venerdì 12 febbraio 2010

Quello che il caso Eluana ci ha insegnato

Un anno fa moriva Eluana Englaro. Ormai l’anniversario della sua morte è per noi una data quasi sacra. Il caso di Eluana, la sua condanna a morte sulla base di labili dichiarazioni, non controllabili, impossibili da verificare, e comunque troppo lontane nel tempo, è stato un colpo al cuore per tanti.
Bene ha fatto oggi il Presidente del consiglio a portare la sua personale solidarietà alle suore che avevano curato con amore quella sfortunata ragazza per tanti anni. Attraverso l’esempio di quelle suore si è visto fino a quali livelli di forza e di eroismo può giungere la compassione cristiana, quella che Nietzsche irrideva e considerava una manifestazione di debolezza, di decadenza. Per restare fedeli negli anni ad un corpo martoriato, ad un’anima imprigionata, offrendo continuamente cura, attenzioni, amore, ci vuole una forza di dedizione, un coraggio e, in ultima analisi, una speranza che sono davvero sovrumani. La carità cristiana, lo diceva San Paolo, tutto spera, tutto crede, tutto sopporta. La compassione cristiana è la sola in grado di accettare la realtà, di non censurarla, di guardare in faccia le circostanze per quelle che sono e di assumerle coraggiosamente, senza facili vie di fuga.
Non si può più parlare genericamente di compassione, come se questo termine fosse univoco. C’è una compassione cristiana e una compassione nichilista. Una compassione che si alimenta di speranza, ed una compassione che non spera niente. Una compassione che si china sulla realtà, ed una compassione che la cancella, che non sa accettarla. Questa seconda compassione è stata incarnata dal padre di Eluana ed è purtroppo un modello di compassione sempre più diffuso tra gli uomini di oggi, che non hanno forza sufficiente per raccogliere la sfida della realtà. Non è la compassione cristiana quella cui si possono applicare le categoria di Nietzsche. Semmai è l’altra compassione, quella nichilista: Una cosa da uomini deboli, disarmati di fronte al destino.
Il padre di Eluana ha commentato così il messaggio odierno col quale Berlusconi ha chiesto scusa di non essere riuscito a fare qualcosa per quella donna: “Non avrebbe parlato in quel modo se avesse visto Eluana”. In questa frase c’è tanto, veramente tanto di tutta questa storia. Eluana è stata “accompagnata alla morte” perché qualcuno non riusciva più a sopportarne la vista. Perché non rispecchiava più un modello di realtà che è fragile quanto la vita di ogni uomo e che quindi è poggiato su basi troppo labili.
C’è gente che per anni ha sopportato la vista di quel volto e di quegli occhi, che per anni ha stretto e accarezzato quelle mani; che per anni e anni ha parlato con quel volto, a quelle orecchie; che per anni ha lavato, accudito, pulito quel corpo; lo ha profumato, con la stessa cura con la quale si tratta una cosa preziosa. E c’è invece chi, subito dopo l’incidente, ha solo pensato una cosa: il giocattolo si è rotto e non è più possibile accomodarlo. Per alcuni Eluana ha continuato per anni ad essere una donna, un essere umano. Per altri è diventata da subito un vegetale, contro ogni ragionevole dubbio scientifico, con un’ostinazione fideistica degna delle menti più retrive e bigotte.
La compassione nichilista, del resto, non è interessata alla verità. In fin dei conti, non le interessa sapere come stanno veramente le cose. Questo nuovo tipo di etica, corrispondente ad un mondo estetico-virtuale-ecumenico, “smussa gli angoli, colma i crepacci, introduce strade levigate. Invece di fondarsi sull’ontologia, sul riconoscimento del reale, diviene funzionale al suo occultamento” (Massimo Borghesi, Il soggetto assente, Itaca). E’ per questo che, ostinatamente, si è chiusa la porta in faccia ad ogni ragionevole dubbio e ad ogni nuova acquisizione scientifica di fronte al caso di Eluana. Al pregiudizio ideologico ed oscurantista la ricerca scientifica non serve.
Ma accettare questa compassione, questo traviamento nichilistico della compassione cristiana, significa accettare di convivere con la menzogna, con la falsità. Ecco allora quella patente di morta prematura assegnata ad una donna che stava ancora bene in salute, che aveva le mestruazioni, che in qualche modo reagiva agli stimoli, che non era cerebralmente morta. Davanti a certi dati scientifici non si dovrebbe barare. E invece si è barato. Come se la vita e la morte di un essere umano potessero ridursi ad una semplice opinione.
Di fronte al caso di Eluana, come di fronte all’aborto, come di fronte alla soppressione e alla manipolazione dell’embrione, la cultura del nichilismo, la compassione dell’etica-estetica ci chiedono uno sforzo immane: quello di cancellare la realtà e di smettere di interrogarci sulla verità. Perché solo a questo prezzo potremo tranquillamente accettare ciò che la nostra evoluta cultura cristiana ci ha insegnato a considerare disumano, folle, perverso. Falso e menzognero.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 9 febbraio 2010)

Nessun commento: