martedì 8 maggio 2012

Il Cardinale di Vienna e il consigliere parrocchiale omosessuale

Pubblichiamo alcune riflessioni critiche del prof. Josef Seifert, noto filosofo cattolico tedesco, sul recente caso della Conferma, da parte dell'arcivescovo di Vienna, di un omosessuale praticante come membro di un consiglio pastorale parrocchiale.
«Le riflessioni che seguono sono quelle di un cattolico austriaco che si duole per la decisione di un Cardinale della sua patria lontana, per il quale egli prova un grande rispetto e l’affetto di una amicizia di lunga data – anche se “inattiva” a causa della distanza geografica – che risale all’epoca in cui entrambi insegnavano all’Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia di Roma.
I fatto sono ben noti: il cardinale Cristoph von Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza Episcopale Austriaca, ha di recente annullato la decisione di un sacerdote polacco, parroco in un piccolo villaggio dell’Austria meridionale. Don Gerhard Swierzek si era opposto all’elezione nel consiglio parrocchiale di un uomo che pratica apertamente uno stile di vita omosessuale e ha perfino registrato pubblicamente la propria unione omosessuale e para-matrimoniale. Il cardinale, che inizialmente aveva dichiarato di appoggiare la decisione di Swierzek, ha invitato a pranzo, nel palazzo arcivescovile, il giovane (26 anni) Florian Stangl e il suo compagno.
Poi ha annunciato la sua decisione di confermare l’elezione di Stangl, in contrasto con la decisione del parroco. Il cardinale ha poi commentato di essere stato colpito dalla fede e dall’atteggiamento cristiano dei due uomini, e di aver compreso perché Stangl è stato eletto a grandissima maggioranza. Ciò ha indotto il parroco a dare le sue dimissioni, perché la sua coscienza non gli permetteva di svolgere il suo ministero in tali circostanze. La decisione di Schönborn è stata lodata e difesa da molti, e criticata da molti altri, compresi alcuni vescovi e cardinali, che l’hanno trovata incomprensibile.
Tra i difensori ci sono non solo le lobbies omossessuali o il vasto gruppo di laici e sacerdoti che hanno formato una associazione che dissente pubblicamente dagli insegnamenti e dalla disciplina della Chiesa, ma anche eminenti filosofi e politici cattolici impegnati, come l’Onorevole Rocco Buttiglione, già Ministro delle Politiche Europee, e poi della Cultura e del Turismo, membro del senato italiano e dal 2008 Vice Presidente della Camera dei Deputati italiana. Egli è un mio caro amico, Professore ed ex Pro-Rettore dell’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein e ora Presidente degli Amici della IAP.
A differenza dalle voci che hanno argomentato in favore della decisione del Cardinale a partire da una posizione apertamente o tacitamente anti-cattolica, oppure per ragioni del tutto irrazionali, Buttiglione difende la decisione del Cardinale senza chiamare in questione gli insegnamenti morali della Chiesa. Buttiglione riconosce pienamente che l’omosessualità praticata è un peccato, e che il peccato grave, specialmente quello commesso ripetutamente e senza pentirsi, anche se non conduce automaticamente e immediatamente alla perdita della fede, può facilmente condurre ad essa.
Inoltre, Buttiglione concorda sul fatto che un omosessuale praticante non può essere ammesso ai Sacramenti, e che lo scopo dei peccatori deve essere quello di convertirsi a cercare la santità, e non quello di persistere nei loro peccati o di traformarli in una nuova legge.
Ciononostante, Buttiglione difende la decisione del Cardinale sulla base del fatto che siamo tutti peccatori e che vivere nel peccato non distrugge automaticamente la fede cattolica, né esclude gli omosessuali praticanti o gli altri peccatori da una collaborazione fruttuosa in una istituzione politica della Chiesa, quale un consiglio parrocchiale.

Non intendo affrontare qui le difese della decisione che sono basate su serie deviazioni dalla verità o dall’insegnamento della Chiesa, ma mi limiterò ad una analisi critica della difesa fatta da Buttiglione, grande pensatore cattolico e coraggioso politico – in altre parole, mi limiterò ad una analisi critica della miglior difesa fatta dalla persona migliore tra coloro che sostengono la decisione di Schombrön, colui che ha lavorato per anni con me per edificare una scuola di filosofia sotto il motto diligere veritatem omnem et in omnibus, «amare la verità tutta intera e in tutte le cose».
Nonostante l’intelligenza e l’eccellente background della sua difesa mi sembra chiaro che su questo argomento il mio amico è in errore. Infatti, anche i migliori argomenti in favore della decisione del Cardinale chiaramente non tengono conto di importanti distinzioni, alle luce delle quali, a mio avviso, la decisione andrebbe revocata, o ribaltata da Roma.
Quali sono le mie ragioni?
In primo luogo, dobbiamo fare una distinzione importante riguardo all’affermazione che “siamo tutti peccatori”.

