giovedì 25 febbraio 2010

Ipazia, fra storia e mito anticattolico

Sulla Rete è partita una raccolta di firme per far uscire in Italia il film del regista spagnolo Alejandro Amenabar Agorà, che la solita “subdola censura ecclesiastica” vorrebbe vietare agli italiani. Sì, perché il film parla di Ipazia, la affascinante filosofa pagana di Alessandria uccisa dai cristiani per ordine del vescovo s. Cirillo nel 415.
Ma la "verità" della pellicola di Agorà non è la "verità storica"...
I cercatori professionisti di scheletri nell'armadio cristiano ogni tanto tirano fuori l'episodio e, ovviamente, lo adattano al politicamente corretto corrente. Fino all'Illuminismo nessuno sapeva neanche chi fosse, questa Ipazia. Poi, il positivista John Toland nel 1720 e il solito Voltaire nel 1736 aprono le danze sulla progressista Ipazia vittima dell'oscurantismo clericale. Nel 1776 l'inglese Edward Gibbon consolida il mito nella sua celebre opera sulla caduta (per colpa del cristianesimo) dell'Impero romano. Nel secolo seguente tocca ai romantici: Ipazia è bellissima ed è l'ultima rappresentante dei mondo antico (dipinto come un'arcadia tutta ninfe, zefiri, pastorelle e satiri) trucidata dal fanatismo papista. Naturalmente, nel Novecento, Ipazia, vetero femminista, diventa la preda della misoginia cattolica. L'unica voce un po' fuori coro è quella di Mario Luzi, che le dedica un dramma nel 1978. Adesso, il film (e il cinema, forma di arte totale, si imprime nelle menti con una forza che la parola scritta neanche si sogna la scienza contro la religione, la tolleranza contro il fideismo. E indovinate chi sono i buoni e chi i cattivi. Roba da Odifreddi. Dunque, rassegniamoci al solito minestrone politicamente corretto. E non contate su una cinematografia contraria perché non esiste: Martinelli e il suo Barbarossa sono stati presentati come “leghisti” su tutti i media, così che il pubblico è rimasto a casa.
Coi nostri limitati mezzi, dunque, ecco la verità sul «caso, Ipazia». Innanzitutto bellissima lo sarà stata forse, da giovane, visto che nel 415 la filosofa aveva sui sessant'anni (in un'epoca in cui già a quaranta pochi avevano ancora denti in bocca). Il suo fu un omicidio politico e la religione non c'entrava affatto. Ipazia, figlia di un filosofo - Teone - molto addentro nell'ermetismo e nell'orfismo, era una neoplatonica che teneva scuola ad Alessandria. Una scuola tra le tante, in quella capitale della cultura antica. La parola “scuole” non deve trarre in inganno: si trattava di cenacoli per selezionati adepti. Di lei non è rimasta alcuna opera. Quel che si sa lo si deve ai suoi discepoli. Tra i quali c'erano parecchi cristiani. Uno di questi, Sinesio di Cirene, divenne addirittura vescovo. Secondo il metodo platonico (derivato a sua volta da quello pitagorico) i discepoli apprendevano «misteri» che non dovevano essere divulgati, perché non tutti erano in grado di comprendere. Ipazia non era affatto pagana nel senso di adoratrice di Giove, Giunone e Mercurio; anzi, come neoplatonica era più vicina al cristianesimo che al paganesimo. Infatti, lodava virtù come la verginità (non si sposò mai) e la modestia nel vestire. Ma, come i pitagorici e i platonici, sosteneva che i filosofi, essendo i più sapienti, dovevano occuparsi di politica, anche solo come consiglieri del principe. Infatti, ai suoi consigli ricorreva spesso il cristiano Oreste, prefetto di Alessandria. Oreste, da buon funzionario bizantino, aveva la classica visione cesaropapista dei rapporti con l'autorità religiosa, mentre il patriarca Cirillo cercava di salvaguardare l'indipendenza della Chiesa rispetto al potere politico. Nel 414 il contrasto tra i due divenne plateale; Cirillo cercò un compromesso