, tale da compromettere irrimediabilmente i delicati e fragili equilibri su cui si regge la nostra compagine sociale. Allora il nostro buonismo ipocrita e maldestro, oltre a permettere che sotto i nostri occhi si sviluppi e prosperi una turpe tratta di esseri umani, si affida alla rischiosa aleatorietà delle prime duecento miglia di traversata affinché la malasorte dovuta alla meteorologia ed alla fatiscenza delle imbarcazioni possa contenere il flusso di quei disgraziati migranti entro limiti, si fa per dire, sopportabili. Non poi così tanto male, come esempio di italica furbizia nel conciliare esigenze inconciliabili...anche se al fondo...fa proprio schifo.

(Fonte: Francesco Natale, Ragionpolitica, 4 maggio 2009)

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