Essere un peccatore non è lo stesso che vivere in uno stato di peccato grave. Qualsiasi cosa la sua coscienza gli dica, e qualsiasi possa essere il giudizio di Dio sul suo agire (cosa che non sappiamo, né possiamo presumere di sapere), la condizione nella quale Stangl vive apertamente è, secondo la Chiesa, uno stato oggettivo di peccato grave – uno stato nel quale non tutti viviamo.
Secondo, nel caso di Stangl non abbiamo a che fare con un peccato compiuto molto tempo fa, o più recente, di cui l’autore si è pentito. Questo, dato che alcuni dei santi più grandi hanno commesso gravi peccati prima della loro conversione, non escluderebbe certamente nessuno dall’essere membro di un consiglio pastorale o in alcuni casi addirittura del sacerdozio. Un peccato di questo tipo possiamo presumere che sia in questione nel caso del parroco di Stangl, che ora è pubblicamente accusato di aver avuto una relazione con una donna durata alcuni mesi, prima di essere nominato pastore di Stützenhofen.
Anche se ammettiamo che la donna che lo accusa stia dicendo il vero e dunque il parroco abbia violato sia il celibato sacerdotale, sia la liceità delle relazioni sessuali esclusivamente all’interno del matrimonio, egli si è senza dubbio pentito ed è tornato ai suoi impegni. Nel caso di Stangl, al contrario, siamo di fronte ad un peccato presente, ammesso dall’interessato, e che continua tuttora.
Ancora più allarmante è il fatto che evidentemente la pratica omosessuale di Stangl non è riconosciuta da lui come moralmente negativa. Piuttosto, egli insiste sul suo ritenersi del tutto approvabile dal punto di vista morale. Stangl afferma che ai giorni nostri non si può chiedere a nessuno di vivere castamente o addirittura che nessuno vive in castità – un commento con il quale si squalifica in modo ancora più grave di quanto fa semplicemente con il proprio stile di vita. Anche se vivesse una vita casta, la sua approvazione pubblica dei rapporti omosessuali lo renderebbe inadatto a ricoprire il ruolo di membro di un consiglio della Chiesa.
Appartiene alla missione di ogni Consiglio pastorale della Chiesa annunciare i tesori dei suoi insegnamenti, e dunque anche proclamare l’ideale evangelico e il valore della purezza, che è sempre stata difficile da vivere, ma che è lodata nel Discorso della Montagna come una beatitudine che porta con sé una promessa unica: «beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Anche a prescindere dal «sermone della sua vita», dunque, deridere apertamente questa virtù e definirla impossibile è chiaramente incompatibile con il fatto di far parte di un consiglio parrocchiale secondo le linee guida della Chiesa, sulle quali tornerò fra poco.
Inoltre, c’è un aspetto importante dell’essere un esempio per altri che è inseparabile dal fatto di occupare qualsiasi posizione ufficiale nel corpo della Chiesa. Accogliere un omosessuale dichiarato in una carica di questo tipo costituirebbe una «lezione all’impurità» e un esempio che altri potrebbero seguire, affermando: «faccio solo ciò che fa anche il membro del consiglio pastorale Stangl, che il Cardinale ha difeso contro il nostro parroco e ha definito un profondo credente». L’azione del cardinale produce così inevitabilmente l’illusione dell’approvazione dei rapporti omosessuali da parte della Chiesa e costituisce un cattivo esempio morale.
Inoltre, c’è una differenza importante tra un peccato commesso privatamente e nascosto al pubblico, e uno commesso apertamente. Un sacerdote che pecca nel segreto, per quanto ciò sia molto triste, almeno esprime un elemento di vergogna per le proprie azioni e può indicare una volontà di evitare un cattivo esempio pubblico – senza alcuna intenzione ipocrita di mentire e di ingannare i fedeli.
Al contrario, un membro del consiglio pastorale che apertamente professa la sua relazione omosessuale (della cui peccaminosità egli non crede), può essere una dimostrazione di impudenza più che di onestà. Precisamente perché un prete deve essere consapevole del fatto che è chiamato ad essere un esempio degli altri – e dunque dovrebbe essere virtuoso più degli altri – dovrebbe evitare di scandalizzare altri, trasformando la propria cattiva vita privata in un cattivo esempio pubblico.
Se il prete non solo peccasse, ma anche annunciasse i propri peccati a tutta l’assemblea della Chiesa, indicherebbe non onestà, bensì una mancanza delle dovute vergogna, discrezione e prudenza. Tali peccati appartengono al confessionale, non al pubblico o alla stampa, anche se ci sono circostanze nelle quali una confessione pubblica e una espressione di dolore, quando sono legati ad una intima conversione, potrebbero di fatto essere la cosa giusta ed edificante da fare, come nel caso dello straordinario libro di sant’Agostino, le Confessioni.
Condannare don Sweierzek (sempre ammesso che la donna che sta diffondendo la sua storia non stia mentendo) per aver taciuto i propri peccati prima di diventare parroco di Stützenhofen, è proprio farisaico. Chi, degli uomini e delle donne sposati che definiscono il proprio pastore un ipocrita, si alzerebbe in piedi alla Messa domenicale e confesserebbe i propri adulteri o gli altri peccati, o li diffonderebbe in un’intervista sui giornali? Perché un prete dovrebbe fare questo per poter essere considerato onesto? Certamente, rimproverare altri per i loro peccati, e anche esporli pubblicamente, quando chi parla ne ha commessi di simili (come i farisei che volevano lapidare la donna adultera), può essere farisaico, ma non lo è necessariamente.
Un padre non è un fariseo perché riprende suo figlio per aver picchiato sua sorella, perché denunciare che è un atto cattivo corrisponde alla verità, anche se egli stesso ha fatto la stessa cosa a sua moglie il giorno precedente. Diventerebbe farisaico solo se fosse motivato, non dalla verità, bensì da un atteggiamento pregiudiziale che fluisce dalla crudeltà, dall’orgoglio e dalla falsità, nelle quali egli, il peggiore peccatore tra i due, si erigesse a persona di più specchiata virtù.
Esiste una ulteriore enorme differenza tra uno stile di vita omosessuale apertamente dichiarato, e l’entrare in una unione omosessuale ufficiale o para-matrimoniale, riconosciuta dallo stato, ma considerata dalla Chiesa non solo come un peccato grave (come lo è risposarsi senza aver avuto la dichiarazione ecclesiastica di nullità del matrimonio precedente), ma un peccato alla seconda potenza, dato dalla pseudo-sanzione della convivenza omosessuale attraverso quella sorta di caricatura che è il «matrimonio omosessuale benedetto dallo stato», e aggrava il male del peccato.
Un atto omosessuale (diversamente dalle tendenze all’omofilia, che non sono sottoposte al nostro controllo), poi, non è solo un serio peccato, secondo la Chiesa, ma un peccato «contro natura» (contra naturam) – contro l’intero ordine della natura, del significato e del valore della sessualità umana, e così è una violazione molto più grande della legge morale divina rispetto a peccati (come il sesso pre-matrimoniale o l’adulterio) che costituiscono una caduta umana, ma non vanno contro la natura.

