giovedì 28 giugno 2012

Omosessualismo: il Gay Village a Roma

Come capita purtroppo già da qualche tempo, anche quest’anno, la città di Roma, città sacra del Cristianesimo, ospita quella tristissima manifestazione che porta il nome di Gay Village, una sorta di grande Gay Pride, prolungato per varie settimane. Come di consueto si tratta di una manifestazione di nicchia e di minoranza che però i grandi mass media nazionali promuovono in ogni modo, quasi si trattasse di un lotto di beneficenza e non, come è, di una fiera della volgarità, dell’intolleranza e dell’immoralità (cfr. “Corriere della Seraˮ e “Repubblicaˮ del 20 giugno 2012).
La cosa che rende triste la già tristissima ripetizione di queste fiere del peccato è l’assoluta mancanza di reazione da parte di quel mondo cattolico che, seguendo il Catechismo ufficiale della Chiesa, dovrebbe contrastare la tendenza omosessuale in quanto «oggettivamente disordinata» (CCC, 2358) e ritenere le pratiche omosessuali, esaltate al Gay Village, come «peccati gravemente contrari alla castità» (CCC, 2396).
Purtroppo da parte di non pochi fedeli la condanna cattolica dell’omosessualità è ristretta alla sola sfera morale, personale e privata, svincolando totalmente l’omosessualità e la sua affermazione legislativa dai problemi che pone nella sfera pubblica, sociale, culturale, igienica, estetica, scientifica, etc. Ma così non fa il Magistero della Chiesa.
Per esempio nelle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, pubblicate dal card. Ratzinger nel 2003 ed approvate da Giovanni Paolo II, la Santa Sede non restringeva il problema dell’omosessualità ad un problema di morale individuale, fermandosi all’enunciato ovvio e banale: «omosessualità uguale peccato». Ma faceva cenno all’omosessualità quale devianza dilagante e diffusa ad arte dai media del progressismo, come «fenomeno morale e sociale inquietante», che «diventa più preoccupante nei Paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali» (n. 1).
I vari Gay Pride e Gay Village, al di là dell’aspetto mondano, esibizionista e immorale che contengono, sono i luoghi e i momenti principali in cui le danarose e potentissime lobby gay cooptano giovani e meno giovani, anche minorenni, istruendoli, arruolandoli e rendendoli, dopo osceni lavaggi del cervello, “devoti alla causa”. In tal senso il documento vaticano disapprova perfino la mera tolleranza sociale verso la cultura omosessuale, invitando i cattolici a «smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni a una concezione erronea della sessualità» (n. 5).
Alla luce delle limpide righe citate, ci sono certamente, secondo noi, gli estremi per vietare questo tipo di manifestazioni contrarie al buon costume, in cui, come noto, si oltraggia il comune senso del pudore, il sentimento religioso e il prevalente credo cattolico della popolazione. In quelle lugubri parate (ben descritte da Luca di Tolve, Ero gay, Piemme, Milano 2011, pp. 248, € 15.00), si invita il giovane e l’innocente al vizio (alcool, droghe, eccessi di ogni tipo), si insegna la trasgressione e l’odio di ogni norma sociale soggettivamente non apprezzata, e infondo di ogni repressione poliziesca o culturale, in nome della “diversità” e della “libertà”.
In ultima analisi si attacca impunemente la stessa Costituzione della Repubblica la quale stabilisce la famiglia quale unione naturale fondata sul matrimonio. Per tutte queste ragioni, chiare come il sole, il Gay Village, non solo non andrebbe promosso e foraggiato da enti pubblici e privati, come il Comune di Roma, ma andrebbe vietato ed impedito.

(Fonte: Fabrizio Cannone, Corrispondenza Romana, 27 giugno 2012)


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