ma Oreste rimase fermo sulle sue posizioni. Si formarono, al solito, due partiti (cosa normalissima nell'antichità; S. Ambrogio di Milano ne sapeva qualcosa). Tra i partigiani del patriarca, però, c'erano i cosiddetti parabolani, cristiani in odore di eresia per la loro ricerca fanatica del martirio: si consacravano con giuramento alla cura degli appestati, sperando in tal modo di morire per Cristo. Li chiamavano così in ricordo degli antichi gladiatori (aboliti da Teodosio) che affrontavano i leoni nel circo. Cirillo cercava di tenerli sotto il suo controllo ma la città era turbolenta: nel 361 un vescovo imposto da Costantinopoli, Giorgio di Cappadocia, era stato linciato; sette anni dopo la morte di Ipazia stessa sorte era toccata al nuovo prefetto; nel 457 venne ucciso a furor di popolo un altro vescovo di nomina imperiale, Proterio. Fu in questo ambiente e in questo clima che la colpa dell'intransigenza di Oreste venne attribuita a Ipazia e ai suoi consigli. Si sparse la voce che i «misteri» della sua scuola riguardavano pratiche magiche e negromantiche. La donna venne assalita da un gruppo di esagitati mentre gli schiavi la portavano a passeggio in lettiga, tirata giù e trucidata. Oreste e Cirillo, messi di fronte al fatto compiuto (e impressionati dalla piega che aveva preso la loro disputa), si riconciliarono. Il prefetto lasciò Alessandria, forse per fare rapporto alla capitale; comunque, forse sostituito, non tornò più. Un'altra cosa da chiarire: Cirillo non aveva niente contro il paganesimo, sia perché ormai minoritario e praticamente ininfluente, sia perché la sua preoccupazione principale era costituita, semmai, dalle eresie cristiane, che a quel tempo spuntavano al ritmo di quasi una al giorno. Solo anni dopo, con l'avvento di Giuliano l'Apostata, prese la penna per contrastare il tentativo - tutto politico - dell'imperatore di ripristinare l'antica religione civile romana. Il neoplatonismo, col suo desiderio di attingere il divino tramite la filosofia e la pratica delle virtù, continuò ad avere la città di Alessandria come suo centro fino all'invasione islamica. Tra l'altro, quest'ultima fu enormemente facilitata dall'astio accumulato dall'Africa romana contro Bisanzio, la sua gravosa tassazione (in parte giustificata dalle guerre quasi continue contro i persiani, i bulgari, gli avari e infine gli arabi) e la sua politica della mano pesante contro le eresie (che in quelle zone avevano sempre trovato terreno fertile).
Naturalmente, ai cantori del politicamente corretto (il quale, come abbiamo visto, varia di epoca in epoca) tutto questo non interessa. Così, il mondo pagano viene immaginato (e rappresentato) come un'epoca d'oro di scienza e tolleranza, dove la gente viveva in armonia con la natura, un mondo che, ahimé, è stato distrutto dalle religioni monoteistiche, in particolare l'odiato cristianesimo. Quel mondo in realtà disperato in cui pochi campavano alle spalle di milioni di schiavi, sconvolto continuamente da guerre scatenate dalla personale ambizione di uno, quel mondo che accolse con sollievo la religione dell'amore del prossimo e della dignità umana, non è mai esistito per gli intellettuali, gli artisti, i registi e gli scrittori che, fiutato dove tira il vento, si allineano supini al Potere del momento. I milioni di martiri cristiani? Se la sono cercata e se la cercano. I cristiani sono cattivi perché hanno ucciso Ipazia, così come gli statunitensi fanno schifo perché hanno ammazzato Toro Seduto. In effetti, Hitler e Stalin erano battezzati, non si può negarlo. Anche Robespierre. È strano che non siano stati ancora messi tra gli scheletri nell'armadio della Chiesa cattolica. Eh, il Papa dovrebbe chiedere scusa...

