giovedì 17 maggio 2012

Alcune domande sulla famiglia

O una strada o l’altra. Non c’è una “terza via” di compromesso, come vorrebbe farci credere bugiardamente il mondo, mentre sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze devastanti del relativismo e del pensiero debole tanto sbandierati dall’intellighentia postmoderna. Pontificano, loro: gli intellettuali, gli analisti, i sociologi… e intanto – basta guardarsi intorno – gli uomini vagano disarmati, impantanati, impotenti, arresi. Disperati, spesso. Letteralmente. Senza più speranza.
La famiglia “cambia”. Soffre, la famiglia? Ci si sposa sempre meno? Aumentano i divorzi? I rapporti di coppia sono instabili, fragili, determinati dalla precarietà? È incredibile anche solo pensare, oggi, di poter dire e poi vivere la promessa “per sempre”?
E ancora: soffrono i figli di genitori separati? i figli nelle famiglie “allargate”? i figli divisi? i figli contesi? Come vive un bambino, un adolescente in una coppia costituita da due donne o da due uomini? Come si vive quando certe parole spariscono dal vocabolario e “mamma” e “papà”, siccome vogliono dire una donna e un uomo, sono considerate discriminanti e il politicamente corretto le cancella e le sostituisce con “genitore uno e genitore due”? Come si vive nell’epoca del congiuntivo e del condizionale, in cui, poiché le certezze scricchiolano, l’indicativo appare inadeguato e tutto fluttua, lingua italiana compresa?
Se questa è la foto della realtà d’oggi, della famiglia d’oggi, vale la pena ritornare sugli interventi degli ospiti alla trasmissione “Indaco”, condotta da Sergio Barducci su San Marino RTV.
La famiglia è cambiata e cambierà. Bisogna farsene una ragione. Punto.
A telecamere spente, volendo fare sintesi, le posizioni emerse sono due.
La prima: prendiamo atto della diagnosi (qualcuno, per la verità, ha addirittura messo in dubbio che lo stato di sofferenza vissuto dalle famiglie e dai figli possa essere annoverato tra le “malattie”…) e tanto basta. Questo, ad esempio, il punto di vista di Francesca Michelotti (Sinistra Unita), che afferma: “vengono avanti delle nuove istanze che è difficile non riconoscere in tempi nei quali vige la supremazia del diritto… Ciascun uomo e ciascuna donna hanno diritto di perseguire la propria felicità e se la propria felicità è in una famiglia diversa non credo che possiamo ergerci a giudici di modelli prefissati, precostituiti che spesso non sono più adeguati ai tempi”. Sempre lei, ad un certo momento della trasmissione, dice che “non è più il momento delle scelte irrevocabili” e che “la stabilità è un valore fino ad un certo punto”. Come poi pesi drammaticamente sui figli l’inquieto “guardarsi intorno” dei genitori, sempre più incapaci di assumersi responsabilità adulte, forse, rispetto al “benessere” di mamma e papà, è oggi da molti ritenuto problema di serie zeta. E invece, cambiano i tempi, cambia la famiglia, ma la sofferenza del cuore è uguale sempre. Sarebbe buona cosa ricordarlo.
Sulla stessa onda (fluttuante) della Michelotti, l’intervento di Michele Pazzini, segretario LGBT (Associazione lesbiche gay bisessuali transessuali) di S. Marino, che, fatto un excursus storico dalla famiglia patriarcale al modello nucleare costituito dalla coppia sposata con figli biologici, siccome guardando in giro vede coppie sposate con e senza figli, coppie non sposate, etero e omosessuali, facendo spallucce afferma che la famiglia è destinata a cambiare in continuazione, ad intraprendere percorsi nuovi e ritiene che il problema sia in realtà il fatto che manchi una “cultura della differenza”. Relativamente alle figure genitoriali, chi l’ha detto che come riferimenti servono una mamma (donna) e un papà (uomo)? Sono – a suo dire – ruoli che vanno continuamente rinegoziati e, a proposito dei bambini: “quelli che si ha paura di traumatizzare”, immaginandoli allevati da una coppia di due maschi o di due femmine, Pazzini così conclude: “I bambini sono quelli più predisposti perché hanno meno stereotipi e pregiudizi. Sono più pronti”. Se lo dice lui…