Inoltre, avendo costituito una relazione omosessuale ufficiale, il signor Stangl potrebbe reclamare diritti, come quello di adottare bambini, etc., che agli occhi della Chiesa sarebbero una ulteriore grave violazione delle istituzioni tanto sacre quanto umane del matrimonio e della famiglia.
L’elezione al consiglio pastorale parrocchiale da parte di un uomo che vive in una unione omosessuale, per quanto egli sia amabile e affascinante nella sua conversazione, e per quanto la sua fede sia sincera (anche se, ovviamente, non accetta l’etica insegnata nella Sacra Scrittura, la cui condanna dei peccati di omosessualità nell’Antico Testamento e da parte di San Paolo non potrebbe essere più severa e inflessibile) ha anche un profondo aspetto ed effetto esterno.
Consentire questa elezione (probabilmente la prima approvazione ufficiale di questo tipo fatta da un Cardinale) sarà percepita da molti come un acconsentire alle relazioni omosessuali in se stesse e dunque come uno schiaffo pubblico sulla sacra faccia del matrimonio. Ciò causa così, da una parte, uno scandalo pubblico tra molti fedeli e pone, dall’altra parte, un esempio che potrebbe essere seguito in molte parti del mondo. Anche solo per evitare queste conseguenze sinistre, credo che la decisione dovrebbe essere rivista e questa elezione dichiarata invalida, così come il parroco Swierzek ha fatto come pastore – un atto che come tale non viola in nessun modo la carità, ma al contrario esprime un vero amore per Stangl e le altre anime della sua parrocchia.
Infine, dobbiamo considerare la violazione del Codice di Diritto Canonico, implicata dal fatto di sanzionare l’elezione di un omosessuale praticante come membro di un consiglio pastorale, specialmente quando questa approvazione è compiuta esplicitamente in contrasto con la decisione del parroco, che ha la responsabilità della sua parrocchia e il cui giudizio non dovrebbe dunque essere sovrastato da una autorità superiore, finché egli agisce in piena armonia con la legge della Chiesa, cosa che don Swierzek ha fatto. Consideriamo il testo dei cann. 511 e 512, specialmente il paragrafo 3 del 512, che concerne l’elezione dei membri del consiglio pastorale diocesano – qualcosa che indubbiamente si applica all’elezione dei consigli parrocchiali.
Can. 511 – In ogni diocesi, se lo suggerisce la situazione pastorale, si costituisca il consiglio pastorale, al quale spetta, sotto l’autorità del Vescovo, studiare, valutare e proporre conclusioni operative su quanto riguarda le attività pastorali della diocesi.
Can. 512 – §1. Il consiglio pastorale è composto da fedeli che siano in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia soprattutto laici; essi vengono designati nel modo determinato dal Vescovo diocesano.
§2. I fedeli designati al consiglio pastorale siano scelti in modo che attraverso di loro sia veramente rappresentata tutta la porzione di popolo di Dio che costituisce la diocesi, tenendo presenti le diverse zone della diocesi stessa, le condizioni sociali, le professioni e inoltre il ruolo che essi hanno nell’apostolato, sia come singoli, sia in quanto associati.
§3. Al consiglio pastorale non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza.

