Mi piace riportare qui una bella intervista su di lei, sulle sue convinzioni, sulla sua ormai celeberrima avventura editoriale: tanto per conoscerla un po' più in profondità.
Costanza Miriano, perugina e giornalista Rai da 20 anni, prima al Tg3 oggi a Rai Vaticano, è madre di 4 figli e autrice di tre libri che sono diventati un caso editoriale per il loro successo: Sposati e sii sottomessa, Sposala e muori per lei e Obbedire è meglio, quest’ultimo uscito nel 2014. Laureata in lettere classiche, è approdata alla scuola di giornalismo di Perugia e ha iniziato una carriera di giornalista.
Ci parla della sua vita, delle sue scelte, del successo dei suoi libri, di chiara ispirazione cattolica (i tre titoli sono tutti citazioni bibliche) del suo modo di vedere il mondo maschile e femminile e di un certo tipo di femminismo, che lei proprio non riesce a sopportare.
Quale messaggio vuoi fare passare con i tuoi libri?
O mamma mia, che domanda! Ci ho messo tre anni a scriverli, adesso in quattro righe mi viene un po’ difficile spiegarlo… diciamo che in sostanza avevo voglia di dire alle mie amiche – e in tutta sincerità ti dico, puoi crederci o no, che quando ho scritto il primo ero certa che lo avrebbero letto solo loro, mia mamma, mia sorella e le cugine, e che contando anche le zie avrebbero forse potuto sfiorare quota cento copie – quello che aveva funzionato per me, e che mi aveva resa più felice.
A cosa è dovuto il successo dei tuoi libri? Alcuni nostri lettori li hanno definiti “retrogradi e bigotti”: come ti difendi?
Il mio successo – che comunque non è questa cosa stratosferica, sia chiaro, non sono mica Dan Brown – credo sia dovuto al linguaggio che ho usato. Io mi sento una traduttrice, dico le cose che la Chiesa propone da sempre all’uomo perché sia felice, ma le traduco in un linguaggio quasi da chick lit – ma io lo definisco ‘scazzafrullone’ – e ironico: rido un sacco mentre scrivo, di sera, in camicia da notte e con Rai News di sottofondo per tenermi sveglia. Un po’ invece credo sia dovuto al fatto che le parole che “traduco” sono vere. Tantissime persone – ho le lettere, ho le prove! – mi hanno scritto che già le vivevano, o che hanno provato a farlo dopo aver letto i miei libri e la loro vita è cambiata.
Per quanto riguarda le accuse, non mi difendo mai. Ognuno può giudicarmi come vuole e se pensa che io sia una brutta persona, ti dirò che ha proprio ragione, perché la bella notizia del cristianesimo è che nessuno di noi è veramente buono, ma Dio ci vuole bene lo stesso. Quanto al fatto che i miei libri siano retrogradi, bisogna stabilire bene il verso della storia. Io credo che oggi ad essere indietro siano le femministe, ma qui davvero mi dovresti dare trecento righe per rispondere: infatti ci sto scrivendo un altro libro.
Raccontaci le tue idee controcorrente sul matrimonio, sulla parità dei diritti tra uomini e donne e sul “malinteso”, come sostieni tu, delle quote rosa.
Le donne che vogliono gli stessi diritti degli uomini a mio parere mancano di fantasia e di immaginazione. Per noi vorrei più diritti, soprattutto quando siamo madri, non è un dogma che dobbiamo lavorare in ogni periodo della vita. La prima cosa da tutelare per me sono i figli e il nostro essere madri, la battaglia culturale che va fatta è quella per una reale conciliazione della vita lavorativa: il mondo delle lavoro è modellato sulle esigenze dei maschi, e questo è inaccettabile. Oggi ti viene consentito di fare figli ma poi gestirli, accudirli, curarli sono fatti tuoi, i figli non sono considerati un bene per tutti e quindi persone di cui la società deve farsi in parte carico. Per questo dico, se non ora quando? Le nostre battaglie dovrebbero essere per le madri.
Quindi le donne che non hanno figli non sarebbero donne? Ci sono donne che non sono ancora madri e altre che per scelta non vogliono prole: loro cosa sono per te?
Le donne per me sono madri sempre, è la loro essenza, la loro natura profonda, e quello che le fa felici, sia quando partoriscono figli in carne ed ossa sia quando riescono a realizzare una dimensione di accoglienza e di cura in ogni contesto in cui vivono e operano: il primo esempio che mi viene in mente è una mia caporedattrice Rai, Ilda Bartoloni, che oggi non c’è più. Lei mi è davvero stata madre nel lavoro, me lo ha insegnato e si è preoccupata anche di me e della mia vita: pur non avendo avuto figli sapeva davvero accudire le persone. Quello che sto dicendo però è un tabù: viene difeso il diritto ad andare vestita come mi pare, ma non quello di essere madre e di potermi prendere cura dei miei figli.
