Quando ci permettemmo di criticare la condotta da Antipapa del Cardinal Carlo Maria Martini, autonominatosi censore del Santo Padre, trovammo sostanzialmente concordi gli esponenti del mondo genuinamente cattolico, per i quali l’enfasi della stampa laica e progressista - voce dell’anticattolicesimo massonico - era un’inquietante conferma di quell’idem sentire tra un Principe della Chiesa e gli avversari giurati della Grande Nemica. Le promesse di Martini circa il suo ritiro in Terra Santa ci avevano lasciato sperare che finalmente avrebbe dedicato la propria vecchiaia a meditare le Sacre Scritture a Gerusalemme, astenendosi dall’esprimere giudizi sul Pontificato di Benedetto XVI: speranza presto infranta contro il protagonismo del verboso vegliardo, irresistibilmente attratto dalla facile notorietà garantita dai media a chi dissente dal Papa. Ma si sa: senectus est natura loquacior. Poi venne il Cardinal Dionigi Tettamanzi, successore di Martini sulla cattedra che fu di Sant’Ambrogio e del Cardinal Schuster: grazie a lui siamo arrivati quasi a rimpiangere l’Antipapa, sia per essersi dimostrato palesemente incapace di governare l’Arcidiocesi iniziando dal pietoso stato del Clero, sia per i molteplici ammiccamenti alla sinistra più estrema. Ecco allora che nelle Lettere pastorali Tettamanzi ripete da anni la trita litania del solidarismo, della dignità dell’uomo, dell’egualitarismo, facendo proprie le istanze dei più agguerriti sindacalisti e concionatori delle masse operaie. Lettere in cui il nome di Nostro Signore è citato en passant, anzi per accidens, guardandosi bene dal ricordare la Verità salvifica che Egli ha affidato alla Chiesa e che le ha ordinato di insegnare a tutte le nazioni attraverso i secoli. Era inevitabile che questo ruolo dell’Arcivescovo, accompagnato dall’eco dell’Emerito, riscuotesse il plauso dei vati della cosiddetta cultura di sinistra, per ottenere il favore dei quali tante omelie si eran trasformate in comizi. L’aperta disobbedienza al Romano Pontefice, manifestata con il farisaico cavillare sull’applicabilità del Motu proprio in terra ambrosiana, ha completato il quadro, persuadendo anche i più prudenti a riconoscere l’indole autocefala - scilicet scismatica - della Chiesa di Milano. Le recenti polemiche sulla visita del Santo Padre alla Sapienza hanno confermato - se ancora ve ne fosse stato bisogno - la perfetta sintonia tra l’Antipapa, il suo discepolo in sedicesimo e i profeti dell’anticlericalismo: Repubblica del 15 Gennaio riporta una interessante intervista in cui Dario Fo, dopo aver pagato il tributo ai suoi referenti biasimando il Papa, si avventura in elogi a dir poco sperticati nei confronti di Martini e Tettamanzi (nella foto): «Io per fortuna vivo a Milano e conosco molto bene la situazione della mia città, dove c’è un Cardinale stupendo, Dionigi Tettamanzi, che ammiro e rispetto, degno successore di un altro grande Cardinale, Carlo Maria Martini». Se Dario Fo vivesse a Genova, elogerebbe il Cardinale Angelo Bagnasco definendolo «stupendo» e «degno successore» del Cardinale Giuseppe Siri? Lo dubitiamo, come dubitiamo che il Presidente della CEI considererebbe motivo di vanto esser nelle grazie di un tal personaggio. Che Tettamanzi sia «degno successore» di Martini è cosa certa; che l’uno e l’altro non possano dirsi degni successori di San Carlo Borromeo o del venerato Ildefonso Schuster è altrettanto certo: non foss’altro che per quelle servili attestazioni di stima da parte di Fo, in ossequio al dovere di mutua assistenza che vige nelle sette. Similis cum similibus facillime congregantur. Ora attendiamo che la Curia arcivescovile dirami un comunicato in cui conferma la massima fedeltà al Papa e prende le distanze dalle esternazioni del Premio Nobel. Ma forse in Curia sono troppo impegnati a dar la caccia ai sacerdoti che dicono la Messa tridentina negli scantinati propter metum modernistarum. (Baronio, Petrus, 15 gennaio 2008)
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