Il Papa parla di aborto (e non è un’ingerenza!)
Una ventina di anni fa, una sera, un teologo che si chiamava monsignor Carlo Colombo, e che era stato uno stretto collaboratore di Paolo VI, stava tenendo al Centro culturale ambrosiano una conferenza sulla Mulieris Dignitatem, lettera apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna scritta da Giovanni Paolo II. A un tratto una signora si alzò da una seggiola del pubblico per contestare al relatore, e indirettamente anche al Papa, la mancanza - nel documento di cui si dibatteva - di un riferimento a un qualche contratto di lavoro, mi pare fosse quello delle infermiere. Monsignor Colombo le rispose ponendo una domanda: «Quante donne ci sono in Cina?». Tra lo sbigottimento generale, si cominciò a buttare lì qualche numero: seicento milioni, settecento milioni. Al che monsignor Colombo pose un’altra domanda: «E quante donne vivono in India?». Anche qui partì il toto-abitanti: cinquecento milioni, o forse seicento. «Ecco», concluse il monsignore: «il Santo Padre, quando scrive un’enciclica, ha in testa queste dimensioni». L’episodio m’è tornato alla mente ieri assistendo alla consueta piccineria con la quale molti nostri politici - quelli sempre in prima fila nell’indignarsi per le «indebite ingerenze vaticane» - hanno reagito a un discorso pronunciato in mattinata dal Papa in materia di aborto e divorzio. Da Boselli a Bobo Craxi, da Grillini a Villetti, dalla radicale Bernardini al ministro Mussi, è stata un’alluvione di denunce contro «l’intervento a gamba tesa sulla campagna elettorale», contro il «tentativo di far diventare reati i peccati», contro «l’autoritarismo clericale», e via dicendo. Mussi, per dire il livello, ha lanciato un grido d’allarme al Paese: «Dobbiamo difendere il diritto di abortire e di divorziare con le unghie e con i denti». Aurelio Mancuso dell’Arcigay, per dire la fantasia, ha evocato indovinate un po’ che cosa: il Medioevo, le Sante Inquisizioni e Torquemada. Però. Ma davvero questi signori credono che, siccome nel loro orizzonte c’è solo qualche punto percentuale in più o in meno, anche il Papa abbia i loro stessi pensieri? Davvero credono che il capo della Chiesa universale, più che per lo sfascio delle famiglie e per i cinquanta milioni di aborti legali al mondo ogni anno, sia preoccupato del pareggio al Senato? È vero che a volte la Chiesa richiama i politici al rispetto dei valori che più le stanno a cuore. Ma lo fa appunto perché le stanno a cuore quei valori, non gli interessi di bottega di qualche partito. E lo fa, caso per caso, per mezzo delle conferenze episcopali nazionali, non per bocca del Papa. Il quale si occupa dell’universale e dell’eterno, non del locale e dell’effimero. Chi non capisce questo, giudica gli altri da se stesso.
Oltretutto ieri era evidente che non ci fosse il benché minimo riferimento alla politica e neppure alle leggi. Benedetto XVI ha parlato di aborto e divorzio in un convegno intitolato «L’olio sulle ferite», e il suo discorso è stato soprattutto un’esortazione ai cristiani affinché stiano vicini a chi quelle ferite le porta dentro: a chi ha divorziato e abortito «la Chiesa ha il dovere primario di accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna, per annunciare la vicinanza misericordiosa di Dio in Gesù Cristo», ha detto. Altro che Torquemada. Sull’ultimo numero del settimanale Vanity Fair ci sono due lettere di altrettante donne che hanno abortito. La prima dice: «Un pezzo di me è morto quel giorno. A distanza di 17 anni mi sento ancora malissimo». La seconda: «Sotto le coperte di quel letto d’ospedale piango in silenzio tutte le lacrime della mia vita. Niente sarà più come prima. Non mi abbandonerà mai questo dolore». Ecco, è a queste persone che ieri Ratzinger parlava: per dire loro che la Chiesa distingue tra peccato e peccatore, e che nulla è irreparabile davanti a Dio. Insomma vola un po’ più alto, il Papa tedesco, di certi nostri ottocenteschi politici e intellettuali, la cui apertura mentale è pari a quella della signora che si stupiva di non trovare, in un’enciclica sulle donne, qualche riferimento agli scatti di anzianità e ai permessi retribuiti. (Michele Brambilla, il Giornale, 6 aprile 2008)
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