giovedì 10 giugno 2010

Preti. Il complesso di superiorità

Si finisce per chiudere il prete in un vicolo cieco disumano: deve apparire sempre «perfetto», «maestro», dissuaso a mostrare i limiti e incapace di confessare gli errori.
«Sono educati ad essere persone elette, innalzate a una speciale condizione, e ciò inevitabilmente condiziona e stravolge la loro vita anche nelle relazioni personali. Soffrono (e fanno soffrire a chi hanno accanto) le conseguenze di una visione distorta che li mette su un piedistallo, in una condizione di potere. E’ uno stato di cose che favorisce il fenomeno patologico e tragico della pedofilia in ambito ecclesiastico».
Trovo questa dichiarazione nell’intervista (La Stampa, 28 maggio) di una signora che ha amato ed è stata poi lasciata da un prete e devo dire che ¬- fatta salva la conclusione, sulla quale non ho competenze da psicologo per giudicare - mi trovo perfettamente d’accordo. Nel prete viene inculcato una sorta di «complesso di superiorità» che, se da una parte agisce come compensazione a determinate rinunce (al sesso, alla famiglia), dall’altra finisce per chiudere il sacerdote in un vicolo cieco disumano: quello di apparire sempre «perfetto», «guida», «maestro», dissuaso a mostrare i propri limiti e incapace di confessare gli errori. L’«uomo che non deve chiedere mai», perché tutto sa e tutto dirige; almeno nella sua parrocchia... Col risultato di costringersi talvolta in una situazione d’innaturale solitudine.
Ma se torno su tale teoria, non certo nuova, è perché noto una tendenza a ricadere nel medesimo difetto in tanti preti giovani. Complice il calo di vocazioni, che tanto terrorizza vescovi e superiori, si è portati infatti a enfatizzare oltre misura la «superiorità» del sacerdozio sugli altri stati, l’«eccezionalità» della «chiamata di Dio» (perché, forse che il Padreterno non «chiama» anche chi non si fa prete?); il messaggio inconscio è che il sacerdote non è uno «normale», inteso come «uno qualunque». E’ diverso, è sopra, è di più, è meglio...
E se il poveretto non ha la forza di sottrarsi a tale subdola trappola, che apparentemente lo esalta ma in realtà lo priva della sua umanità, le conseguenze (anche senza arrivare alla pedofilia) sono sempre pesanti. Anzitutto per lui e poi per la comunità in cui vive. Preti «normali»? Si, grazie!

(Fonte: Roberto Beretta, Vino nuovo, 8 giugno 2010)

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