martedì 29 maggio 2012

La Chiesa non si può capire con le categorie mentali di Scalfari!

«Così parlò Zarathustra» scrisse un giorno Nietzsche. Così parlò l’«anitra selvatica» si può dire a proposito dell’articolo del saccente Scalfari, su Repubblica di domenica 27 maggio 2012. Dà una strana impressione la lettura del suo Editoriale sul giornale che è sua creatura: l’impressione di un alunno impreparato che, per rimediare una sufficienza alla interrogazione, raffazzona una serie di notizie, collegandole a modo suo, sperando che la farraginosa confusione eviti al professore di indagare sulla veridicità e sulla correttezza delle informazioni.
Così la sua personalissima ricostruzione spacciata per storica: “Da Pacelli a Ratzinger” ci fa conoscere il volto del Camerlengo, «un volto assolutamente inespressivo; non era un uomo ma una carica, una funzione, una pausa del cerimoniale»; la sua profonda conoscenza degli intellettuali che contano ci fa conoscere il pensiero del «cattolico Alberto Melloni, uno degli storici della Chiesa più accreditati nella materia» di cui tratta; ci fa sapere che Berlusconi «fa ridere» di fronte a quel principe che era Pio XII, che «come tale si comportò e come tutti i principi indulse anche al populismo: riceveva ogni sorta di categorie della società civile: medici, avvocati, giornalisti cattolici, ciclisti e calciatori, casalinghe, poliziotti e militari, attori e operai, imprenditori e barbieri».
Potrei andare avanti a citare tutti i luoghi comuni di questa «anitra selvatica»: storico illuminato (?) e per l’occasione anche profeta (?), che riesce a descrivere il futuro della Chiesa dopo «il pontificato lezioso [che] andrà avanti finché potrà, poi non ci sarà il diluvio ma una pioggia da palude piena di rane, zanzare e qualche anitra selvatica».
In un editoriale, il sunto del sunto del sunto. Non lo accetterebbero neanche ad un’interrogazione di scuola media, ma tant’è. Per i fedelissimi di Repubblica “l’ha detto Scalfari” e dunque è vero. Per gli altri, impossibile confrontarsi con chi ha già chiaro tutto, con chi possiede il senso luminoso della storia ed anche la palla di vetro per (pre)vedere il futuro.
Noi - umili servitori della vigna del Signore – anziché perder tempo con le anatre che starnazzano, siamo abituati ad ascoltare quanto il Signore stesso («se volete lo Spirito Santo») ci fa capire della Chiesa cattolica, che – il Cielo ne sia lodato – è qualcosa di ben diverso da quanto il nostro Scalfari ha in testa. Caro Eugenio, «ci sono più cose in cielo e in terra, […] , di quante ne sogni la sua filosofia». Abbiamo la grazia di incontrare qualcosa di più grande e vero, qualcosa che sa dare ragioni e speranza al cammino dell’uomo. E se vediamo quello che già Ratzinger chiamava la sporcizia nella Chiesa, sappiamo che l’esperienza quotidiana ci mostra altri e più veri segni della presenza rinnovatrice del Signore. E non sono i personaggi evocati da Scalfari. Riporto quello che ha detto il futuro Papa nella Via Crucis del 2005: «Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi». (Don Gabriele Mangiarotti, Cultura Cattolica, 27 maggio 2012).
Ebbene, caro Scalfari: prima di scrivere l'editoriale in questione avrebbe dovuto ascoltare anche quanto ha detto ieri il Papa, avrebbe dovuto piegarsi al suo dolore e sentire la forza della sua certezza. L'analisi che ci propone oggi degli ultimi pontificati da Pio XII a Benedetto XVI è un tentativo di interpretare la vita della Chiesa con logiche di potere puramente politico, come se la questione seria della Chiesa fosse di sopravvivere al mondo e non di portare dentro la storia ciò per cui Gesù l'ha posta e la sostiene, la proposta ad ogni uomo della via per trovare se stesso. Non che, come lei sostiene, la Chiesa non soffra delle ferite infertele da un potere sempre più subdolo e incombente, ma le energie di cui vive la Chiesa le sono date dalla presenza di Gesù, la sua affezione sempre appassionata e viva, capace di mantenere salda la sua dimora, e mentre tutto cospira per farla precipitare è più certo il suo procedere dentro la storia. È grande il dolore del Papa di fronte al male che entra dentro le mura della casa del Signore, ancor più certo il suo cammino, perché, come ha detto ieri il Papa, sa che sulla vita della Chiesa è Gesù a vigilare, a renderla più certa di ciò che porta.
È questo che, nella sua analisi, non prende in considerazione; del resto in questi difficili momenti la Chiesa è chiamata a verificare proprio questo, se la sua presenza nella storia si riduce a logiche di puro potere - e allora siamo vicini alla fine - oppure se ciò che fa vivere la Chiesa è Colui che le ha dato inizio e che oggi è in grado di darle un nuovo inizio. Nel dolore e nella certezza di Benedetto XVI c'è già questo nuovo inizio, è ciò di cui vive la Chiesa, è la presenza che sa portare il male per il bene di cui consiste. Vi è una domanda che emerge dentro la scena del mondo, oggi portata a travolgere tutto con lo scandalo di chi tradisce, è la domanda sulla consistenza della vita, è la domanda che si legge tra le pagine del Vangelo: "che serve all'uomo conquistare il mondo intero, se alla fine perde se stesso?": è questa la domanda che urge oggi; non le sue analisi, ma come poter ritrovare se stessi! Oggi è questo che la Chiesa ha da scoprire, dentro la bufera in cui sta passando. Diversamente da quanto lei pensa, essa ha un Papa che sa sorreggerla molto bene dentro questa dura sfida, un Papa che sa di che tenerezza è investita la vita dell'uomo, una tenerezza con cui viene vitalizzata ogni fibra dell’umano. È per questo che al posto della sua pessima conclusione ("Il pontificato lezioso andrà avanti finché potrà, poi non ci sarà il diluvio ma una pioggia da palude piena di rane, zanzare e qualche anitra selvatica. Quanto di peggio per tutti”) c'è invece un'altra cosa da dire, che la Chiesa sa già trarre dalla presenza di Chi la fa vivere il meglio che deve ancora venire, quella tenerezza per l'uomo che Cristo ha portato nel mondo e ha consegnato alla sua dimora perché diventi sempre più appassionante e travolgente. Dentro le brutture del mondo è la bellezza di Cristo che la Chiesa porta ed è questa la sfida ancor più incalzante di oggi! (Gianni Mereghetti, il Sussidiario.net, 27 maggio 2012).
Ma si sa, questo è un problema di fede, e lei, caro Scalfari, ha più volte dichiarato di non averne. Allora, perché non fare più bella figura standosene zitto?

(MaLa, 28 maggio 2012)

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