Perchè parli di “malinteso” sulle quote rosa?
Le quote rosa secondo me considerano solo una piccola parte della categoria femminile, quella delle donne in carriera, delle manager o delle politiche. Una commessa di un grande magazzino, faccio un esempio, che lavora otto ore con un’ora di pausa pranzo obbligatoria, rimane lontana da casa 10 ore per uno stipendio basso, sente di avere conquistato un diritto o di essere una schiava? Se ha dei figli a casa che vede la mattina presto e poi la sera quando rientra, non vorrebbe avere il diritto di potere rimanere con loro di più, avere orari più flessibili e potersi godere i piccoli senza dover rientrare al lavoro al terzo mese di vita del bambino? Pensi che si preoccupi davvero delle quote rosa?
Quindi secondo te il lavoro non è una conquista per le madri…
Credo più precisamente che sarebbe una conquista la possibilità di scegliere se lavorare o no. Io sarei stata tanto volentieri a casa per molti anni, con quattro bambini piccoli. Sarebbe stato bello fare come Nancy Pelosi che, al compimento dei diciotto anni del quinto figlio, si è messa a fare la speaker della Camera. Quello si che è femminismo. Non il diritto a stare in fabbrica o a fare la precaria sottopagata con contratti di formazione triennali, sì, ci sono anche quelli! – lasciando i bambini al nido. Il lavoro come è pensato oggi in Italia non tiene conto che la donna è anche madre, e come tale le sue esigenze, attenzioni e desideri non sono legati solo alla sfera lavorativa. Quello che vedo è un odio nei confronti delle madri, non delle donne, ma quello che rende una donna donna è la maternità, che sia essa biologica o no.
Come contestualizziamo questo discorso nella più ampia riflessione del rapporto fra uomini e donne?
Io credo all’affermazione “l’utero è mio”, è giusto, le donne non possono essere solo un oggetto passivo del desiderio maschile, però secondo me manca un passaggio, è mio ma “te lo regalo”: dobbiamo rompere la logica della battaglia tra i sessi. Ti regalo il mio utero, o meglio tutto il mio corpo, perché voglio accogliere il tuo essere padre e i figli che ti darò eche metterò alla luce per entrambi, ma di cui ho un’esclusiva assoluta: quella della gestazione e del parto.
Quindi per te questa è una scelta della donna e non sottomissione ad un cliché?
Sì, secondo me è una libera scelta, e in questa dimensione la donna vive pienamente la sua vocazione. In questo modo credo che potremo liberarci dalla debolezza, tutta femminile, di volersi riconoscere nello sguardo del capo e del direttore: non è questo che mi definisce. Chi sono, a cosa sono chiamata, me lo dicono prima di tutto mio marito e i miei figli, e, per me che sono cattolica, me lo dice Dio. Personalmente non mi riconosco nel mio lavoro, sarebbe veramente troppo riduttivo.
Ha ancora un senso oggi parlare di matrimonio “per sempre”?
“Per sempre” è un’impresa veramente titanica, ma con l’aiuto di Dio ce la possiamo fare. E ne vale la pena, anche se è sempre più difficile parlarne, perché c’è un costante clima di battaglia tra i sessi e manca una conoscenza delle differenze tra uomo e donna. Ad esempio se io parlo lo faccio per riordinare i miei pensieri, per sfogarmi, il fatto di parlare in sé mi appaga; ma se lo faccio con mio marito lui cerca subito di risolvere dei problemi, va sul lato pratico, due mondi lontanissimi e quanti malintesi! Se riuscissimo a capire che i limiti dell’altro non sono cattiveria ma semplicemente un modo strutturalmente diverso di fare e di vedere la vita, tante rivendicazioni nelle coppie cadrebbero e si camminerebbe più spediti sulla strada del “per sempre”. Dovremmo deporre le armi, dietro questa guerra c’è una fame di amore che in pochi riconoscono. Essere consapevoli dei propri limiti e dei propri bisogni sarebbe già un passo avanti per una maggiore serenità di coppia.
Parlaci del tuo essere madre e lavoratrice.
Sono madre di quattro figli, lavoro in Rai da 20 anni, contando anche il tempo dei primi stage, e mio marito l’ho conosciuto il sala di montaggio sul posto di lavoro: è il montatore più bravo della Rai! Ho studiato lettere classiche perché appassionata di letteratura greca e latina, a Perugia, la città dove sono nata, e dove hanno aperto proprio in quegli anni la scuola di giornalismo della Rai. Ho fatto la selezione un po’ così, per provare, e sono passata, poi sono approdata a Rai 3 dove ho lavorato più di 15 anni, mi sono appassionata a questo lavoro, mentre all’inizio non è che avessi il… sacro fuoco. Poi mi sono sposata, sono nati i figli, ricordo ancora con quanto dolore sono tornata in redazione dopo la maternità, piangendo perché mi dovevo separare dai miei bimbi, con il latte da scoppiare, con la voglia di stare con loro per coccolarli e accudirli.
