La Messa celebrata in acqua, con il celebrante in costume e usando un materassino come altare, è il culmine di decenni di sperimentazioni in cui ciascuno si sente padre-padrone del culto, da manipolare a piacere, nell'indifferenza di una gerarchia che sanziona soltanto la Tradizione.
Le foto che stanno facendo il giro del web parlano da sole: una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. A che pro? Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa “accattivante” (o semplicemente modaiola), ma a don Mattia Bernasconi va riconosciuto senz’altro il “merito” di aver superato tutti gli altri, buttando – letteralmente – a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso.
La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a
Crotone, organizzato da Libera (l’associazione fondata da
don Luigi Ciotti). Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della
Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a
trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine
dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma
dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un
campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci
siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei
pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che
abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo
scottati», riferisce il sacerdote.
Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione
eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un
caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione
deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire
sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all’azione
sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone?
Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall’allegra brigata
costringendola a “improvvisare”... però «il sacrificio eucaristico si deve
compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere
usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del
corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo
all’acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità
dell’altare “aquatico” non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E
come sarà andata per la comunione? La sacra particola avrà cominciato a
sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate… Senza contare la possibilità che
un’onda anomala travolgesse l’anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue.
Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a
celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento,
né in guerra, per cui l’unica «necessità» ipotizzabile è l’insopprimibile
smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite
variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere
unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila.
La “Missa aquatica” di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una
liturgia concepita come campo di battaglia in cui “vince” chi la inventa più
grossa, annegando – è il caso di dirlo – l’unico vero Protagonista.
Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice
che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool,
decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O
un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia
l’ambito, nell’esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in
modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe
valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più
sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il
tutto con un sottinteso senso di “impunità”, sapendo di poter stravolgere il
mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso
paradosso, dopo un campo sulla “legalità”: vale solo per le norme civili,
mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il
comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel
minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle
celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno
dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico,
mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei
sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli
nella Chiesa.
La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della “pastorale della
spoliazione”, che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di
vista la sostanza. Pur di “avvicinare” la gente (che non si è avvicinata
affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno
ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola.
Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato,
almeno quello, del colore liturgico giusto?
(Fonte:
Stefano Chiappalone, LNBQ, 26 luglio 2022)
https://lanuovabq.it/it/la-liturgia-annega-nel-mare-di-crotone
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