giovedì 28 giugno 2012

Gay Pride a Roma: "Vogliamo diritti e matrimonio"

Chi – non io – sabato 23 si è trovato a passare, a Roma, tra piazza della Repubblica e piazza Bocca della verità, avrà visto la carnevalata di carri e di piume, cappelli, travestimenti: uomini che sembrano donne, donne che sembrano uomini, uomini che sembrano uomini ma sono donne «dentro» (anche fuori?) e viceversa; qualcuno/a che deve ancora decidere, altri/e che decidono di volta in volta, a seconda di dove tira (il vento, si intende).
«Quindici carri e un’esplosione di colori», «un serpentone giocoso e colorato» han raccontato i media, che in queste situazioni sono sempre ossequiosamente generosi.
Carnevale fuori stagione? Macché! «Festa dell’orgoglio». Che non è più solo, come una volta, orgoglio gay. Tocca aggiornarsi in tempo reale, perché nell’epoca del «gender» è così veloce la trasformazione, che, nell’associazione che riunisce chi non accetta più di essere banalmente (?) «maschio» o banalmente (?) «femmina», si aggiungono di giorno in giorno sempre pezzi nuovi. E così, il 23 giugno, a Roma, la parata era per la «festa dell’orgoglio Lgbtqia».
Proverò a spiegare, anche se non sarà semplice. Andando con ordine e nel rispetto – forse – del galateo, l’acronimo, aggiornato ad oggi (ma avverto che già domani potrebbe cambiare), sta per lesbian, gay, bisexual, transgender, questioning, intersex, and asexual. Metrosexual forse non ci stava nella sigla – magari sarà per la prossima volta –, ma i metrosessuali erano, pure loro, nella «giocosa carnevalata» di sabato. Insieme agli etero appartenenti a partiti, gruppi e associazioni che hanno deciso di aderire al Gay Pride di Roma.
Tutto si è sentito dire, dare, fare, baciare, lettera, testamento ai partecipanti del Gay Pride di Roma, e siccome non è carnevale, gli slogan, i cartelli, i gesti provocatorio-allusivi-irriverenti, i gavettoni, lo sfavillio degli abiti, le vere o finte tette al vento, le drag queen non erano lì a sfilare per ridere o per far ridere. Il corteo rigorosamente arcobaleno, aperto dallo striscione e dallo slogan «vogliamo tutto», scandito al ritmo di «I want it all» dei Queen, ha riassunto, letteralmente, il senso della manifestazione, come spiegato da Andrea Berardicurti del circolo Mario Mieli: «Non ci accontentiamo di Pacs e unioni civili, puntiamo dritti al matrimonio e i partiti devono saperlo: se vogliono i voti della comunità devono accogliere le nostre richieste senza se e senza ma».
«Senza se e senza ma» anche Paola Concia, deputata del Pd: «Lo slogan di quest'anno non poteva che essere questo. Non avendo niente, vogliamo tutto. In vent’anni in Italia non si è fatto niente ed ora ci si deve adeguare, tutto di un botto, alla civiltà». Che i partiti sappiano. Ed anche chi dentro i partiti milita; soprattutto i cattolici sedicenti «adulti» che ti chiedi che posizione prenderanno (senza doppi sensi), perché non è carnevale e dunque le richieste sempre più pressanti degli Lgbtqia non sono uno scherzo: sono, per loro che le fanno, «la» priorità di un serio (a detta loro) programma politico. Punto uno all’o.d.g. E attenzione, perché «vogliamo tutto» significa proprio tutto-tutto.
E infatti il matrimonio omosessuale è il leitmotiv anche del carro di Muccassassina: un’enorme torta nuziale sulla quale ballerini e drag queen hanno salutato i partecipanti al corteo.
Chi – non io – sabato 23 si è trovato a passare, a Roma, tra piazza della Repubblica e piazza Bocca della verità, avrà dunque visto le immagini che ora girano e piroettano anche in rete, riprese da ogni possibile inquadratura (e che poi non si dica «io non sapevo…») ed ha sentito quel che chiede a gran voce la minoranza Lgbtqia.
Spenti i riflettori sul Gay Pride di Roma, sarà bene puntarli ora sui cattolici impegnati in politica. Che ci facciano capire da che parte stanno. E' facile. Basta dicano forte e chiaro (e non in «politichese»!) se – nel merito – seguono la Parola, la Tradizione, il Magistero della Chiesa oppure no.

(Fonte: Luisella Saro, Cultura Cattolica, 25 giugno 2012)

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