Cosa ami di più del tuo lavoro?
Mi piace molto il linguaggio televisivo, mescolare immagini, video e audio. Un lavoro fatto bene ha veramente una potenza incredibile, penso che dovremo imparare ad usare meglio le immagini. Ho scelto di venire a Roma per il primo stage dopo la scuola di giornalismo, perché mi piaceva il linguaggio sperimentale del Tg3, era il 1994, in piena epoca Mani Pulite, e il “mio” tg aveva un modo i raccontare le cose coraggioso e audace.
Quali sono state le tue maggiori vittorie e quali le sconfitte?
Una delle cose di cui vado più fiera e che mi ha dato più gioia è stato allattare i miei figli a lungo, soprattutto le ultime due che sono gemelle: le ho allattate al seno per due anni! Se penso ad altre vittorie mi vengono in mente le numerose maratone cui ho partecipato: ho fatto per tutta la vita atletica leggera, corro tutti i giorni, è una dimensione importante nella mia vita e mi ha donato una grande capacità di resistere, di fare a meno del sonno, di prendermi cura del mio corpo. Un’altra vittoria grande, conquistata insieme a mio marito, è stata quella di “farci da soli”: sono stata precaria 13 anni, abbiamo costruito la nostra famiglia, paghiamo il nostro mutuo senza nessun aiuto, le famiglie di origine lontane. Le mie sconfitte sono quotidiane: quando non riesco a vincere i miei difetti, quando non mi fido di un’altra voce, quella di mio marito, delle amiche, del mio padre spirituale, in definitiva quando non riesco ad obbedire con gioia alla mia vocazione. Di fatto per me questa è la conversione e ogni giorno è un obiettivo.
Il tuo maggior pregio e il tuo peggior difetto?
Aiuto, queste sono le domande a cui non vorrei mai dover rispondere. Il mio padre spirituale dice: quando qualcuno è arrabbiato con te e si sfoga digli di fermarsi un attimo, corri a prendere il registratore e ascolta bene quello che ti dice. Sarà senz’altro la verità. Però io vorrei astenermi dal riferire… Se proprio devo, il mio peggior difetto è voler piacere a tutti, che si potrebbe chiamare vanità, per usare la parola giusta. Quindi faccio fatica a deludere gli altri, mi piacerebbe sempre avere uno sguardo benevolo o ammirato su di me e mi dispiace dire dei no, è una parola che mi si blocca sulla laringe, e finisco per fare confusione, prendere troppi impegni, deludere un sacco di gente, non rispettare le giuste priorità. Mi consola solo parzialmente il pensiero che l’incapacità di deludere sia un difetto molto comune fra le donne.
Il mio principale pregio credo sia un’ostinata allegria, la sindrome di Pollyanna, la capacità di ridere e di vedere il bene, il lato positivo, l’aspetto buffo delle cose, e la certezza che alla fine tutto andrà bene. Questa però non è leggerezza, ma fede. Se sai di essere la figlia del Principale, di quello che ha fatto le stelle e le formiche e il Dna e le cascate, sei una principessa, e devi avere la certezza di essere una privilegiata. Tutto il resto che importa?
Come vivi il successo dei tuoi libri e le reazioni così opposte al messaggio che mandi?
Rimango con i piedi ampiamente per terra, e non è che mi ci voglia questo grande sforzo. Faccio le cose di prima: la moglie, la mamma, stanotte ho rivestito libri e cucito salopette e jeans strappati fino alle due. I miei figli mi aiutano moltissimo in questo, mi prendono un sacco in giro, tipo che se mi vedono per casa in ciabatte e vestaglia, con gli occhialoni da miope e la faccia sfatta dal sonno, mi chiedono un autografo come a volte mi succede in giro: io in realtà sono sempre la loro madre, la moglie di mio marito, e faccio tutte le cose normali di prima. Il tempo per gli incontri con le altre persone e soprattutto con il mondo virtuale è minimale. Credo di essere diventata un veicolo di idee che in molti nel mondo cattolico sentono e vivono, ma mi sento un semplice strumento, e anzi non mi sento tanto all’altezza. Per le reazioni negative… cerco di gestirle, mio marito fa da filtro, e le cattiverie non le leggo.
(Fonte:
Marta Rovagna, Donneuropa, 26 settembre 2014)
http://www.donneuropa.it/cultura-e-spettacoli/2014/09/26/costanza-miriano-credo-che-oggi-ad-indietro-siano-le-femministe/
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