Dinnanzi
al bambinello del Presepe di Pittelli — piccolo borgo vicino a La Spezia —
prima trafugato dalla tradizionale raffigurazione della natività e poi
impiccato accanto ad essa, quello che resta è un forte senso di tristezza.
Inutile farne un discorso morale — anche un miscredente coglie in questo gesto
un mancato rispetto — ed inutile forse farne un discorso di civiltà, con i
politici locali che in queste ore si affannano a stigmatizzare l'episodio per
quello che il bambinello rappresenta nella cultura occidentale.
No, la
tristezza nasce dalla consapevolezza che siamo quasi sicuramente di fronte ad
una bravata, ad una sciocchezza che chi l'ha commessa non ha percepito
"grave", ma tutt'al più vicina alla goliardia. E questo è triste
perché racconta di un problema profondo, di maturità, della nostra società. Una
persona, infatti, diventa umanamente adulta quando accetta la sua storia,
quando accoglie con verità il suo presente senza fuggire e quando sa guardare
con distacco e con criticità ai suoi desideri per il futuro. Il furto del
bambinello fa emergere un tipo umano che rispetto alla propria storia, storia
collettiva e di popolo, non ha nessun tipo di simpatia, ma anzi la banalizza e
la ridicolizza impedendosi così un'autentica maturità.
La
crisi d'identità dell'uomo contemporaneo inizia proprio in questa rottura col
passato, attraverso questa accurata presunzione per cui del passato, di ciò che
ci ha generato e portato fin qui, o si possa tranquillamente fare a meno o vi
si possa confrontarsi solo in termini di rivoluzione e non di comprensione e
assunzione. Quando agli inizi degli anni duemila San Giovanni Paolo II
insisteva così fortemente per l'inserimento delle radici
"giudaico-cristiane" nella costituzione europea naufragata poi nel
referendum francese del 2005 non lo faceva per un manierismo ideologico, bensì
per un afflato di paternità che lo rendeva consapevole che non ci sarebbe stato
nessun futuro per il Vecchio Continente se non attraverso una reale
riconciliazione e affezione per il proprio passato. Non si cresce buttando via
dei pezzi della propria storia o condannandoli come estranei a quello che oggi
siamo. Si cresce solo riconoscendo, in modo critico, il debito che abbiamo
verso ciò che ci ha preceduto e perdonando — amando davvero — quello che non
abbiamo saputo essere e fare. La cultura della derisione, del ridicolo, del
nulla, ci rende al contrario più deboli, più fragili, più incapaci di dire chi
siamo e che cosa vogliamo. Sbarazzarsi di Gesù Bambino, del Presepe,
dell'ipotesi con cui siamo stati lanciati nel reale dalla nostra tradizione non
ci rende più emancipati, ma più soli e incapaci di comunicare.
(Fonte:
Federico Pichetto, Il Timone, 7 gennaio
2016)
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