giovedì 7 febbraio 2008

Inghilterra: vietato dire mamma e papá


L’ossessione dell’omofobia
Gilbert Keith Chesterton diceva che «il guaio dell’uomo moderno non è quello di avere perso la fede, ma quello di avere perso la ragione». Basterebbe questa battuta per liquidare l’idiozia di un altro molto meno illustre cittadino inglese, il ministro per la scuola e per l’infanzia Ed Balls (nomen omen) che ha deciso di vietare ai bambini delle elementari l’utilizzo dei termini «mamma» e «papà», i quali sarebbero gravemente offensivi nei confronti degli omosessuali. Poiché in teoria - ma solo in teoria - dovrebbe esserci un limite all’imbecillità umana, il lettore può pensare che abbiamo capito male, e che le cose non stanno proprio così. E invece stanno proprio così, anzi un po’ peggio. Cito testualmente dall’agenzia: «L’espressione “mamma e papà” lede infatti i diritti dei genitori omosessuali e favorisce le tendenze omofobiche, diffondendo l’idea che esista solo una famiglia tradizionale». Fantastico. Secondo questo ministro - che è riuscito nella titanica impresa di farci rivalutare i nostri, di ministri - quella che i bambini nascano da una mamma e da un papà sarebbe «un’idea», e non un dato di fatto. Viceversa, Balls parla di «genitori omosessuali» come se, quelli sì, fossero un dato di fatto. Ora, il sottoscritto sarà anche un becero reazionario, ma se l’etimologia ha ancora un senso «genitore» vuol dire «colui che genera, che procrea, che dà la vita». Tutte cose che una coppia omosessuale non può né potrà mai fare, e non perché glielo impedisca qualche pretacchione: è la natura a frapporre qualche non marginale impedimento. È dunque la realtà, e non una chiesa o un partito politico, a mostrarci che dire «mamma» e «papà» non è un’offesa per nessuno, ma la cosa più naturale del mondo. Balls segue però, evidentemente, il metodo hegeliano secondo il quale «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà».Non è solo un problema di un qualsiasi Balls. Questa mentalità si sta sempre più diffondendo, anzi è l’unica accettata e riverita in quel patetico mondo del politically correct che ammorba parlamenti e redazioni dei giornali. Badate bene: la tutela degli omosessuali non c’entra nulla. Provvedimenti come quello del ministro inglese, o come tante altre norme cosiddette anti-omofobia, non vietano solo le offese ai gay (il che è sacrosanto): vietano anche che si possa dire «mamma» e «papà», vietano perfino - è scritto nel demenziale diktat inglese - che a scuola si possa parlare di «maschi» e di «femmine». Con il pretesto di tutelare alcuni, si nega il diritto di esistere a molti altri, direi a quasi tutti. Soprattutto, si nega il diritto di guardare in faccia alla realtà. Qualche tempo fa su Rai Tre, al programma Gaia il pianeta che vive, un geologo ha mostrato un amplesso omosessuale dipinto in una tomba etrusca per documentare come simili pratiche fossero del tutto normali nelle civiltà antiche, prima che arrivassero quegli omofobi dei cristiani; si è però guardato bene, il geologo, di aggiungere che a fianco di quel dipinto - che è nella tomba detta «dei Tori» a Tarquinia - ce n’è uno di accoppiamento eterosessuale, e il toro, simbolo del dio della fertilità, è raffigurato mentre si compiace del rapporto uomo-donna ma carica furiosamente quello omosex. Nelle civiltà antiche l’omosessualità era a volte anche serenamente accettata, ma mai nessuno si è sognato di equiparare per legge la famiglia eterosessuale a quella omosessuale; né tantomeno ha mai vietato di parlare di differenze tra i sessi, o impedito di pronunciare i nomi di «mamma» e «papà».Certe idiozie fanno proseliti, dicevo, e infatti ieri sera, sul sito del Corriere della Sera, nel sondaggio lanciato sul caso-Balls si registrava un 15 per cento di «sì» all’incredibile cancellazione dei termini «mamma» e «papà». Lo stesso sito del Corriere, giustamente, nel titolo parlava di «ossessione omofobia». Esatto: ormai è un’ossessione. Della quale anche gli omosessuali finiranno per fare le spese. È con le esagerazioni, con gli estremismi, con gli oltraggi alla ragione e al buon senso che si finisce poi con il provocare reazioni di segno opposto, con il favorire il ritorno di quelle discriminazioni che ormai da tempo erano del tutto, o quasi del tutto, giustamente scomparse. (Michele Brambilla, Il Giornale, 31 gennaio 2008)

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