Capiamo la frustrazione dei giornalisti a dover intervistare i soliti noti, chessò Veltroni e Berlusconi, Luca Cordero di Montezemolo e Simona Ventura , e capiamo pure la frustrazione dei conduttori che alla fine s’intervistano l’un l’altro, Bonolis intervista Chiambretti che intervista la Parietti (l’onnipresente!) che viene intervistata da Giletti, e capiamo pure la frustrazione degli scrittori condannati a scrivere sugli stessi fogli dove solerti giornalisti intervistano i soliti noti, oppure costretti per promuovere un libro ad andare in tv e farsi intervistare dalla Bignardi, o da Bonolis, o da Chiambretti, qualcuno, il più sfortunato, perfino da Gigi Marzullo che tra tutti gli intervistatori non ha remore né cedimenti, neppure a tarda notte e ti domandi come faccia.
Capiamo tutto, anche se l’idea delle “interviste impossibili” ci appare una panacea più ridicola del male che vorrebbe curare: cioè l’inflazione delle interviste e l’insipienza degli intervistati. In contemporanea, lunedì scorso (10 marzo), in apertura della pagina cultura di Repubblica e della Stampa, due intellettuali di vaglia si cimentano in questo genere alquanto difficile, colloquiando con due personaggi storici: il romanziere Antonio Scurati vis-à-vis con Giuseppe Garibaldi e il matematico Piergiorgio Odifreddi addirittura con Galileo Galilei.
Il senso dell’operazione non è chiaro: se uno ha qualcosa da dire oggi può dirlo senza usare il mascheramento della finta intervista. In passato l’unico sensato motivo per utilizzare questo artifizio letterario era infatti la censura. Se al contrario uno davvero è convinto di poter rispondere in vece di un altro allora tanto vale affidarsi ai numerosi Napoleone che ancora s’aggirano per le nostre strade.
Tra l’altro, una delle domande pregnanti che Scurati rivolge al mito del Risorgimento è: “ne valeva la pena?”. Odifreddi non fa meglio, chiedendo al matematico pisano: “Cosa ne pensa?”. Che a ben guardare si rimpiange il lungocrinuto Marzullo e il suo tormentone “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?” che nella circolarità indicibile della tautologia lascia sempre a bocca aperta. (Il Domenicale, marzo 2008)
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