Con la cancellazione della visita del papa alla Sapienza, l'Italia mostra il suo volto peggiore. In passato, era stata cancellata solo la visita di Giovanni Paolo II a Sarajevo. Per credenti e non, una ferita da rimarginare.
Una situazione grave e assurda, figlia dell'intolleranza. E tanto per essere chiari: una figuraccia per un Paese che si riempie la bocca di ideali di democrazia, di dialogo e buoni sentimenti. Con la cancellazione della visita di Benedetto XVI all'università "La Sapienza" di Roma, il nostro Paese mostra il suo volto peggiore: quello degli scontri costruiti ad arte, dell'ottusità che annebbia i ragionamenti, dell'incapacità a rispettarsi. Si tappa la bocca a chi la pensa diversamente, non riconoscendo nemmeno il diritto di parola. E quanto è avvenuto è ancora più grave se si pensa che l'unico viaggio di un papa, cancellato all'ultimo, fu quello di Giovanni Paolo II a Sarajevo nel 1994, perché era impossibile garantire la sicurezza dei fedeli. L'Italia può così vantarsi di essere messa sullo stesso piano di un Paese allora sconvolto dagli scontri etnici. Con un dato di fondo, da non sottovalutare: questo clima di intolleranza, delle calunnie, del rifiuto del dialogo porta diritto all'incivilta e alla non convivenza.
Ma è bene dare nome e cognome a quanto è avvenuto in questi giorni, intorno alla prospettiva di una visita, purtroppo ridotta a bega da Italietta, che le università di mezzo mondo avrebbero invidiato. Soliti slogan laicisti, argomenti sotto naftalina tirati fuori per l'occasione e uso consapevole e truffaldino di falsi presupposti. I collettivi studenteschi di estrema sinistra avevano rispolverato lo spirito anticlericale d'antan (e questa non è una sorpresa), ma cosa dire di 67 docenti intenti a fomentare una polemica inesistente su Galileo Galilei? Per giorni, i nostri hanno attribuito a Benedetto XVI un giudizio di Feyerabend sulla ragionevolezza del processo allo scienziato italiano. Frase che il papa aveva pronunciato in un discorso del 1990 all'università di Parma, come semplice citazione da cui prendere le distanze.
Il testo originale dell'intervento dell'allora cardinale Ratzinger, infatti, non lascia spazio a dubbi ed è una prova schiacchiante di come professori universitari abbiano mistificato la realtà, cedendo al più becero massimalismo. Con un aggravante per uomini di scienza e di cultura: non aver nemmeno verificato le proprie fonti, trovate nientepopodimenoché su Wikipedia. Ed è ancora più incredibile la loro posizione, se si legge la risposta di Benedetto XVI alla domanda sul rapporto tra scienza e fede, fatta da un giovane, durante la Giornata mondiale della gioventù del 2006. Ampia dissertazione con un attacco in cui il papa definiva lo scienziato italiano "il grande Galileo". Sic et simpliciter. Ai prof della Sapienza, tuttavia, le contro argomentazioni non sono bastate, salvo poi cercare di correre ai ripari, quando ormai la rinuncia di Benedetto XVI era nell'aria. Ridicola quindi, la posizione del prof. Andrea Frova, uno dei firmatari: "La lettera firmata da 67 docenti universitari, era solo una comunicazione interna e tale doveva rimanere. Non aveva alcuna veste di ufficialità, tanto che è stata recapitata al rettore da un usciere".
Al di là di tutto, l'episodio in questione rappresenta un'ulteriore conferma dello scadimento del dibattito culturale, sia per quanto riguarda il metodo che il merito. Primo punto. Fa un certo effetto aver assistito ai diktat e alle contestazioni da parte di docenti dell'università, un luogo che per sua natura e statuto dovrebbe essere aperto al confronto, allo scambio dialettico e, in generale, all'ascolto di tutte le posizioni. Un metodo che dovrebbe costituire l'esempio stesso da trasmettere alle nuove generazioni, che in un'epoca post ideologica hanno bisogno di tutto, fuorché di steccati e di pregiudizi del peggiore '68. Docenti che prescindono da questa missione tradiscono il loro ruolo, mostrandosi per quello che sono: ignoranti e cattivi maestri.
Ma è sul piano dei contenuti che la strada è in salita e si mostra in tutta la sua drammaticità. Ormai è diventato impossibile alimentare un confronto puntando su argomenti. Non si è d'accordo con le posizioni della Chiesa? Non si condividono certe posizioni del pontefice? Si contesta l'idea stessa della religione? Legittimo discuterne, mettendo a confronto esperienze e punti di vista. Eppure, nessuno dei laici-laici (studenti e cattivi maestri) della Sapienza ha voluto questo. E' stato molto più facile nascondersi dietro azioni e parole denigratorie, alimentare leggende metropolitane, mettere da parte le fonti originali e fidarsi del "si dice".
Un minestrone di falsità condito con concetti e frasi fatte. Il papa dice messa di spalle? E' uno che torna al passato. Spiega che la scienza non salva (in un'ottica trascendente)? E' un antimoderno. Elimina ogni forma di predicazione morale, a favore di una catechesi sulle realtà di fede? E' ugualmente un reazionario che pretende di dettare legge sotto le lenzuola.
Si ha a che fare con una contrapposizione senza partita in cui vengono svilite le potenzialità di un ragionamento e di un dialogo tra credenti e non che sul piano teorico potrebbe arricchire entrambi. Invece, si continua ad attribuire posizioni inesistenti, a trasformare dietrologie in Vangelo, a fare delle proprie opinioni una tautologia, al punto che un giornalista come Eugenio Scalfari può spingersi addirittura a dire che Joseph Ratzinger è un pontefice "dalla palese inconsistenza politica e culturale". Complimenti. A queste condizioni, ha ancora senso replicare? Sì. Con una parola: vergognatevi. (Redazione, korazym.org, 16 gennaio 2008)
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