Ed Peters nel suo blog aggiunge alcune importanti spiegazioni e riferimenti al Codice. Cito:
“Essere membri di un consiglio pastorale (c. 536) sembra debba essere definito come un occupare “una carica ecclesiastica” (C. 145). Occupare una carica ecclesiastica (diversamente, ad esempio dal partecipare ai sacramenti) non è un diritto fondamentale del fedele e l’autorità ecclesiastica ha un margine con¬side¬revole nello stabilire i requisiti per assumere un incarico nella Chiesa (cc 145, 148, 223). Per poter essere scelti per una carica ecclesiastica, si deve essere “in comunione con la Chiesa” (c. 149 § 1). La piena comunione con la Chiesa è definita, a fini giuridici, come essere “uniti con Cristo nella struttura visibile [della Chiesa] con i legami della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico”. L’assun¬zio¬ne o la conservazione di una carica ecclesiastica può essere dichiarata invalida per ragioni “espressamente richieste” dalla legge perché l’assunzione o la conservazione siano valide (c. 149 § 2)”
Per quanto le sue intenzioni soggettive possano essere oneste, il signor Stangl non può ragionevolmente essere considerato «un fedele cristiano che si distingua per la fede ferma, i buoni costumi e la prudenza». Perciò, se don Swierzek, applicando queste linee guida chiare, a fatto ciò che riteneva giusto per la propria parrocchia, secondo la sua coscienza, ed è stato scavalcato da un’autorità superiore, è stato obbligato a dare le sue dimissioni. Se queste dimissioni fossero state rifiutate, avrebbe avuto il diritto di appellarsi alle massime autorità giuridiche della Chiesa.
Se il Cardinal Schönborn riconsidererà la sua decisione, spero sinceramente e prego che la ritratterà, in obbedienza alla verità e alla Chiesa, e nonostante l’imbarazzo che un tale cambiamento potrà causare. Mi auguro, infine, che né Sua Eminenza, né l’amico Buttiglione si risentiranno per ciò che l’impegno che condividiamo per la verità mi ha imposto di scrivere».

(Fonte: Josef Seifert, Fondatore dell’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, Corrispondenza Romana, 7 maggio 2012)


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