L’assessore alla cultura e all’istruzione di Cattolica (Rimini), la preside Anna Sanchi, si limita a prendere atto che nella sua scuola vede e incontra… di tutto un po’: “famiglie tradizionali, sposate con uno o due figli, famiglie senza figli (? ndr), famiglie divise, divise in accordo, con una presenza costante del ruolo di padre e di madre, famiglie che usano i figli come un pacchetto, famiglie miste culturalmente, famiglie completamente di origine non italiana, con tante problematiche e tante specificità”. “Non posso dire se è meglio o peggio” (un tipo di famiglia anziché un’altra), afferma in seguito, ma dal grande e variegato osservatorio che è l’Istituto comprensivo che dirige, il suo intervento appare un po’ meno “iperuranico” di quello di Michele Pazzini (che saprà tutto su LGBT ma evidentemente conosce poco il grave disagio vissuto da tanti bambini e adolescenti di oggi…), e dice che “se i genitori non sono capaci di gestire il loro tipo di famiglia i problemi ci sono”. E allora, forse… se la famiglia soffre, bisogna impegnarsi per trovare una terapia.
Decisamente diversa l’altra posizione emersa nel corso del dibattito televisivo: analizzata la realtà variegata della “famiglia” d’oggi e le problematiche ad essa legate, fatta la diagnosi, dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad una situazione di sofferenza (e dunque – inutile negarlo – di “malattia”) per cui bisogna affrettarsi a cercare delle cure.
Chiarissimo, a questo proposito, l’intervento dello psicologo Alessandro Meluzzi, che sostiene con forza che “non dobbiamo guardare (all’attuale situazione ndr) con una rassegnazione passiva, ma come ad un fenomeno critico da fronteggiare”. Della stessa idea l’onorevole Carlo Giovanardi: “Di fronte ai problemi collegati alla disaggregazione della famiglia, se c’è una patologia perché ho la febbre a 38, se la famiglia è malata o, come ha detto Cameron, siamo di fronte allo sfacelo della famiglia, il problema è che bisogna vedere se si lavora per far tornare la temperatura a 36,37 o se invece si va nella direzione di un’ulteriore disaggregazione”.
Se – come hanno indistintamente sottolineato tutti gli ospiti – la famiglia è una risorsa, un mattone fondamentale per l’intera società, è allora necessario chiedersi quanto teniamo alla sua “salute”. Solo in questo modo ciascuno, per i ruoli che svolge, si sentirà personalmente coinvolto a prestare aiuto laddove serve o a tentare di prevenire situazioni di disagio.
Meluzzi ha concluso il suo intervento sottolineando come la Chiesa faccia bene a testimoniare con forza il valore della famiglia “tradizionale”, anche se è messa in discussione dai numeri, dalle statistiche; numeri e statistiche che comunque non sono mai stati e non sono in grado di dire ciò che è bene e ciò che è male.
Siamo d’accordo con lui. Anche noi continueremo a dare risalto alle tante piccole storie di positività, che sono segno di speranza; segno che, in famiglia, con l’impegno di tutti è ancora possibile “stare bene”. Non taceremo sulle sofferenze dei più deboli: dei bambini e dei giovani che troppo spesso non hanno voce. Ci impegneremo perché le famiglie vengano tutelate ed aiutate. Non smetteremo di denunciare gli attacchi che quotidianamente vengono sferrati alla “famiglia”, così com’è concepita dalla Costituzione, in nome di desideri che si vorrebbe diventassero legge.
E siccome “cattolico” significa “universale”, desideriamo precisare che ci sta a cuore la salute della famiglia di qualsiasi continente, di qualsiasi latitudine. È questa la ragione per cui chiediamo con forza ai politici dei nostri Comuni, delle Province, delle Regioni, dello Stato… ma anche dell’intera Europa, ma anche del mondo, che si prendano a cuore e difendano sul serio la famiglia, intesa come istituzione naturale ed incontro amorevole e fecondo tra un uomo e una donna. Non possiamo dunque accettare che il concetto di “famiglia” venga usato – sarebbe meglio dire distorto – allo scopo, bieco, di ottenere o aumentare i consensi.
Non abbiamo padroni, non dobbiamo compiacere nessuno e, da sempre, ci piace parlare chiaro. Non si fosse capito, il riferimento è ai recenti discorsi del presidente Obama o del neo presidente francese Hollande. Saranno anche in perfetta linea con l’attuale politically correct, ma a sentire ciò che hanno detto è chiaro che né l’uno né l’altro vogliono bene alla famiglia. Né l’uno né l’altro desiderano il suo bene.

(MaLa, da: Luisella Saro, Cultura Cattolica, 12 maggio 2012)

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