(Fonte: Rino Cammilleri, Il Timone, novembre 2009)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Rimane il fatto che la Chiesa ha sempre assasinato e trucidato senza problemi dimenticandosi con una facilità pasmodica delle parole del Vangelo. S. Carlo Borromeo continua ad esser santo anche se ha mandato sul rogo decine e decine di poveri innocenti. Anche senza dover rimontare ai secoli scorsi basterebbe ricordarsi della presenza dei sacerdoti sui voli della morte e dell'appoggio wojtyliano ai dittatori di quella zona. La Chiesa riconoscerà i suoi errori solo quando sarà passato così tanto tempo da fargli sembrare atti minori. La tecnica è ormai perfettamente collaudata.
Cordiali saluti, Giulia

Administrator ha detto...

Per Giulia: Beh, anche questo è un modo di vedere le cose: forse un pò semplicistico, basato più su tesi partigiane aprioristiche, piuttosto che su una solida e sincera ricostruzione storica dei fatti. Non lasciamoci condizionare da luoghi comuni che poi all'esame scrupoloso dei fatti, dimostrano tutta la loro origine di parte.
Saluti cordiali

Cristiano ha detto...

"Solo anni dopo, con l'avvento di Giuliano l'Apostata, prese la penna per contrastare il tentativo - tutto politico - dell'imperatore di ripristinare l'antica religione civile romana."

È sufficiente questa citazione per smontare la tua minestrina. Se questi sono i difensori della Cristianità, beh, c'è da disperarsi...

saluti,
Cristiano

army ha detto...

Condivido in pieno l'interpretazione storica dell'affaire Ipazia. Il mondo pagano non era un paradiso, la filosofa era un'aristocratica e donna di potere. Il delitto fu politico. Questo, a mio avviso, aggrava la posizione della chiesa di Alessandria. Il peccato originale della chiesa (lo si vede già dall'inizio) non è la crudeltà, il sadismo, la violenza, la pediofilia. No quelli sono peccati di singoli uomini, fuori o dentro la chiesa, la natura umana è quello che è. Il peccato originale (e attuale) della chiesa è la ricerca, la conquista e il mantenimento del potere. Il silenzio di Cirillo sulle violenze dei parabalani contro i pagani e gli ebrei, che hanno suscitato reazioni eguali e contrarie, la dice lunga. La santificazione di Ammonio, l'attentatore di Oreste non è un segnale chiarissimo? Non risulta che oreste o Ipazia abbiano indicato al pubblico disprezzo Cirillo. E' vero il contrario che Cirillo, cioè, avesse predicato contro Oreste e Ipazia e conosceva il suo auditorio!
Tutto questo ci dice che già allora la chiesa intendeva esercitare (o condividere, dove non era possibile) il potere. Ma se già all'inizio avviene questo è perchè a partire dai vertici, non si crede nella forza del proprio potere spirituale e ci si affida al potere politico per vincere.
Gli uomini di chiesa vengono sospesi a divinis se accettano cariche politiche. Cirillo insegna: esercitare il potere senza cariche ufficiali. E senza i vincoli che un mandato politico imporrebbe: mani libere e nessuna responsabilità. E' un potere assai superiore a quello di qualsiasi imperatore.

Anonimo ha detto...

"Solo anni dopo, con l'avvento di Giuliano l'Apostata, prese la penna per contrastare il tentativo - tutto politico - dell'imperatore di ripristinare l'antica religione civile romana".

E' un errore storico! Tutta la vicenda avvenne a partire dal 414, Giuliano L'apostata regnò molto prima, tra il 360 e il 363! Com'è possibile che Cirillo sia stato suo contemporaneo?

Inoltre secondo altre fonti Ipazia nacque nel 370 quindi, alla sua morte nel 415, avrebbe forse avuto "solo" 45 anni. Nella finzione cinematografica ci può anche stare che venga rappresentata fresca e di bell'aspetto.

Cristiano ha detto...

Caro anonimo,
e secondo te perché avevo citato quel passaggio?

Anonimo ha detto...

Su Ipazia la discussione, a mio modesto avviso, è impostata in modo fuorviante, perché il giudizio sul film è strettamente personale ed ognuno può avere il suo. Ma qui sta il punto, la libertà di pensiero non è legata a nessun credo; ed è proprio il "Credo" il vero spartiacque tra chi ha certezze assolute e verità rivelate ed immutabili e chi rimette in discussione i propri pensieri, ogni giorno. a questo punto, mi dispiace, ogni discussione, sta a zero, se non si accetta che al centro dell'agorà sta la tolleranza ed il rispetto reciproco di ogni pensiero non violento e non prevaricatore, espresso da chiunque, uomo o donna che sia. Mentre, è inutile negarlo, la fazione vincente del cristianesimo ha sempre cercato, con tutti i mezzi a disposizione, di zittire e di ridurre all'impotenza il dissenso, e negare tutto ciò equivale ad offendere la propria e l'altrui intelligenza. La storia della Chiesa è letteralmente piena di intolleranza perché è quel "Credo" che impedisce di agire diversamente, è quell'ipse dixit che ha condannato Giordano Bruno e Galileo Galilei. Ipazia, invece, oltre ad interpretare la tolleranza ed il libero pensiero aveva la massima colpa di essere una donna, perché è inutile negarlo, l'atteggiamento nei suoi confronti è tipico della Chiesa; una misoginìa fondata sulle parole di s.Paolo nella Lettera agli Efesini (vv. 22-24): "… Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto". Dissentire dal "pensiero unico" equivale ad emettere la propria condanna a morte (morale e civile). il dissenso è pericoloso perché insinua il dubbio e questo l'ho visto con molte persone anziane che rifiutano ogni discussione classificandola come una "filosofia" ed accettano solo certezze perché "credono nel Credo".
Armando dg