giovedì 25 febbraio 2010

“Forum” di Rita Dalla Chiesa: altra chiassata inconcludente

Durante la trasmissione di Forum del 23 febbraio, condotta da Rita Dalla Chiesa, ho assistito ad un ennesimo battibecco televisivo, molto acceso (non dimentichiamolo, le baruffe fanno tanta audience!), anche se questa volta le urla erano smaccatamente scenografiche, molto meno realistiche del solito.
Che i casi trattati dal tribunale di Canale 5 siano una autentica “sòla”, è arcinoto a tutti; che i personaggi siano degli attori o dei volontari istruiti per la parte, regolarmente pagati per le loro prestazioni, è cosa altrettanto universalmente risaputa e pacifica.
Tuttavia anche la finzione, la ricostruzione di fatti più o meno pertinenti con la vita reale, potrebbero offrire l’occasione per trasmettere al pubblico dei valori fondamentali, degli insegnamenti positivi, comunque dei messaggi “veri”, utili per affrontare meglio la vita.
Ma per fare questo, piuttosto dei soliti personaggi sguaiati che urlano e pretendono di imporre le loro convinzioni fatte di niente, servirebbero delle persone preparate, esperte nelle tematiche programmate.
Tema dell’altro giorno era la “pretesa” di un “commesso” di fare festa la domenica per vivere con i figli e la famiglia, e di dedicare del tempo anche allo spirito andando a Messa. Cose che non gli riusciva di fare il lunedì, giornata del suo riposo infrasettimanale.
Non mi dilungo ulteriormente sul fatto in sé, e tanto meno sul come è stato proposto e risolto: anche se mi preme sottolineare come l’aspetto specifico della “santificazione” della domenica, sia stato bersaglio di tante e tali stupidaggini urlate dai soliti fiancheggiatori e avallate dalla stessa presentatrice, da dedurne la loro assoluta e totale ignoranza in proposito; ma soprattutto hanno fatto rimpiangere l’assenza di un qualche ospite preparato (un prete, un professore, un esperto) che potesse illustrare correttamente il pensiero della Chiesa in proposito, risparmiando ai telespettatori una così laida e acefala canizza (potrei anche nutrire una certa simpatia per l’attore Fabrizio Bracconeri fino a quando si limita al suo mestiere di comico. Ma da sbraitante e convinto opinionista è quanto meno da compatire; quindi… “sutor ne supra crepidam!” - Calzolaio, non andare oltre alle scarpe!).
Il tema, di grande attualità, merita infatti alcune considerazioni più pacate e profonde.
Per esempio, l'ambito umano del lavoro e della festa, è stato oggetto di studio da parte di un gruppo di esperti anche nell’ultimo convegno nazionale della Chiesa italiana a Verona.
Il problema, lo ripeto, non è da poco e riguarda il giusto modo di vivere il tempo.
Tutti siamo impegnati in una battaglia quotidiana che è quella contro il tempo. Chi non ha niente da fare cerca di ammazzarlo e chi invece è oppresso da mille occupazioni e scadenze, fa di tutto perché non gli scappi. “Perdere tempo” è uno dei lussi che più difficilmente ci si riesce a concedere e d'altra parte è uno dei vizi più condannati da chi sà che se si vuole ottenere qualche risultato nella vita, o quantomeno la possibilità di poter sopravvivere in questa penuria di occupazione, bisogna darsi da fare, sempre e comunque.
In tutto questo agitarsi, ovviamente, chi ne scapita è la festa e in particolare il senso cristiano della Domenica. Il tempo è sotto pressione, il lavoro, in certi ambiti, è imposto anche alla domenica, per cui quella “riserva” che più spesso viene invasa dal legittimo diritto al riposo o dalla aspirazione ad un sano divertimento con i figli, è la messa domenicale e la preghiera in famiglia. In certe situazioni purtroppo ci si deve arrendere all'inesorabilità di non poter esaudire il primo precetto della Chiesa: "Udir la Messa tutte le domeniche e le altre feste comandate."
Il lavoro non è solo un diritto è anche un dovere, lo sappiamo; ma allo stesso modo dovremmo riflettere e far riflettere, che la Festa non è solo un dovere, ma anche un diritto.
Se consideriamo la Festa unicamente come astensione dal lavoro, la intendiamo solo in termini negativi. La prospettiva di lavorare sette giorni su sette provoca sconcerto e disappunto in tante categorie di lavoratori. Ma questo è solo un punto di partenza. Perché lo si può fraintendere; si può ritenere infatti che quest'esigenza della Festa, sia dettata soltanto da motivi di comodità.
Invece, positivamente, la Festa è tempo: tempo per fare quelle cose che nei giorni feriali non si riescono a fare; per realizzare ciò in cui la vita umana può trovare il compimento delle proprie aspirazioni interiori. In una parola: per rigenerare il proprio spirito e - perché no? - anche il proprio corpo. Ma, appunto, nella maniera giusta.
In quest'ottica positiva può allora essere compreso il senso del precetto di santificare la festa.
Si tratta precisamente dell'occasione che ci viene offerta di mettere un punto fisso di riferimento allo scorrere inesorabile del tempo, per poter dare un senso anche alla vita feriale; alla nostra settimana manca infatti qualcosa se il tempo lavorativo non sfocia nella dimensione della Festa, della gioia, dello spirito. Il tempo non è tutto uguale, c'è un tempo santo che ci chiama alla sua santificazione.
Il modo cristiano di intendere Festa ci toglie quindi dalla dispersione e dalla frammentazione del nostro vivere in mille situazioni che poi male si armonizzano le une con le altre, e ci invita al raccoglimento in noi stessi e all'ascolto della Parola di Dio.
Ma la concentrazione interiore, l'incontro con Dio, senza la quale la festa resta monotona e vuota, non significa isolamento dal mondo e dalle relazioni interpersonali. Si può infatti fare Festa solo se si condivide il motivo della Festa, altrimenti si ripiega sul concetto materiale di astensione: astensione dal lavoro, astensione dai soliti impegni feriali, astensione dal solito orario, dalle solite cadenze; ma questo non basta.
Il tempo della Festa cristiana è il pilastro che sostiene la campata del tempo feriale fino al successivo pilastro della prossima festa e questo spazio, tra campata e campata, è fatto per essere abitato da una comunità, una comunità che lavora, una comunità che celebra, una comunità che opera.
In ogni situazione è sempre la stessa comunità che si esprime secondo dei ritmi che superano le esigenze instabili del singolo, per confrontarsi e unirsi con le altre comunità sparse nel territorio, arrivando a costituirsi popolo di Dio in cammino.
Così si realizza la Chiesa: una Chiesa che invita a dare ordine al tempo, una Chiesa che invita a dare a Dio il tempo di Dio. E' quella stessa Chiesa che nel passato è stata determinante anche nel mettere ordine entro il perimetro urbano dei nostri paesi e delle nostre città, grandi e piccole, dando spazi al culto e alla socializzazione: riflettiamo su questo, perché una settimana senza la Domenica, il giorno del Signore, è come un paese senza chiesa, senza piazza; manca il luogo dell'incontro, manca lo spazio della Festa.

(Fonte: Administrator, 24 febbraio 2010)

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